('Cercatori di lumache', Ezio Sanapo) |
Sanapo è un artista con la “a” maiuscola, oltre che un uomo con valori d’altri tempi. Racconta la sua storia bella e intensa in un pomeriggio d’autunno nello studio nel centro antico di Tricase: fra una birra e l’altra scorrono i ricordi condivisi con la moglie e l’amico Gigi Schiavano. Un uomo sfaccettato, inquieto, sospeso fra passato e futuro. Da piccolo fa il proiezionista al “Nunziatella”, il cinemino del paese: ricorda ancora l’odore aspro dell’acetone che salda le pellicole censurate. In Va elementare il padre-padrone che ha una piccola ditta edile decide che ha studiato troppo e lo strappa ai banchi. I compagni vanno a casa sua piangendo: “Ezio, torna… Sennò chi ci fa i disegni?”. Talento naturale, nato per dipingere. Alzare case non gli piace, meglio pittarle. Calce e pennello, ditta già a 14 anni.
Un giorno il postino gli consegna una grossa busta gialla: dentro un contratto di lavoro: sorpreso se lo rigira fra le mani: idea del padre. Riempie in fretta una valigia. 6 anni in Svizzera, cantone tedesco. Mette su famiglia. Inizia a farsi la casa, sogno di tutti gli emigranti. Vinto dalla nostalgia per le radici torna. Nel frattempo scopre la politica, milita nel Pci, apre la prima Casa del Popolo in Salento (1979), vicino agli artigiani, la Cna, poi il sindacato con cui occupa le fabbriche che chiudono, delocalizzano. Ricama un muretto a secco intorno alla Casa del Popolo: lo accusano di abusivismo. Salento d’amare. Lavoricchia mentre nascono i due figli. Una mattina la superiora delle Clarisse lo chiama: vuoi rinfrescare il convento? Butta giù un preventivo, si è sotto elezioni, Ezio prepara una lista. L’immancabile lingua lunga lo dice alla suora: perde il lavoro. Non resta che spolverare la valigia di cartone: destinazione Parma, le case aristocratiche se lo contendono ammaliate dai suoi stucchi. Altra fiammata di nostalgia per la terra natia: torna e si mette a fare pennelli con le code di cavallo comprate dai macellai.
L’arte di Sanapo ha il suo input estetico in un neo-Umanesimo che a prima vista appare utopistico, ma nel suo incedere si regge sulla speranza di un mondo diverso: senza l’uomo sarebbe un vegetale. Rimodula i valori relativizzati del mondo contadino. E’ un acuto osservatore, tic, solitudini, metafore gravide, nude allegorie: “Ci salverà la passione, l’essenza, non la materia…”. Ascolta le storie della gente: il suo mito è Papa Cajazzu, il prete irriverente del XVII secolo: ne parla su www.eziosanapo.it. A Marittima incontra una vecchia che sin da bambina chiede ai passanti: “E’ arrivata la nave? Se non viene a portarmi la dote non posso sposarmi…”. Eccola, titolo “Meridiana”: seduta, viso di rughe, veste e fazzoletto in testa neri, il piatto coperto da un altro a non raffreddare la minestra, non mangia, aspetta, cosa? “Qualcosa…”, sorride Sanapo, autodidatta. E quella giovane moglie che coricata accanto al marito ha occhi d’oliva spalancati nella notte, cosa la tormenta? Altra tematica forte: l’individualismo. Ci corrompe. Dopo il declino della civiltà contadina, che però ci portiamo nel dna, dove nessuno era solo e l’avvento della tv che ha scavato solchi di alienazione: “Ci hanno chiusi in casa, ci neghiamo agli altri, ostaggi di un nemico che non c’è, che entra via cavo…”. Ecco coppie che ballano sole, in case disadorne, la single che festeggia il compleanno, sola, soffiando sulla candelina sulla torta. Il cane dallo sguardo enigmatico chiede: mi vorranno? La capra fuori dal recinto faccia al muro. Artista “di cuore e passione”, nutre l’utopia di ritrovare l’incanto primordiale, la verginità smarrita: lo sguardo degli “Amanti” è luminoso, hanno appena rubato un po’ d’amore. Crede nella coppia prima di tutto: “Chi si isola è vulnerabile, senza futuro…”. E nella donna del XXI secolo, che pensa forte: eccola in “Canneto” mentre sfida un’infida palude di canne avanzare senza paura: postulato di un nuovo matriarcato. L’uomo invece è debole, scosso dalla tempesta, privo di identità, un clone: lo trova pensieroso che fissa a terra la sua ombra; un ragazzo, più saggio, torna alla terra, coglie “foje reste” (erbe spontanee), mentre il bambino sulla spiaggia non vede il mare nel secchiello: “Dipingo per dialogare con la gente… Amo le facce, gli atteggiamenti, le espressioni dei volti… Non m’interessano critici d’arte, scuole pittoriche… L’arte non deve riempire buchi alle pareti ma comunicare emozioni, farci sentire ancora vivi, ancora utili…”.
L’umile artista pugliese ci riesce con lo sguardo infantile, magico, fiabesco: scalda come il raggio di sole che penetra il cielo grigio