di Francesco Greco. Teatro sotto le stelle a Poggiardo, nell’antica dimora del poeta Fernando Rausa (1926-1977, “Terra mara e nicchiarica”, Manni editori, 2006 e “L’umbra de la sira”, Edizioni Atena, 2009), una delle voci più appassionate e pregnanti del Novecento letterario di Terra d’Otranto. Il figlio Paolo (nella foto di Julia Moldovan mentre fa da voce narrante), brillante giornalista e vulcanico regista, ma soprattutto grande ideatore e organizzatore di eventi, che vive fra Milano e il Salento, con la sua Compagnia teatrale “In Scena!” ha presentato in prima nazionale uno spettacolo liberamente ispirato a “Volti di carta” (Storie di donne del Salento del tempo che fu), di Raffaella Verdesca (Edizioni Albatros, Roma 2012, pp. 176, € 15), scrittrice pugliese che ha messo insieme una gallery di ritratti in b/n e relative storie di donne dell’altro secolo affinché il velo dell’oblio non cadesse su di loro per sempre.
Dalla giovanissima operaia tabacchina (“Il biglietto”) alla mammana che diventa madre facendosi carico di una bambina partorita da una ragazza sola, dalla contadina fiera violentata mentre è al lavoro nei campi sotto gli ulivi dal barone che vuole un figlio a tutti i costi a Immacolata che, seconda guerra mondiale, curiosa di un’altra cultura, socializza con gli Ebrei a Santa Maria al Bagno (Nardò), in “Shalom” (sposerà uno dei prigionieri davanti al mare), alla “vedova bianca” (così era detta la donna col marito emigrato all’estero) che scrive lettere d’amore colme di desiderio e passione al suo uomo che sta alla “Merica”.
In equilibrio sul filo teso della memoria, delle radici riscoperte in chiave dialettica, di un “ieri” che aveva le sue contraddizioni ma anche il suo fascino, ognuna di queste interagisce con gli uomini in piena autonomia di pensiero divenendo in tal modo, portando il proprio vissuto, protagonista della Storia. In un contesto, la civiltà contadina, dove sebbene il pane era poco ma condiviso, la società era tenuta insieme da valori forti, sentimenti autentici, ma anche dalla sofferenza quotidiana mentre sullo sfondo avveniva uno scontro sociale e di classe in termini forse non coscienti ma di enorme rilevanza storica, nel senso che conteneva il “virus” di quel che sarebbe avvenuto dopo: lotte sociali, rivoluzioni, sconvolgimenti epocali, conquiste di cui si trova traccia filologica anche nella canzoni d’amore e di lavoro, ma anche in quelle con cui il regista pugliese accompagna lo spettacolo, da De Andrè alla Mannoia, ai canti della tradizione popolare di Terra d’Otranto.
In scena dunque 2-3 generazioni di donne immerse in un quotidiano complesso, dove bisognava portare a casa un po’ di pane (e magari spartirlo con chi non aveva manco quello) e vivere ispirandosi a un patrimonio di valori non relativizzati. Una quotidianità ma da cui non se ne fanno travolgere, anzi, in un certo modo sanno gestire adombrando e rivendicando così vivendo un soggettivismo la cui valenza politica si riverbera nella società contemporanea, nel vissuto delle generazioni successive.
Paolo Rausa è anche socio dell’Arp (Associazione Regionale Pugliesi a Milano), e nella sua lunga e prestigiosa carriera ha firmato molte performance di successo: da “Sguardi sul Mediterraneo”, Alba dei Popoli al Faro della Palascìa a Otranto, la rappresentazione di “Natura e cultura nel mondo romano” con i carcerati a Milano-Bollate, il contributo al 150° dell’Unità d’Italia con lo spettacolo “L’idea di Italia nella letteratura: da Dante a Pasolini”) e altro col contributo di Ornella Bongiorni, esperta di audiovisivi.
Nello spettacolo “Volti di carta” i ruoli sono stati interprati da Maria Orsi, Tiziana Montinari, Norina Stincone, Lucia Minutello, Pasquale Quaranta, Tina Aventaggiato, Francesco Spadafora, Julia Moldovan, Francesco Greco, Vito Luceri, Rosaria Pasca, Ninetto Cazzatello e Florinda Caroppo. Uno spicchio di luna ha fatto da “testimone” a uno spettacolo di grande intensità, colmo di pathos già nel testo e interpretato con emozionante adesione stanislavskjana. “Le donne del Sud – osserva infine il regista – sono forti, sono state protagoniste del loro riscatto, hanno difeso la loro dignità: hanno molto da insegnarci”. Sono donne, c’è da aggiungere, espressione di un matriarcato sottinteso: i loro uomini erano in guerra, o emigrati e hanno preso il loro posto allevando i figli, facendo bastare il poco e vivendo con onore e dignità. Alto dunque lo spessore umano del testo della scrittrice di Copertino, Lecce (ci è nata nel 1968: anno-simbolo) e dello spettacolo, lieve e poetico, in certi passaggi onirico il modo di svilupparlo. Sarà portato in tournèe in tutta Italia. Mentre il regista già lavora al prossimo ripreso dalla cultura classica che frequenta così bene e non da oggi: le “Metamorfosi” di Ovidio attualizzate al Terzo Millennio, con un Re Mida (l’Imperatore) sbeffeggiato dal poeta, tanto da essere esiliato: una maschera dietro cui non è difficile indovinare un protagonista della politica italiana che era uscito di scena e ora rientra con un coup-de-theàtre alla Jonesco... Sipario!
