di Francesco Greco. Ha 75 anni il poeta-contadino ma la vita all’aria aperta consente di mostrarne anche 20 di meno. Estate e inverno si sveglia ancora buio. E corre alla sua terra. La gamba di legno, un “dono”, l’ennesimo della malasanità italica (“Mi operarono a Napoli…”), non é un ostacolo: come se avesse le sue, forti e ben piantate come vecchi ulivi. Scarpe grosse, cervello fino, si chiama Francesco De Benedetto, 4 figli: “Li ho fatti studiare tutti, anche se oggi lavorano la terra con me…”. Stamattina s’è alzato solo alle 6, ha espiantato le patate con la zappa. Alle 10 si rinfresca al bar della sua azienda agrituristica “La Carcara”, 10 ettari e 1/2, anni e anni di duro lavoro per dare un futuro a figli e nipoti, che lo ricambiano con affettuosa collaborazione.
Ecco gli ulivi messi a dimora nel 1955, i pini frangivento, i cespugli di uva selvaggia, le barbatelle, i pomodori, le zucche, gli alberi da frutto (prugne, albicocche, susine, melograne, pesche, ecc.). Il figlio Totò, agrotecnico, è a cavallo di un grosso trattore e va su e giù sotto un sole feroce, un altro, avvocato, fa il cameriere nel ristorante che il fratello Umberto manda avanti, mentre la moglie di questi, Carmen, sta alla reception: “Questo sole fa male, non è più pulito com’era una volta…”, riflette il poeta-contadino. In questo paradiso sta per irrompere un mostro, più cattivo di quello delle fiabe: la SS 16 Maglie-Otranto, una jungla d’asfalto rovente di 14 km (dal “Ponte” di Maglie all’entrata della città di Idrusa tanto amata da Carmelo Bene e Maria Corti), altre 4 corsie di follia. “Guardi il traffico: sembra congestionato? Scorre tranquillo… In una città, se vedi le auto all’ora di punta dovrebbero fare 10 corsie? E allora questa strada a che serve? A chi serve?”.
Risposta scontata: serve alla Casta, quella che ogni giorno ciancia di spending-revievw e poi non tocca i vitalizi d’oro: la vedova Fitto, lady Leda Dragonetti, per esempio, non risulta abbia mai lavorato e versato un contributo, eppure ogni mese porta a casa 11mila € e rotti, molto rotti. Glieli dà la Regione Puglia, che poi chiude gli ospedali dove si cura la povera gente. La Casta, anche pugliese, trasversale a destra e sinistra, è convinta del sillogismo: più cemento e catrame più sviluppo, turismo, occupazione. In tutto il mondo l’hanno relativizzato, ma la rozza governance che questa terra s’è data non lo sa: in Parlamento sonnecchiano o navigano per siti a luci rosse a caccia di escort. Per cui la “colata” che, ostacolata da pochi ambientalisti e qualche free-lance sta per abbattersi sul Salento rubando e desertificando la buona terra, se la vogliono giocare alle politiche del 2013. Sennò che raccontano agli elettori? Storie di “cene eleganti”, bunga-bunga, diamanti, loft vista Colosseo, conti all’estero e auto sportive con i soldi pubblici?
La città degli 800 martiri sta per essere ancora martirizzata. Gli espropri fatti, l’opera cantierizzata, alcuni contadini indennizzati: 7 mila € a ettaro, cifra ridicola rispetto ai prezzi di mercato (quella zona sarà d’espansione, quindi i suoli saranno edificatori). “I soldi non ci interessano, vogliamo continuare a lavorare la nostra terra… Ci possono dare l’oro, che ce ne facciamo? Cosa mangerà chi verrà dopo di noi?”, dicono i De Benedetto. La campagna intorno si sta riempiendo di finti contadini che costruiscono finte masserie. Il mercato immobiliare è fermo: le case a vendere non le vuole nessuno: è la crisi, bellezza! Altri numeri: saranno sacrificati 8000 ulivi, secolari e non: dieci volte quanto i Martiri fra 1480 e 1481. I Turchi in arrivo dicono che il cantiere durerà 4 anni, di solito si moltiplica per tre, anche i costi e l’avidità delle lobby del cemento. Qui tutto è avvolto nel mistero: quanto si spenderà? Boh! La cifra è ignota, come la mamma di chi vuole le 4 corsie. La Corte dei Conti ha appena detto che quelli delle opere pubbliche lievitano del 40% a causa della corruzione. Qualcosa di più si sà su chi ha vinto l’appalto (poi subappaltato, com’è malcostume mezzo gaudio diffuso): Tarantini. Sì, quello delle protesi e le escort portate a vagonate da nonno Silvio. Su cifra stanziata e gruppo che dovrebbe fare i lavori il sito Anas non è d’aiuto.
