di Vittorio Polito. Una domenica di un agosto tra il 1990 e il 1995, almeno questi sono i miei ricordi riferiti alle date, mi trovavo in prossimità del Castello Svevo e, avendo incontrato un amico che mi riferiva di essere appena uscito dall’azienda di Don Mario Cavalli, decisi di passare anch’io da casa Levante. Premesso che allora i rapporti con la famiglia Cavalli erano di pura conoscenza, non di amicizia come ora, mi ritrovai in un regno fatto di libri, macchine, carta e scaffalature. Don Mario e i figli stavano organizzando il lavoro per il mercoledì successivo, giorno di riapertura, dopo le ferie estive.
Feci il nome della persona che mi aveva indirizzato in azienda e Don Mario fu contento tanto da affermare che fino a qualche anno prima, questo comune amico, era
una presenza fissa nei giorni festivi. La disponibilità dei Cavalli fu subito totale e così
scoprii una realtà forse solo apparentemente poco barese: l’usanza di ricevere amici e clienti nei giorni festivi, sabato e domenica, in modo da non togliere spazio alla normale attività .
Nonostante fosse ancora agosto – periodo notoriamente riservato alle vacanze – non sembrava casa Levante, ma porto Levante e fino alle 13,30, orario in cui sono andato via, ho conosciuto tanti giornalisti, nel tempo divenuti… colleghi, e tanti scrittori… da considerarmi, già da allora, della famiglia. (Negli anni ho pubblicato tre libri ).
Ricordo che quel giorno Don Mario ad una signora che aveva telefonato in azienda chiedendo del marito, chiamandola per nome, disse «Se tuo marito viene da me, senza che lo abbia prescritto il medico, vuol dire che è felice di farlo e se un uomo è felice lo devono essere anche le persone che gli vogliono bene».
Anni dopo, quando ho recensito il volume dell’on. Pisicchio dal titolo “La mela dolce. Il diritto costituzionale alla felicità ”, mi sono ricordato dell’episodio perché il libro chiosava che il fine della politica fosse la felicità . Partendo da presupposti diversi forse Don Mario e l’onorevole volevano farci capire quanta soggettività vi fosse nella ricerca della felicità .
In tutti questi anni sono tornato tante volte, soprattutto il sabato, nell’azienda di via Napoli ove ho conosciuto tante persone ed appreso episodi di vissuto quotidiano che poi ho utilizzato per costruirmi una vita piena ed operosa; da pensionato che cerca di dare sfogo alle sue curiosità , senza timore di avventurarsi per sentieri sconosciuti.
Consentitemi di mettervi al corrente di due vicende di cui sono stato testimone, in presa diretta, nella casa editrice Levante.
Una volta Mario Cavalli mi ha presentato un professore di latino e greco, di cui non rammento il cognome, che volle raccontarmi a tutti i costi l’episodio che gli aveva fatto conoscere quasi mezzo secolo prima l’editore. Il professore aveva necessità di pubblicare in tempi brevi un libro con oltre 30 pagine di tutto testo greco.
Per un lavoro precedente era stato a Roma ed in treno nel tornare a Bari aveva conosciuto un giornalista che gli aveva detto che nella tipografia di Mario Cavalli stampavano giornali e libri con celerità e precisione. E così fu! Quando il docente andò via, dopo aver abbracciato Don Mario, mi salutò con una stretta di mano pregna di un calore ed un affetto che ancora oggi non riesco a dimenticare e pronunciò l’ennesima frase in latino, nonostante gli avessi detto, più volte, che i miei studi non contemplavano lingue classiche.
In seguito Don Mario mi disse che si trattava di un grande uomo: corretto, severo, dignitoso, inflessibile… specialmente con gli studenti poco disposti all’impegno.
Per restare in argomento l’altro episodio di cui voglio farvi partecipi si ‘intitola’ “Don Mario fa i miracoli”. Quando mi è stato presentato questo illustre insegnante, parlando di Don Mario, disse: «Per me quest’uomo ha fatto un miracolo». Proverò a raccontarvi la storia precisando che io sono riuscito a metterla a fuoco dopo molte spiegazioni; spero di essere abbastanza chiaro per farvela apprezzare. Una sera di un anno del secolo scorso questo docente si presentò da Levante per ritirare le quattro copie di un libro che avrebbe dovuto presentare il giorno dopo per partecipare ad un concorso. (Nei ricordi di Gianni Cavalli questo era già un primo miracolo perché il libro era stato confezionato in quattro giorni). Quella sera la richiesta del professore fu di aggiungere una ventina di pagine… chiaramente per il giorno dopo.
Subito i figli di Don Mario evidenziarono “l’impossibilità della richiesta per qualsiasi azienda”, anzi Gianni si spinse oltre sottolineando che una persona di buon senso non avrebbe inoltrato l’istanza.
