Maria Teresa Lattarulo. Contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della nozione di “ingente quantità di sostanza stupefacente” ai sensi dell’articolo 80, comma 2, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 hanno condotto alla pronuncia del 20 settembre 2012 delle Sezioni unite della Cassazione. In tale composizione il giudice di legittimità (la Corte di Cassazione) è chiamato a dirimere le “controversie” fra le sezioni semplici della stessa Corte che conducono a pronunzie non omogenee, potenzialmente lesive del principio di uguaglianza.
Definire la nozione di ingente quantità di sostanza stupefacente è necessario al giudice di merito per poter procedere senza incertezze all’applicazione della relativa circostanza aggravante a effetto speciale, sul presupposto della sussistenza di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti. La questione non è di poco momento se si pensa alle conseguenze che l’aggravante in questione comporta: trattandosi di una circostanza a effetto speciale, l’inasprimento di pena che essa determina è considerevole, vale a dire essa comporta un aumento dalla metà ai due terzi della pena edittale (il legislatore ha predisposto un quadro sanzionatorio di estrema severità già per le ipotesi “ordinarie”, non aggravate, di tali condotte). Altre conseguenze sfavorevoli sono l’ampliamento dei termini di custodia cautelare, l’ampliamento dei termini di durata massima delle indagini preliminari, l’inasprimento del trattamento penitenziario, l’esclusione dall’indulto concesso con legge 31 luglio 2006 n. 241.
Un primo orientamento giurisprudenziale ha adottato il criterio “mercantilistico” per il quale si avrebbe “ingente quantità” tutte le volte in cui si sia in presenza di un quantitativo di sostanza stupefacente tale da saturare il mercato in un determinato momento. Tale criterio, assente nella lettera della norma e comunque, di fatto, indefinibile, è stato superato. E’ apparso più rispondente alla finalità del legislatore (la tutela della salute e della sicurezza pubblica) ritenere che sussistesse la circostanza della “ingente quantità” tutte le volte in cui si fosse in presenza di una quantità di sostanza stupefacente idonea a raggiungere un numero elevatissimo di consumatori. L’aggravante in questione doveva dunque ritenersi sussistente tutte le volte in cui il quantitativo, pur non raggiungendo il vertice massimo di valore, fosse tale da rappresentare un pericolo per la salute pubblica per l’idoneità a soddisfare un numero rilevante di tossicodipendenti, senza alcun riferimento al mercato.
Non si riteneva fosse compito del giudice di legittimità elaborare dei parametri numerici per definire tale nozione legislativa, in quanto tale precisazione, compito del legislatore e non del giudice, avrebbe comportato un sacrificio del principio di proporzionalità nella commisurazione in concreto della pena da parte del giudice di merito.
Un altro orientamento, sulla base del principio di determinatezza della legge penale, aspetto del più generale principio di legalità presidiato dall’art. 25, comma secondo, della Costituzione, nonché dall’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, aveva ancorato la nozione di “ingente quantità” ad un dato numerico. La Sesta sezione, a partire dal 2010, aveva fissato delle soglie, variabili a seconda si trattasse di “droghe pesanti” o “leggere”, commisurate alla percentuale di sostanza stupefacente “pura” contenuta negli stock (per un valore ponderale di principio attivo superiore a due chilogrammi per le c.d. droghe pesanti ed a cinquanta chilogrammi per le c.d. droghe leggere). Al di sotto di dette soglie non si sarebbe potuta ritenere sussistente l’aggravante in questione.
La sentenza in commento ha aderito a quest’ultima giurisprudenza fondandola su un dato positivo. Essa ha dato infatti rilievo all’introduzione da parte del legislatore di soglie quantitative di punibilità, così argomentando: “Se il legislatore ha positivamente determinato la soglia – quantitativa, appunto – di punibilità (dunque un limite “verso il basso”), consegue che l’interprete ha il compito di individuare una soglia al di sotto della quale, secondo i dati offerti dalla fenomenologia del traffico di sostanze stupefacenti, non possa parlarsi di “ingente quantità” (un limite, quindi, “verso l’alto”)”. Da tali soglie legislative minime le Sezioni unite hanno ricavato quelle per la configurabilità dell’aggravante della ingente quantità mediante l’applicazione di un moltiplicatore. Il principio di diritto enunciato dalla sentenza è pertanto il seguente: “L’aggravante della ingente quantità, di cui al comma 2 dell’art. 80 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006”.
Consapevoli tuttavia della necessità di non sostituirsi al legislatore, le Sezioni unite hanno fatto salva “la discrezionale valutazione del giudice di merito” nel caso in cui i parametri quantitativi posti siano stati superati, con ciò elaborando una soluzione “compromissoria” rispetto all’esigenza di certezza perseguita. I parametri cioè possono essere ritenuti non confacenti al caso di specie a patto, però, che il giudice di merito offra specifica indicazione dei criteri di riferimento ai quali ha inteso aderire. Non era possibile fare di più per conciliare la difesa del principio di legalità con il rispetto della competenza del legislatore a fronte di una clausola legislativa così gravemente indeterminata.
