di Nicola Zuccaro. Rumoreggiano ancora come in uno 'sciame sismico' le esternazioni del commissario tecnico Cesare Prandelli e del presidente della Figc Giancarlo Abete all'indomani del 4-0 rifilato dalla Spagna.
Entrambe, forse ancora condizionati sia dall'amaro in bocca che dalla rabbia per la finale persa non risparmiano le (auto)critiche al sistema calcistico italiano. Quanto al Ct azzurro oltre a dover recitare il mea culpa per non aver inserito elementi freschi c'è anche una considerazione che funge da antifona per il suo futuro.
Con quel: "Non posso allenare ogni 3-8 mesi. Non mi reputo all'altezza perchè sono un tecnico, un uomo di bordo campo e non un politico o un burocrate", Prandelli ha fatto così intendere che il suo rapporto professionale con la Nazionale sarebbe prossimo al capolinea se come successivamente da lui stesso dichiarato nei prossimi 6 mesi non si apporteranno quelle misure che gli consentirebbero di proseguire il lavoro sin qui svolto.
Risapute sono le nostalgie di Prandelli per la panchina di un club ma il Ct cade in contraddizione nel momento in cui indica, nella valorizzazione dei settori e delle nazionali giovanili, la strada per un progetto vincente a favore della Nazionale non disdegnando di sedere ancora sulla panchina azzurra sino al 2014 lungo quel periodo che vedrà l'Italia impegnata sia nelle qualificazioni ai Mondiali che nella Confederation Cup nel 2013 in Brasile.
Più pesante per il ruolo politico che ricopre sono le esternazioni di Giancarlo Abete. Non
sono mancate le stoccate ad indirizzo della Lega di Serie A. "Lega mai così insignificante. Solleciteremo un confronto che vada al di là dei vincoli che la Lega deve rispettare. Quando c'è un progetto globale non si lavora nella stessa direzione ma su due piani diversi". Frasi che pesano come macigni ma che perdono consistenza quando Abete aggiunge che "ci vuole una politica sportiva e noi proviamo a farla".
Una frase che fa riaffiorare quei vecchi e atavici problemi di un calcio italiano per i quali Abete dovrebbe indicare delle soluzioni mostrando, quando è il caso, la propria autorevolezza per ridare prestigio, dignità e visibilità alla maglia azzurra mai tanto oscurata come in passato dai "colori" dei club.
La parabola della trave e della pagliuzza fa al caso dei due massimi esponenti azzurri. Togliersi i sassolini dalle scarpe non ha senso se prima non si fa quel profondo esame di coscienza perchè - oggettivamente guardando - quanto espresso da entrambe altro non è che una critica al "sistema nazionale" da loro stessi sorretto sino al 1 Luglio 2012.
Entrambe, forse ancora condizionati sia dall'amaro in bocca che dalla rabbia per la finale persa non risparmiano le (auto)critiche al sistema calcistico italiano. Quanto al Ct azzurro oltre a dover recitare il mea culpa per non aver inserito elementi freschi c'è anche una considerazione che funge da antifona per il suo futuro.
Con quel: "Non posso allenare ogni 3-8 mesi. Non mi reputo all'altezza perchè sono un tecnico, un uomo di bordo campo e non un politico o un burocrate", Prandelli ha fatto così intendere che il suo rapporto professionale con la Nazionale sarebbe prossimo al capolinea se come successivamente da lui stesso dichiarato nei prossimi 6 mesi non si apporteranno quelle misure che gli consentirebbero di proseguire il lavoro sin qui svolto.
Risapute sono le nostalgie di Prandelli per la panchina di un club ma il Ct cade in contraddizione nel momento in cui indica, nella valorizzazione dei settori e delle nazionali giovanili, la strada per un progetto vincente a favore della Nazionale non disdegnando di sedere ancora sulla panchina azzurra sino al 2014 lungo quel periodo che vedrà l'Italia impegnata sia nelle qualificazioni ai Mondiali che nella Confederation Cup nel 2013 in Brasile.
Più pesante per il ruolo politico che ricopre sono le esternazioni di Giancarlo Abete. Non
sono mancate le stoccate ad indirizzo della Lega di Serie A. "Lega mai così insignificante. Solleciteremo un confronto che vada al di là dei vincoli che la Lega deve rispettare. Quando c'è un progetto globale non si lavora nella stessa direzione ma su due piani diversi". Frasi che pesano come macigni ma che perdono consistenza quando Abete aggiunge che "ci vuole una politica sportiva e noi proviamo a farla".
Una frase che fa riaffiorare quei vecchi e atavici problemi di un calcio italiano per i quali Abete dovrebbe indicare delle soluzioni mostrando, quando è il caso, la propria autorevolezza per ridare prestigio, dignità e visibilità alla maglia azzurra mai tanto oscurata come in passato dai "colori" dei club.
La parabola della trave e della pagliuzza fa al caso dei due massimi esponenti azzurri. Togliersi i sassolini dalle scarpe non ha senso se prima non si fa quel profondo esame di coscienza perchè - oggettivamente guardando - quanto espresso da entrambe altro non è che una critica al "sistema nazionale" da loro stessi sorretto sino al 1 Luglio 2012.