Gli animi si riscaldarono e, per ammissione dello stesso professore, vi fu un vivace scambio di idee tra lui e Gianni Cavalli, notoriamente “il vulcano” dell’azienda. Don Mario congedò il professore con un “vedremo quello che si può fare”. A questo punto è stato Raffaele Cavalli a venire in mio soccorso con precise ed esaurienti spiegazioni tecniche. In quel periodo da Levante erano “sfornate” giornalmente, al servizio di varie testate locali, più pagine della stessa “Gazzetta del Mezzogiorno”. Per questo si alternavano turni alle linotype. (Questo particolare è fondamentale per la riuscita dell’impresa).
Don Mario valutato che le macchine da stampa erano tutte programmate per entrare in funzione la mattina seguente, ritenne che bisognava tentare con un metodo antidiluviano: il tirabozze. Divise il testo in due e lo affidò a due linotipisti, i più bravi, in modo da avere nella notte più tempo per le operazioni successive. Furono tirate le bozze che furono corrette da Gianni, mi dicono infallibile “cecchino” nello scovare gli errori.
Riscontrate le correzioni Don Mario impaginò e risultarono ventiquattro pagine; quindi servendosi di un buon tirabozze stampò singolarmente le pagine prima da una parte e poi dall’altra, aspettando un po’ di tempo tra le due operazioni per consentire alla carta di asciugarsi. (Mi è stato spiegato che perfino per un addetto ai lavori, con grande esperienza, si tratta di impresa irta di difficoltà , perché “una cosa è la bozza, altra la stampa”).
Don Mario dopo aver provveduto ad allargare il dorso della copertina del libro, onde poter ospitare le ventiquattro pagine in più, cercò di cucire in qualche modo i fogli sciolti prima di incollarli e mettere la copertina. La perfezione di Don Mario lo portò a far aggiungere anche la riga del nuovo capitolo nell’indice. Con una operazione tutta a mano, nel senso che, composta la riga di piombo, fu intrisa nell’inchiostro e con polso fermo fu impressa su carta. Anche se questa operazione fosse stata capita solo da qualche vecchio tipografo o giornalista, mi riterrò soddisfatto.
In sostanza alla 8,30 del giorno dopo Don Mario tagliò le quattro copie alla presenza del professore che ritenne di aver avuto un piccolo piacere, in seguito percepì le dimensioni del ‘miracolo’. Don Mario aveva passato in azienda una intera nottata felice di non aver deluso le aspettative dell’amico, in quel caso anche cliente.
Il docente in questione nel salutare Gianni Cavalli disse: “Voglio darle un consiglio… faccia l’avvocato non è per lei dirigere un’azienda” al che Cavalli rispose
“lo stesso dicasi per lei” e con una risata, che nel tempo è divenuta sempre più espansiva, si strinsero la mano.
Quell’agosto, che per me è uno dei ricordi più ‘caldi’ dell’esistenza, non mi ha cambiato la vita, ma mi ha aiutato ad alimentare passioni che hanno costretto a far morire di ‘fame’ una nevrosi che per tutti noi è sempre in agguato.
Feci il nome della persona che mi aveva indirizzato in azienda e Don Mario fu contento tanto da affermare che fino a qualche anno prima, questo comune amico, era
una presenza fissa nei giorni festivi. La disponibilità dei Cavalli fu subito totale e così
scoprii una realtà forse solo apparentemente poco barese: l’usanza di ricevere amici e clienti nei giorni festivi, sabato e domenica, in modo da non togliere spazio alla normale attività .
Nonostante fosse ancora agosto – periodo notoriamente riservato alle vacanze – non sembrava casa Levante, ma porto Levante e fino alle 13,30, orario in cui sono andato via, ho conosciuto tanti giornalisti, nel tempo divenuti… colleghi, e tanti scrittori… da considerarmi, già da allora, della famiglia. (Negli anni ho pubblicato tre libri ).
Ricordo che quel giorno Don Mario ad una signora che aveva telefonato in azienda chiedendo del marito, chiamandola per nome, disse «Se tuo marito viene da me, senza che lo abbia prescritto il medico, vuol dire che è felice di farlo e se un uomo è felice lo devono essere anche le persone che gli vogliono bene».
Anni dopo, quando ho recensito il volume dell’on. Pisicchio dal titolo “La mela dolce. Il diritto costituzionale alla felicità ”, mi sono ricordato dell’episodio perché il libro chiosava che il fine della politica fosse la felicità . Partendo da presupposti diversi forse Don Mario e l’onorevole volevano farci capire quanta soggettività vi fosse nella ricerca della felicità .
In tutti questi anni sono tornato tante volte, soprattutto il sabato, nell’azienda di via Napoli ove ho conosciuto tante persone ed appreso episodi di vissuto quotidiano che poi ho utilizzato per costruirmi una vita piena ed operosa; da pensionato che cerca di dare sfogo alle sue curiosità , senza timore di avventurarsi per sentieri sconosciuti.
Consentitemi di mettervi al corrente di due vicende di cui sono stato testimone, in presa diretta, nella casa editrice Levante.
Una volta Mario Cavalli mi ha presentato un professore di latino e greco, di cui non rammento il cognome, che volle raccontarmi a tutti i costi l’episodio che gli aveva fatto conoscere quasi mezzo secolo prima l’editore. Il professore aveva necessità di pubblicare in tempi brevi un libro con oltre 30 pagine di tutto testo greco.
