ROMA. La grande crisi compie cinque anni ed è ormai diventata la 'tempesta perfetta' in grado di scuotere dalle fondamenta il sistema mondiale. Le risposte definitive tardano ad arrivare e intanto tutti guardano a Berlino per conoscere fino a che punto il cuore forte dell'Europa vuole e può salvare l'Eurozona e con essa la ripresa mondiale.
Dal 2007 il bilancio sul modo di superare il più importante choc subito dai mercati dal dopoguerra è fatto di poche luci e molte ombre. Complici le misure impopolari e le manovre lacrime e sangue che tutti vogliono evitare di assumere e le ricadute sociali e depressive che ogni rigore di bilancio finisce per generare.
Il tentativo di salvare le istituzioni finanziarie, primo bersaglio del terremoto dei mercati tra il 2007 e il 2008 culminato con il crac Lehman, al netto dei progressi compiuti e delle riforme, ha lasciato infatti enormi debiti pubblici, in Usa come in Europa. Proprio dal peggioramento dei conti pubblici dei paesi industrializzati nasce l'ultima evoluzione della crisi, passata dai bilanci delle banche a quelli degli stati, arrivando a colpire i più indebitati e/o sopraffatti dalla mancanza di risorse per far fronte alle esigenze di rifinanziamento.
Sono caduti così, sotto il peso della speculazione, prima la Grecia per l'enorme debito, poi l'Irlanda per la crisi bancaria e subito dopo il Portogallo per la debolezza della sua economia. Dallo scorso anno la linea di difesa dell'euro è indietreggiata e ha messo sotto assedio Roma e Madrid mentre sull'altra sponda dell'Atlantico è accaduto l'impossibile: gli Usa hanno perso la tripla A, seguiti poi dalla Francia.
Responsabile della 'bocciatura' americana Standard & Poor's, una di quelle agenzie di rating messe sotto accusa per non aver saputo prevedere la crisi all'inizio, ma nonostante tutto rimaste inspiegabilmente impunite a dire agli altri cosa si deve o non si deve fare.
Ma in questi giorni siamo ancora a discutere di scudi antispread e possibili salvataggi per la Spagna, segno che in realtà non si è fatto molto per rasserenare i mercati. A cinque anni dall'inizio della crisi non si riesce ancora a vedere quindi una via d'uscita. In questi anni gli Usa si sono dati, con la riforma voluta dal presidente Obama, una legislazione più stringente sugli investimenti in derivati delle banche. Ma si è ancora ben lontani da una disciplina globale, nonostante gli sforzi del G20 e del Financial Stability Board.
Intanto il tempo stringe e gli occhi restano incollati sull'Europa mentre un giudice, a Berlino, deciderà se l'Esm sia compatibile con la Costituzione tedesca il prossimo 12 settembre, sperando che la data, compresa tra l'11 settembre e il 15 del fallimento Lehman, porti più fortuna.
Dal 2007 il bilancio sul modo di superare il più importante choc subito dai mercati dal dopoguerra è fatto di poche luci e molte ombre. Complici le misure impopolari e le manovre lacrime e sangue che tutti vogliono evitare di assumere e le ricadute sociali e depressive che ogni rigore di bilancio finisce per generare.
Il tentativo di salvare le istituzioni finanziarie, primo bersaglio del terremoto dei mercati tra il 2007 e il 2008 culminato con il crac Lehman, al netto dei progressi compiuti e delle riforme, ha lasciato infatti enormi debiti pubblici, in Usa come in Europa. Proprio dal peggioramento dei conti pubblici dei paesi industrializzati nasce l'ultima evoluzione della crisi, passata dai bilanci delle banche a quelli degli stati, arrivando a colpire i più indebitati e/o sopraffatti dalla mancanza di risorse per far fronte alle esigenze di rifinanziamento.
Sono caduti così, sotto il peso della speculazione, prima la Grecia per l'enorme debito, poi l'Irlanda per la crisi bancaria e subito dopo il Portogallo per la debolezza della sua economia. Dallo scorso anno la linea di difesa dell'euro è indietreggiata e ha messo sotto assedio Roma e Madrid mentre sull'altra sponda dell'Atlantico è accaduto l'impossibile: gli Usa hanno perso la tripla A, seguiti poi dalla Francia.
Responsabile della 'bocciatura' americana Standard & Poor's, una di quelle agenzie di rating messe sotto accusa per non aver saputo prevedere la crisi all'inizio, ma nonostante tutto rimaste inspiegabilmente impunite a dire agli altri cosa si deve o non si deve fare.
Ma in questi giorni siamo ancora a discutere di scudi antispread e possibili salvataggi per la Spagna, segno che in realtà non si è fatto molto per rasserenare i mercati. A cinque anni dall'inizio della crisi non si riesce ancora a vedere quindi una via d'uscita. In questi anni gli Usa si sono dati, con la riforma voluta dal presidente Obama, una legislazione più stringente sugli investimenti in derivati delle banche. Ma si è ancora ben lontani da una disciplina globale, nonostante gli sforzi del G20 e del Financial Stability Board.
Intanto il tempo stringe e gli occhi restano incollati sull'Europa mentre un giudice, a Berlino, deciderà se l'Esm sia compatibile con la Costituzione tedesca il prossimo 12 settembre, sperando che la data, compresa tra l'11 settembre e il 15 del fallimento Lehman, porti più fortuna.