A Castiglione storie di ordinaria emigrazione sospese tra la Palestina, la Svizzera e il “Capo”

di Francesco Greco. Partirono per migliorarsi: come uomini, padri di famiglia, lavoratori stanchi di sfruttamento sulle terre dei padroni, i “don”. Tornarono malati, patologie dai nomi barocchi, quasi rassicuranti: carcinomi, placche pleuriche, fibrosi polmonari. La polvere di amianto nei polmoni non perdona, le “ternitte” le abbiamo messe ovunque. Solo dopo ci hanno detto che sono velenose e portano terribili patologie.

Il benessere minimo che emancipa dalla povertà i figli, i padri, gli avi, è costato caro. 2300 morti, altri si stanno curando, soprattutto nel “Capo” fra Andrano, Tiggiano e Corsano, ma anche al Nord: Monfalcone, Casale Monferrato, ecc. (in vista del processo d’appello a Torino). Forse era meglio restare sotto u ‘mbracchiu (ricovero di fortuna fatto di canne e cespugli secchi), a ripararsi dal sole crudele e mangiare erbe selvatiche e piselli “crudei” (non cottoi).

Storie di ordinaria emigrazione echeggiate a Castiglione d’Otranto (Lecce), alla seconda Festa della Migrazione organizzata, in un luogo simbolo come la stazione ferroviaria, dall’Associazione “Arturo Benedetti Michelangeli”. Gente tanta, di ogni sorta, ansiosa di sapere, indagare le folate di emigranti nell’altro secolo, le facce del fenomeno, che è sempre in movimento.

E infatti a un certo punto compaiono i 60 ragazzi neri che da un anno risiedono in un agriturismo vicino: sono arrivati qui sognando il Salento come fosse l’Eldorado, la Terra Promessa: sono finiti in un palude da cui nessuno riesce a farli uscire, e fortuna che la brava gente di Castiglione li tratta con affetto come fossero figli della sua terra mitigando la nostalgia dell’Africa.

Il successo di “In nome del padre” (è stato presentato a Bologna, Torino, Parma, all’Università di Napoli, a Montreau, ecc.) è stato così travolgente che ha convinto il produttore Isidoro Colluto (Mexapya Production) e i registi Donato Nuzzo e Fulvio Rifuggio a lavorare a un documentario appunto sulle storie dell’eternit, i drammi, le malattie, i morti, i processi, le condanne. E’ stato proposto un trailer di 7 minuti.

Il lavoro sarà pronto a settembre e sarà portato in giro per l’Europa. La serata di Castiglione è vissuta sulla proiezione di un film, “Tomorrow’ land”, di Andrea Paco Mariani e Nicola Zambelli (musiche dei Radiodervish): tratta la questione dei territori (Gaza) dove vivono 8 milioni di Palestinesi e la provocazione dei coloni israeliani è quotidiana: terre rubate, pascoli minacciati, contadini scacciati, bambini scortati la mattina quando vanno a scuola.

Curiosa la produzione: i registi hanno raccolto i denari necessari con un appello sul web a cui hanno risposto alcune realtà associative fra Brescia e Bologna. Nuovi espedienti per girare quello che piace al cinema militante. I produttori tradizionali si sa cacciano i soldi solo per gli ultimi baci e le vacanze a Rio, oltre che per isole di famosi e grandi fratelli.

Alla fine il dibattito moderato dal prof. di Filosofia Pati Luceri. Avremmo voluto chiedere perché sul cartellone che segnala la stazione Andrano-Castiglione c’è oscurato col pennello appunto Andrano (comune, Castiglione è frazione). Rivendicazione di autonomia? Ma ci ha distratto la mostra di foto in bianco e nero appese con mollette da bucato (foto di Francesco Spadafora) ospitata nel casello ferroviario e i racconti degli emigranti sulle fabbriche di eternit ripetuti dal monitor in una nicchia. Storie di ordinaria emigrazione, sospese fra Medio Oriente, Europa e Mediterraneo. Storie dell’altro secolo, simili a quelle del XXI: corsi e ricorsi storici.

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