Per un lavoro precedente era stato a Roma ed in treno nel tornare a Bari aveva conosciuto un giornalista che gli aveva detto che nella tipografia di Mario Cavalli stampavano giornali e libri con celerità e precisione. E così fu! Quando il docente andò via, dopo aver abbracciato Don Mario, mi salutò con una stretta di mano pregna di un calore ed un affetto che ancora oggi non riesco a dimenticare e pronunciò l’ennesima frase in latino, nonostante gli avessi detto, più volte, che i miei studi non contemplavano lingue classiche.
In seguito Don Mario mi disse che si trattava di un grande uomo: corretto, severo, dignitoso, inflessibile… specialmente con gli studenti poco disposti all’impegno.
Per restare in argomento l’altro episodio di cui voglio farvi partecipi si ‘intitola’ “Don Mario fa i miracoli”. Quando mi è stato presentato questo illustre insegnante, parlando di Don Mario, disse: «Per me quest’uomo ha fatto un miracolo». Proverò a raccontarvi la storia precisando che io sono riuscito a metterla a fuoco dopo molte spiegazioni; spero di essere abbastanza chiaro per farvela apprezzare. Una sera di un anno del secolo scorso questo docente si presentò da Levante per ritirare le quattro copie di un libro che avrebbe dovuto presentare il giorno dopo per partecipare ad un concorso. (Nei ricordi di Gianni Cavalli questo era già un primo miracolo perché il libro era stato confezionato in quattro giorni). Quella sera la richiesta del professore fu di aggiungere una ventina di pagine… chiaramente per il giorno dopo.
Subito i figli di Don Mario evidenziarono “l’impossibilità della richiesta per qualsiasi azienda”, anzi Gianni si spinse oltre sottolineando che una persona di buon senso non avrebbe inoltrato l’istanza.
Gli animi si riscaldarono e, per ammissione dello stesso professore, vi fu un vivace scambio di idee tra lui e Gianni Cavalli, notoriamente “il vulcano” dell’azienda. Don Mario congedò il professore con un “vedremo quello che si può fare”. A questo punto è stato Raffaele Cavalli a venire in mio soccorso con precise ed esaurienti spiegazioni tecniche. In quel periodo da Levante erano “sfornate” giornalmente, al servizio di varie testate locali, più pagine della stessa “Gazzetta del Mezzogiorno”. Per questo si alternavano turni alle linotype. (Questo particolare è fondamentale per la riuscita dell’impresa).
Don Mario valutato che le macchine da stampa erano tutte programmate per entrare in funzione la mattina seguente, ritenne che bisognava tentare con un metodo antidiluviano: il tirabozze. Divise il testo in due e lo affidò a due linotipisti, i più bravi, in modo da avere nella notte più tempo per le operazioni successive. Furono tirate le bozze che furono corrette da Gianni, mi dicono infallibile “cecchino” nello scovare gli errori.
Riscontrate le correzioni Don Mario impaginò e risultarono ventiquattro pagine; quindi servendosi di un buon tirabozze stampò singolarmente le pagine prima da una parte e poi dall’altra, aspettando un po’ di tempo tra le due operazioni per consentire alla carta di asciugarsi. (Mi è stato spiegato che perfino per un addetto ai lavori, con grande esperienza, si tratta di impresa irta di difficoltà , perché “una cosa è la bozza, altra la stampa”).
Don Mario dopo aver provveduto ad allargare il dorso della copertina del libro, onde poter ospitare le ventiquattro pagine in più, cercò di cucire in qualche modo i fogli sciolti prima di incollarli e mettere la copertina. La perfezione di Don Mario lo portò a far aggiungere anche la riga del nuovo capitolo nell’indice. Con una operazione tutta a mano, nel senso che, composta la riga di piombo, fu intrisa nell’inchiostro e con polso fermo fu impressa su carta. Anche se questa operazione fosse stata capita solo da qualche vecchio tipografo o giornalista, mi riterrò soddisfatto.
In sostanza alla 8,30 del giorno dopo Don Mario tagliò le quattro copie alla presenza del professore che ritenne di aver avuto un piccolo piacere, in seguito percepì le dimensioni del ‘miracolo’. Don Mario aveva passato in azienda una intera nottata felice di non aver deluso le aspettative dell’amico, in quel caso anche cliente.
Il docente in questione nel salutare Gianni Cavalli disse: “Voglio darle un consiglio… faccia l’avvocato non è per lei dirigere un’azienda” al che Cavalli rispose
“lo stesso dicasi per lei” e con una risata, che nel tempo è divenuta sempre più espansiva, si strinsero la mano.
Quell’agosto, che per me è uno dei ricordi più ‘caldi’ dell’esistenza, non mi ha cambiato la vita, ma mi ha aiutato ad alimentare passioni che hanno costretto a far morire di ‘fame’ una nevrosi che per tutti noi è sempre in agguato.
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