di Francesco Greco
“Il Mediterraneo attende da tempo una grande opera sul proprio destino”: Predrag Matvejevic (“Breviario Mediterraneo”, Garzanti). Crocevia di etnie e culture, contaminazioni e fusioni: il Mediterraneo da millenni racchiude fra le sue sponde aspre e morbide e i flutti quieti e rabbiosi una ricca semantica sempre in via di decodificazione. Oggi più che mai dopo le rivoluzioni dei gelsomini, le primavere arabe portate dal vento del web, il protagonismo delle nuove generazioni che riprendono in mano i loro destini, sottraendoli a quelle viscide di tiranni da burletta e faraoni.
Gagliano è nel cuore di tenebra del sud Salento sospeso fra Balcani, Medio Oriente e Maghreb e che si schianta a Finibus Terrae fra il lezioso e materno Jonio e il rude, possente Adriatico sotto l’occhio vigile del faro addossato al Promontorio Japigio dove veneravano e sacrificavano alla dea Athena.
Qui sino al 26 agosto (tutti i giorni dalle 20 alle 24) sette artisti di fama internazionale (selezionati da Ludovico Pratesi, critico del “Venerdì” di Repubblica) riflettono sui destini del mondo e dei popoli che sul Mediterraneo si affacciano con le loro opere ospitate nel vecchio Palazzo Gargasole, una per stanza: installazioni pregne di provocazioni, capaci di visioni scagliate nel futuro, letture del reale fuori da ogni convenzione, estetiche, percezioni, sensibilità.
“Capo d’Arte” (inaugurata dal sindaco Antonio Buccarello) è giunta alla terza edizione (è nata nel 2010 da un’idea di Francesca Bonomo, manager culturale, Tiziana Frescobaldi, giornalista, Francesco Petrucci, associato di una nota casa d’arte, Mirko Pozzi, architetto) e marca, in qualità e spessore cultrale, l’estate artistica del Sud. “Mediterraneo: incontri o conflitti?”, ha visto la presenza di Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933, autore dei famosi ”Quadri Specchianti”, 1961-1962), che ha proposto la sua opera “Love Difference” (un enorme tavolo a forma di Mediterraneo) e accanto al maestro piemontese ha chiamato a discuterne il sottosegretario agli Esteri Steffan De Mistura, gli inviati Rai Duilio Giammaria e Monica Maggioni, l’ambasciatore Ettore Sequi, il regista Edoardo Winspeare, l’economista Elena Carletti, gli artisti Rossella Biscotti e Pascal Hachem.
Ecco dunque le opere che il visitatore troverà: Kader Attia (nato da famiglia algerina nelle banlieu di Parigi, vive a Berlino), “Light 2012”: l’opera si ispira alla forma delle falci, strumento che insanguina ogni sommossa scaturita dalla rabbia popolare dei popoli del Mediterraneo. Rossella Biscotti (Molfetta, 1978, vive e lavora ad Amsterdam) propone un video di 7 minuti e 40 secondi, titolo un sacco ironico: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Affronta la questione dello sfuttamento, oggi nel Belpaese, di migranti ed extracomunitari, costretti a fare i lavori che gli italiani sdegnano, pur avendo fame. Pascal Hachem (è nato e vive a Beirut), “Slow Food”, opera del 2010 (proposta alla Piramide Cestia, a Roma): un piatto, 2000 forchette (foto di Sandra Sammali). Denuncia la voracità insaziabile delle oligarchie e le family dei tiranni che vivono nel lusso e nello spreco e poi lasciano i loro popoli alla fame. Moataz Nasr (esponente di spicco dell’arte contemporanea in Egitto, è nato ad Alessandria, vive al Cairo), “Ya Wadod” (in arabo “Compassione”), 2011. Opera in alabastro che esalta la trasparenza delle cose in rapporto al misticismo. Ahmet Ogut (è nato in Turchia, vive ad Amsterdam), “Perfect Lovers”, 2008. 2 € e una lira turca, monete entrambe sputtanate, prive di valore, di due continenti (Europa e Asia) spinti dalle loro governance incapaci e corrotte nella melma della precarietà esistenziale diffusa e senza sbocchi. L’opera si ispira ai famosi due orologi a muro del cubano Felix Gonzales Torres. Adrian Paci, “The Encounter”, 2011: un video di 22 minuti dove una piccola folla gira in tondo in una piazza (quella di Scicli, Sicilia). Gesti e rituali immobli nel tempo. L’artista albanese (è nato a Skodra nel 1969, vive e lavora a Milano) dice a noi mediterranei di frantumare gli archetipi della mente e mettersi in gioco (come hanno fatto libici, egiziani, siriani, ecc.). E infine Sislej Xhafa (nato a Peja, Kossovo, nel 1978), vive a New York, “Theatre Who Knows Everything”, 2009, 4 minuti e 7 secondi. Vetriolo contro i tiranni che soffocano ogni espressione artistica: un’orchestra sudanese suona al Cairo, ma le facce dei musicisti non si vedono, si ascoltano solo i loro strumenti.
Messaggio subliminale della proposta artistica di Gagliano del Capo: tutti i popoli del Mediterraneo (noi inclusi) hanno bisogno di coraggio e protagonismo per destrutturare gli archetipi culturali correnti, seppellire il reale, rinnovare i postulati etici-estetici delle loro “primavere” attraverso una nuova koinè, una rimodulazione della politica che lasci intravedere nuove, insospettate “visioni”.
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LA RECENSIONE