Dalla giovanissima operaia tabacchina (“Il biglietto”) alla mammana che diventa madre facendosi carico di una bambina partorita da una ragazza sola, dalla contadina fiera violentata mentre è al lavoro nei campi sotto gli ulivi dal barone che vuole un figlio a tutti i costi a Immacolata che, seconda guerra mondiale, curiosa di un’altra cultura, socializza con gli Ebrei a Santa Maria al Bagno (Nardò), in “Shalom” (sposerà uno dei prigionieri davanti al mare), alla “vedova bianca” (così era detta la donna col marito emigrato all’estero) che scrive lettere d’amore colme di desiderio e passione al suo uomo che sta alla “Merica”.
In equilibrio sul filo teso della memoria, delle radici riscoperte in chiave dialettica, di un “ieri” che aveva le sue contraddizioni ma anche il suo fascino, ognuna di queste interagisce con gli uomini in piena autonomia di pensiero divenendo in tal modo, portando il proprio vissuto, protagonista della Storia. In un contesto, la civiltà contadina, dove sebbene il pane era poco ma condiviso, la società era tenuta insieme da valori forti, sentimenti autentici, ma anche dalla sofferenza quotidiana mentre sullo sfondo avveniva uno scontro sociale e di classe in termini forse non coscienti ma di enorme rilevanza storica, nel senso che conteneva il “virus” di quel che sarebbe avvenuto dopo: lotte sociali, rivoluzioni, sconvolgimenti epocali, conquiste di cui si trova traccia filologica anche nella canzoni d’amore e di lavoro, ma anche in quelle con cui il regista pugliese accompagna lo spettacolo, da De Andrè alla Mannoia, ai canti della tradizione popolare di Terra d’Otranto.
In scena dunque 2-3 generazioni di donne immerse in un quotidiano complesso, dove bisognava portare a casa un po’ di pane (e magari spartirlo con chi non aveva manco quello) e vivere ispirandosi a un patrimonio di valori non relativizzati. Una quotidianità ma da cui non se ne fanno travolgere, anzi, in un certo modo sanno gestire adombrando e rivendicando così vivendo un soggettivismo la cui valenza politica si riverbera nella società contemporanea, nel vissuto delle generazioni successive.
Paolo Rausa è anche socio dell’Arp (Associazione Regionale Pugliesi a Milano), e nella sua lunga e prestigiosa carriera ha firmato molte performance di successo: da “Sguardi sul Mediterraneo”, Alba dei Popoli al Faro della Palascìa a Otranto, la rappresentazione di “Natura e cultura nel mondo romano” con i carcerati a Milano-Bollate, il contributo al 150° dell’Unità d’Italia con lo spettacolo “L’idea di Italia nella letteratura: da Dante a Pasolini”) e altro col contributo di Ornella Bongiorni, esperta di audiovisivi.
Nello spettacolo “Volti di carta” i ruoli sono stati interprati da Maria Orsi, Tiziana Montinari, Norina Stincone, Lucia Minutello, Pasquale Quaranta, Tina Aventaggiato, Francesco Spadafora, Julia Moldovan, Francesco Greco, Vito Luceri, Rosaria Pasca, Ninetto Cazzatello e Florinda Caroppo. Uno spicchio di luna ha fatto da “testimone” a uno spettacolo di grande intensità, colmo di pathos già nel testo e interpretato con emozionante adesione stanislavskjana. “Le donne del Sud – osserva infine il regista – sono forti, sono state protagoniste del loro riscatto, hanno difeso la loro dignità: hanno molto da insegnarci”. Sono donne, c’è da aggiungere, espressione di un matriarcato sottinteso: i loro uomini erano in guerra, o emigrati e hanno preso il loro posto allevando i figli, facendo bastare il poco e vivendo con onore e dignità. Alto dunque lo spessore umano del testo della scrittrice di Copertino, Lecce (ci è nata nel 1968: anno-simbolo) e dello spettacolo, lieve e poetico, in certi passaggi onirico il modo di svilupparlo. Sarà portato in tournèe in tutta Italia. Mentre il regista già lavora al prossimo ripreso dalla cultura classica che frequenta così bene e non da oggi: le “Metamorfosi” di Ovidio attualizzate al Terzo Millennio, con un Re Mida (l’Imperatore) sbeffeggiato dal poeta, tanto da essere esiliato: una maschera dietro cui non è difficile indovinare un protagonista della politica italiana che era uscito di scena e ora rientra con un coup-de-theàtre alla Jonesco... Sipario!