Definire la nozione di ingente quantità di sostanza stupefacente è necessario al giudice di merito per poter procedere senza incertezze all’applicazione della relativa circostanza aggravante a effetto speciale, sul presupposto della sussistenza di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti. La questione non è di poco momento se si pensa alle conseguenze che l’aggravante in questione comporta: trattandosi di una circostanza a effetto speciale, l’inasprimento di pena che essa determina è considerevole, vale a dire essa comporta un aumento dalla metà ai due terzi della pena edittale (il legislatore ha predisposto un quadro sanzionatorio di estrema severità già per le ipotesi “ordinarie”, non aggravate, di tali condotte). Altre conseguenze sfavorevoli sono l’ampliamento dei termini di custodia cautelare, l’ampliamento dei termini di durata massima delle indagini preliminari, l’inasprimento del trattamento penitenziario, l’esclusione dall’indulto concesso con legge 31 luglio 2006 n. 241.
Un primo orientamento giurisprudenziale ha adottato il criterio “mercantilistico” per il quale si avrebbe “ingente quantità” tutte le volte in cui si sia in presenza di un quantitativo di sostanza stupefacente tale da saturare il mercato in un determinato momento. Tale criterio, assente nella lettera della norma e comunque, di fatto, indefinibile, è stato superato. E’ apparso più rispondente alla finalità del legislatore (la tutela della salute e della sicurezza pubblica) ritenere che sussistesse la circostanza della “ingente quantità” tutte le volte in cui si fosse in presenza di una quantità di sostanza stupefacente idonea a raggiungere un numero elevatissimo di consumatori. L’aggravante in questione doveva dunque ritenersi sussistente tutte le volte in cui il quantitativo, pur non raggiungendo il vertice massimo di valore, fosse tale da rappresentare un pericolo per la salute pubblica per l’idoneità a soddisfare un numero rilevante di tossicodipendenti, senza alcun riferimento al mercato.
Non si riteneva fosse compito del giudice di legittimità elaborare dei parametri numerici per definire tale nozione legislativa, in quanto tale precisazione, compito del legislatore e non del giudice, avrebbe comportato un sacrificio del principio di proporzionalità nella commisurazione in concreto della pena da parte del giudice di merito.
Un altro orientamento, sulla base del principio di determinatezza della legge penale, aspetto del più generale principio di legalità presidiato dall’art. 25, comma secondo, della Costituzione, nonché dall’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, aveva ancorato la nozione di “ingente quantità” ad un dato numerico. La Sesta sezione, a partire dal 2010, aveva fissato delle soglie, variabili a seconda si trattasse di “droghe pesanti” o “leggere”, commisurate alla percentuale di sostanza stupefacente “pura” contenuta negli stock (per un valore ponderale di principio attivo superiore a due chilogrammi per le c.d. droghe pesanti ed a cinquanta chilogrammi per le c.d. droghe leggere). Al di sotto di dette soglie non si sarebbe potuta ritenere sussistente l’aggravante in questione.
La sentenza in commento ha aderito a quest’ultima giurisprudenza fondandola su un dato positivo. Essa ha dato infatti rilievo all’introduzione da parte del legislatore di soglie quantitative di punibilità, così argomentando: “Se il legislatore ha positivamente determinato la soglia – quantitativa, appunto – di punibilità (dunque un limite “verso il basso”), consegue che l’interprete ha il compito di individuare una soglia al di sotto della quale, secondo i dati offerti dalla fenomenologia del traffico di sostanze stupefacenti, non possa parlarsi di “ingente quantità” (un limite, quindi, “verso l’alto”)”. Da tali soglie legislative minime le Sezioni unite hanno ricavato quelle per la configurabilità dell’aggravante della ingente quantità mediante l’applicazione di un moltiplicatore. Il principio di diritto enunciato dalla sentenza è pertanto il seguente: “L’aggravante della ingente quantità, di cui al comma 2 dell’art. 80 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006”.
Consapevoli tuttavia della necessità di non sostituirsi al legislatore, le Sezioni unite hanno fatto salva “la discrezionale valutazione del giudice di merito” nel caso in cui i parametri quantitativi posti siano stati superati, con ciò elaborando una soluzione “compromissoria” rispetto all’esigenza di certezza perseguita. I parametri cioè possono essere ritenuti non confacenti al caso di specie a patto, però, che il giudice di merito offra specifica indicazione dei criteri di riferimento ai quali ha inteso aderire. Non era possibile fare di più per conciliare la difesa del principio di legalità con il rispetto della competenza del legislatore a fronte di una clausola legislativa così gravemente indeterminata.