Il poeta ci porta poi a vedere ulivi secolari capituzzati all’incrocio per Uggiano: è rimasto solo il tronco basso, una tristezza, e “una pena infinita”, diceva il poeta franco-uruguayano Jules Laforgue. Riflette, amaro: “Chi ama la terra deve amare tutti quelli che ci vivono, animali e piante… Ho messo a dimora i pini così fanno ombra agli animali selvatici, i tassi possono fare le loro tane fresche… Sa che le piante quando la mattina le guardi si sentono osservate e sono più belle? Chi vuole questa strada inutile odia tutto questo…”. Sono gli stessi che vessano la gente che lavora con l’Imu e altri balzelli e lasciano intonsi i vitalizi doc. Mangiano a quattro palmenti, portano i soldi all’estero, intanto il debito pubblico cresce. Sono fuori dal tempo, ma la gente continua a votarli per masochismo. Mentre servirebbe una nuova governance che riscriva i diritti della natura, come hanno fatto, aprile 2010, in Ecuador.
I De Benedetto avranno distrutta la loro attività, il mostro entra a stuprarla per 25 metri: 4 file di ulivi in legna, il parcheggio dovrà indietreggiare, il pozzo, ottima acqua, sarà soffocato. Ma anche l’agriturismo più a sud, “L’Uliveto”, che Antonio Chiaritti (nipote) ha tirato su con amore e sudore, improvvisandosi, come è nel dna di questa gente dai Messapi ai giorni nostri, idraulico, intonacatore, contadino, carpentiere, ebanista, ecc., sarà devastato. Quest’anno i turisti sono pochi, al di là delle cifre fasulle che leggiamo.
Ogni anno nel mondo l’uomo desertifica 1 milione e 400mila ettari: ci manca l’aria e il sole non scalda, brucia. La Casta non lo sa ma Cormac Cullinan in “I diritti della natura – Wild Law” (Piano B. Edizioni, 2012, € 16.90) parla di “cambiamento irreversibile del clima”, “impoverimento delle riserve di acqua”, “morte e devastazione”: la nostra estinzione “è prossima”. “Non voglio portarmi addosso la vergogna di dover dire ai nostri figli: ‘Io sapevo, ma non ho fatto niente perché pensavo non ci fosse speranza’. Padre Thomas Berry, geoteologo, di “assalto alla natura” e di “perdita dell’anima”. Francesco De Benedetto (il nipote, 8 anni), ha occhi luminosi e trasparenti: strappa con rabbia un paletto imbrattato di rosso con cui i neo-selvaggi delimitano la devastazione e lo scaglia verso un ulivo, anche quello sporco di spray rosso. La Casta ha corrotto tutto, gli animi della buona gente, l’aria e l’acqua, il sole e la terra. Ce n’andiamo con la morte nel cuore, passiamo davanti al Colle della Minerva, poi alla Baia dell’Orte e alla Palascìa: e non possiamo fare a meno di pregare: “Che il dio Baath salvi la bella Idrusa…”.
Ecco gli ulivi messi a dimora nel 1955, i pini frangivento, i cespugli di uva selvaggia, le barbatelle, i pomodori, le zucche, gli alberi da frutto (prugne, albicocche, susine, melograne, pesche, ecc.). Il figlio Totò, agrotecnico, è a cavallo di un grosso trattore e va su e giù sotto un sole feroce, un altro, avvocato, fa il cameriere nel ristorante che il fratello Umberto manda avanti, mentre la moglie di questi, Carmen, sta alla reception: “Questo sole fa male, non è più pulito com’era una volta…”, riflette il poeta-contadino. In questo paradiso sta per irrompere un mostro, più cattivo di quello delle fiabe: la SS 16 Maglie-Otranto, una jungla d’asfalto rovente di 14 km (dal “Ponte” di Maglie all’entrata della città di Idrusa tanto amata da Carmelo Bene e Maria Corti), altre 4 corsie di follia. “Guardi il traffico: sembra congestionato? Scorre tranquillo… In una città, se vedi le auto all’ora di punta dovrebbero fare 10 corsie? E allora questa strada a che serve? A chi serve?”.
Risposta scontata: serve alla Casta, quella che ogni giorno ciancia di spending-revievw e poi non tocca i vitalizi d’oro: la vedova Fitto, lady Leda Dragonetti, per esempio, non risulta abbia mai lavorato e versato un contributo, eppure ogni mese porta a casa 11mila € e rotti, molto rotti. Glieli dà la Regione Puglia, che poi chiude gli ospedali dove si cura la povera gente. La Casta, anche pugliese, trasversale a destra e sinistra, è convinta del sillogismo: più cemento e catrame più sviluppo, turismo, occupazione. In tutto il mondo l’hanno relativizzato, ma la rozza governance che questa terra s’è data non lo sa: in Parlamento sonnecchiano o navigano per siti a luci rosse a caccia di escort. Per cui la “colata” che, ostacolata da pochi ambientalisti e qualche free-lance sta per abbattersi sul Salento rubando e desertificando la buona terra, se la vogliono giocare alle politiche del 2013. Sennò che raccontano agli elettori? Storie di “cene eleganti”, bunga-bunga, diamanti, loft vista Colosseo, conti all’estero e auto sportive con i soldi pubblici?
