Oliver Stone torna con le sue 'Belve'

Andrea Stano. A due anni di distanza dalla sua ultima fatica “Wall Street – il denaro non dorme mai” (sequel del film del 1987 col caimano Gordon Gekko meravigliosamente interpretato da un Michael Douglas in formissima) Oliver Stone torna ad indossare i panni del cineasta proponendo questa volta una pellicola sul traffico di stupefacenti. Si tratta di “Savages” (dall’omonimo romanzo di Don Winslow), per il pubblico italiano “Le Belve”, nonostante durante il film si faccia spesso riferimento alla parola “selvaggi”, a questo punto più appropriata per il titolo. L’ideale sarebbe stato semplicemente confermare l’originale, non si tratta, infatti, per rendere l’idea, di un complicato titolone come “The eternal sunshine of the spotless mind” (volgarmente proposto nelle sale italiane con l’insulso ed offensivo titolo di “Se mi lasci ti cancello”).

Protagonisti del film sono Taylor Kitsch (“Snake on a plane”, “Battleship”) e Aaron Johnson (“Albert Nobbs”, “Nowhere boy”), rispettivamente Chon e Ben, due amici di vecchia data coltivatori di marijuana, la migliore mai prodotta al mondo. Uno, ex soldato della Navy Seal con le missioni in Iraq e Afghanistan ancora sulla pelle, l’altro botanico professionista, buddista e ambientalista convinto con l’ostinata idea di poter cambiare il mondo. I due condividono, nella loro splendida e sibaritica casa a Laguna Beach in California, l’amore di Ophelia, soprannominata semplicemente “O”, emancipata ragazza con un passato difficile,che ha il volto dell’incantevole Blake Lively di Gossip Girl, alla sua seconda prova di attrice in un film che conta sul serio dopo l’esperienza in “The Town” di Ben Affleck.

Le loro idilliache giornate trascorse tra surf, menage a trois e abuso di droghe leggere verranno brutalmente minacciate dall’intrusione del cartello della droga della Mexican Baja, interessata al soddisfacente lavoro compiuto dai due giovani nella produzione di cannabis. Il rifiuto alla collaborazione costerà il rapimento di Ophelia da parte della spietata organizzazione capitanata da un improbabile boss femmina, Elena Sanchez, impersonata da Salma Hayek che più ci prova e più non convince come mammasantissima del racket della droga. Suo sottoposto nonché braccio destro è Lado, viscido e perfido doppiogiochista interpretato da Benicio Del Toro. I due ebbero modo di lavorare assieme già in Traffic, il capolavoro di Soderbergh molto simile per tematiche e location proprio al film in questione.

Chon e Ben verranno dunque catapultati in un mondo fino ad ora sconosciuto, fatto di orribili violenze e subdole macchinazioni alle quali non potranno sottrarsi per liberare la loro compagna di vita.

Le Belve è un film tutto sommato discreto ma non pienamente riuscito. E’ un pulp movie poco accattivante, del resto cimentarsi in un genere come questo con precedenti illustri quali il sopra citato Traffic, Blow o meglio ancora, Pulp Fiction, non è nemmeno così semplice.

Dal tre volte premio oscar Oliver Stone onestamente ci si aspetta quel pizzico di maestria e originalità in più che lo hanno distinto nei suoi celebri lungometraggi degli anni 80’. Ma aldilà dell’impeccabile regia, e ci mancherebbe altro, il film presenta non poche falle, a partire dalla scelta di un cast non proprio indimenticabile. Kitsch, Johnson e Lively sono tre bombe sexy ma ne devono mangiare di pane duro per formarsi ed ergersi ad attori validi e degni di ricevere ruoli di un certo peso. Del Toro è stato scelto probabilmente più per le fattezze e l’accento latinoamericano che per reali competenze, e lo stesso vale per una pessima e poco credibile Salma Heyek, che icona sexy lo è stata, ma oramai tanti anni fa. Lo stesso John Travolta, che nel film è Dennis, corrotto federale con un piede in due staffe, è un attore molto distante dal canto del cigno e chissà se e quando questo momento lo vedrà spiccare il volo.

Davvero irritante risulta poi la voce fuori campo di Ophelia con la quale il regista decide (non saggiamente) di aprire il film. Un espediente trito e ritrito, oramai abusato in quel di Hollywood, che a dirla tutta ha un po’ stufato. Presentare la vicenda per renderla più chiara e comprensibile possibile, accennare astutamente al passato e al presente dei protagonisti e descriverne caratteri e atteggiamenti quando sono volti, immagini e finissimi dettagli a doverli far trasparire, rappresenta un passo falso imperdonabile, soprattutto se ad usufruirne è un mostro sacro come l’autore del memorabile “Platoon”.

Anche argomenti più profondi e dalla portata estremamente delicata come l’efficacia terapeutica di talune droghe, la collusione tra crimine e forze dell’ordine e il rinnovamento ambientale con energie alternative (temi forse cari al regista da sempre morbosamente impegnato a livello sociale nei propri frutti cinematografici) fanno solo da contorno alla banale vicenda narrata finendo per essere accennati ma mai del tutto approfonditi e scandagliati a dovere.

Il regista newyorkese, forse ispiratosi a Tarantino in alcune scene del film (cruenti vessazioni, bianco e nero avvicendato al colore, ma col regista di Kill Bill sono noti antichi dissapori) regala anche qualche gratuita scena di violenza (non moltissime in verità), a volte macabra e raccapricciante, unici e rari momenti di vera adrenalina e palpabile curiosità.

Anche il finale delude le aspettative con un colpo di scena (non proprio alla Lost) che è difficile persino definirlo tale.

Aldilà dei giudizi più severi e intransigenti “Le Belve” risulta essere un film interessante. Sono 131 minuti che, in un modo o nell’altro,  intrattengono il pubblico che in barba alla lunghezza dell’opera ha pur sempre di fronte un film che si lascia guardare, mai avvolgente, mai attanagliante come ci si aspetterebbe, ma sempre sulla media. Giudizio complessivamente sufficiente.

Voto: 6.5

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