La città degli 800 martiri sta per essere ancora martirizzata. Gli espropri fatti, l’opera cantierizzata, alcuni contadini indennizzati: 7 mila € a ettaro, cifra ridicola rispetto ai prezzi di mercato (quella zona sarà d’espansione, quindi i suoli saranno edificatori). “I soldi non ci interessano, vogliamo continuare a lavorare la nostra terra… Ci possono dare l’oro, che ce ne facciamo? Cosa mangerà chi verrà dopo di noi?”, dicono i De Benedetto. La campagna intorno si sta riempiendo di finti contadini che costruiscono finte masserie. Il mercato immobiliare è fermo: le case a vendere non le vuole nessuno: è la crisi, bellezza! Altri numeri: saranno sacrificati 8000 ulivi, secolari e non: dieci volte quanto i Martiri fra 1480 e 1481. I Turchi in arrivo dicono che il cantiere durerà 4 anni, di solito si moltiplica per tre, anche i costi e l’avidità delle lobby del cemento. Qui tutto è avvolto nel mistero: quanto si spenderà? Boh! La cifra è ignota, come la mamma di chi vuole le 4 corsie. La Corte dei Conti ha appena detto che quelli delle opere pubbliche lievitano del 40% a causa della corruzione. Qualcosa di più si sà su chi ha vinto l’appalto (poi subappaltato, com’è malcostume mezzo gaudio diffuso): Tarantini. Sì, quello delle protesi e le escort portate a vagonate da nonno Silvio. Su cifra stanziata e gruppo che dovrebbe fare i lavori il sito Anas non è d’aiuto.
Il poeta ci porta poi a vedere ulivi secolari capituzzati all’incrocio per Uggiano: è rimasto solo il tronco basso, una tristezza, e “una pena infinita”, diceva il poeta franco-uruguayano Jules Laforgue. Riflette, amaro: “Chi ama la terra deve amare tutti quelli che ci vivono, animali e piante… Ho messo a dimora i pini così fanno ombra agli animali selvatici, i tassi possono fare le loro tane fresche… Sa che le piante quando la mattina le guardi si sentono osservate e sono più belle? Chi vuole questa strada inutile odia tutto questo…”. Sono gli stessi che vessano la gente che lavora con l’Imu e altri balzelli e lasciano intonsi i vitalizi doc. Mangiano a quattro palmenti, portano i soldi all’estero, intanto il debito pubblico cresce. Sono fuori dal tempo, ma la gente continua a votarli per masochismo. Mentre servirebbe una nuova governance che riscriva i diritti della natura, come hanno fatto, aprile 2010, in Ecuador.
I De Benedetto avranno distrutta la loro attività, il mostro entra a stuprarla per 25 metri: 4 file di ulivi in legna, il parcheggio dovrà indietreggiare, il pozzo, ottima acqua, sarà soffocato. Ma anche l’agriturismo più a sud, “L’Uliveto”, che Antonio Chiaritti (nipote) ha tirato su con amore e sudore, improvvisandosi, come è nel dna di questa gente dai Messapi ai giorni nostri, idraulico, intonacatore, contadino, carpentiere, ebanista, ecc., sarà devastato. Quest’anno i turisti sono pochi, al di là delle cifre fasulle che leggiamo.
Ogni anno nel mondo l’uomo desertifica 1 milione e 400mila ettari: ci manca l’aria e il sole non scalda, brucia. La Casta non lo sa ma Cormac Cullinan in “I diritti della natura – Wild Law” (Piano B. Edizioni, 2012, € 16.90) parla di “cambiamento irreversibile del clima”, “impoverimento delle riserve di acqua”, “morte e devastazione”: la nostra estinzione “è prossima”. “Non voglio portarmi addosso la vergogna di dover dire ai nostri figli: ‘Io sapevo, ma non ho fatto niente perché pensavo non ci fosse speranza’. Padre Thomas Berry, geoteologo, di “assalto alla natura” e di “perdita dell’anima”. Francesco De Benedetto (il nipote, 8 anni), ha occhi luminosi e trasparenti: strappa con rabbia un paletto imbrattato di rosso con cui i neo-selvaggi delimitano la devastazione e lo scaglia verso un ulivo, anche quello sporco di spray rosso. La Casta ha corrotto tutto, gli animi della buona gente, l’aria e l’acqua, il sole e la terra. Ce n’andiamo con la morte nel cuore, passiamo davanti al Colle della Minerva, poi alla Baia dell’Orte e alla Palascìa: e non possiamo fare a meno di pregare: “Che il dio Baath salvi la bella Idrusa…”.
Questo articolo è da mandare al Ministro Passera facendogli presente che lui passerà ma devastazioni come queste rimarranno anche a sua memoria.
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