Francesco Greco. La forma mentis di chi cerca casa, fosse una stanza subaffitto, un miserabile posto-letto, risponde a parametri socio-antropologici clonati. Come stereotipo è la crudeltà di chi mette sul mercato il brand, la predisposizione genetica a mentire nell’annuncio che gira in rete (occhio alle “casette libere su tre lati”, le “mansarde di pregio in stabile d’epoca”, il “box doppio con soppalco per eventuali bambini”), post attaccati qua e là, rubriche sui giornali. Trappole ben congegnate in cui è facile cadere, gironi danteschi dove ogni opzione è possibile, specie quella che meno t’aspetti.
Padroni di casa e conduttori (così si chiamano gli inquilini), come i coinquilini fanno parte di una tipologia diffusa a ogni latitudine. Anche al tempo delle agenzie immobiliari e il web, la crudeltà d’animo, il cinismo dei primi fa pendant alla fragilità indotta dal bisogno di mettersi un tetto sulla testa dei secondi. Il sommerso è regola: quasi mai i contratti sono registrati. Alcuni padroni di casa tacciono il motivo dell’affitto basso: ogni mezzora decolla un aereo o passa la metro che fa tremare le pareti, tintinnare tazze e bicchieri. Ognuno insomma recita il suo ruolo come ispirato da uno script sottinteso.
I condomini sono modelli lager con regole scritte e non. Prova a ascoltare Luca Colella dopo le 10 di sera e il portiere ti telefonerà. O prova a non dare la mancia quand’è festa alla portiera e sarai guardato come un pezzente. Non è un caso che i tribunali sono colmi di diatribe condominiali e ogni tanto c’è un fatto di sangue: qualcuno dà fuori da matti, imbraccia il fucile e fa un massacro sol perchè quello del piano di sopra ha il volume della merdosa fiction troppo alto. I vicini diranno alle gazzette “oh ma era una brava persona, salutava tutti e la domenica insaponava l’auto”. La spiegazione dell’improvvisa follia è antropologica. Siamo animali in cattività costretti in scatole di sardine, ciò ci fa irritabili, nervosi, violenti.
Per chi da studente o lavoratore ha vagato, zaino in spalla, da un quartiere all’altro, “Cerco casa non un cesso”, AA. VV. Edizioni 80144, Roma 2012, pp. 208, € 12, è come ripassare ciò che si è vissuto sulla propria pelle, un déjà-vu che magari in anni lontani spinse, da studenti fuorisede, a militare nei collettivi autonomi che occupavano case sfitte o rivendicavano il diritto alla casa per i proletari. Come nel film “Totò cerca casa”, c’è una chiave surreale, una password paradossale, una cifra demenziale nei 9 racconti allineati e uniti da un delirio costante, la conferma che ovunque e sempre il campionario di chi non ha un alloggio e di chi lo offre risponde, come i famosi riflessi condizionati del cane Pavlov, a determinati format. Di più oggi solo le nuove tecnologie.
Certo, in omaggio all’italian style, miglioriamo le nostre performance. Il chirurgo odontoiatra borghese che affitta bilocale a studenti “solo referenziatissimi” che gli accudiscono la canapa che confezionata spaccia ai frikkettoni solo a Milano in via della Spiga lo possiamo trovare (Silvia Monteverdi, “via della spiga, appartamento fittasi”). Come originale è la Marisa in carriera che chiede 300 € ma con gli extra arriva a 430, tiene il divano regalo della mamma incellofanato affinchè non si sciupi e vorrebbe pure (Simone Arminio, “Cerco casa, non un cesso”) far recitare a Marco (“Cucini tanto? Non friggerai mica…”) la parte del boyfriend geloso se l’amante che si porta a cena, raccattato su un socialnetwortk o un locale, ma “senza malizia”, non è di suo gusto. Finisce a dormire nel letto della cartomante Madame Colette, uccisa da una cliente a cui ha svelato che il marito non era uno stinco di santo…
Come la signora di Siena che affitta l’attico da cui ha sfrattato una vedova incapiente che poi si scoprirà un’assassina, nella zona più ventosa della città (Mattia Frasca, “Tre camere al Franchi”). Ma tutti abbiamo abitato in stanze squallide, con la carta da parati sfatta dall’umidità, case dove “le pareti hanno la psoriasi e c’è pure un certo tanfo di anziano” (Mauro Maraschi, ”l’essenziale”) e tutti siamo stati sfrattati all’alba da carabinieri seccati e borbottoni ma al fondo buoni come il pane come l’appuntato Mario Mazzolino. Un classico gli annunci razzisti: “Offresi doppia in centro a studenti (meglio studentesse) tranquille, possibilmente single, non fumatrici e amanti dei gatti. No matricole, no meridionali, no Dams” (morosi per dna?). Come le padrone di casa, anzi, le anziane padrone di casa, clonate, “capelli color puffo, dentiere a specchio e un’età compresa fra gli ottanta e i centotrent'anni… donna bionica, capace di 'cacare il cazzo' ai suoi inquilini a qualsiasi ora…”. Che spaccia tre buchi per tre bagni e che ha rischiato di farci diventare degli assassini. Deliziosi anche gli altri racconti, Federico Fascetti, “Soppalco”, Euro Carello, “Una proposta s/conveniente”, Fabio Emidi, “Abiezione”, Simone Arminio, “Cerco casa reprise”, Angelo Zabaglio e Andrea Coffami, “Come cacciare un coinquilino”.
Una gallery di location e sit-com in cui specchiarci, non per autocompiacerci delle nostre basse inclinazioni o evitare il prossimo dentista pusher in giacca di tweed col divano da 15mila € “dai cuscinoni barocchi” o anziane padrone di casa sorde che cucinano cavoli, ma per farci trovare preparati (magari pòrtati dietro mammina dalla Sicilia), armati d’ironia senza la quale è arduo vivere, e cercare casa, fosse anche a equo/iniquo canone.
Padroni di casa e conduttori (così si chiamano gli inquilini), come i coinquilini fanno parte di una tipologia diffusa a ogni latitudine. Anche al tempo delle agenzie immobiliari e il web, la crudeltà d’animo, il cinismo dei primi fa pendant alla fragilità indotta dal bisogno di mettersi un tetto sulla testa dei secondi. Il sommerso è regola: quasi mai i contratti sono registrati. Alcuni padroni di casa tacciono il motivo dell’affitto basso: ogni mezzora decolla un aereo o passa la metro che fa tremare le pareti, tintinnare tazze e bicchieri. Ognuno insomma recita il suo ruolo come ispirato da uno script sottinteso.
I condomini sono modelli lager con regole scritte e non. Prova a ascoltare Luca Colella dopo le 10 di sera e il portiere ti telefonerà. O prova a non dare la mancia quand’è festa alla portiera e sarai guardato come un pezzente. Non è un caso che i tribunali sono colmi di diatribe condominiali e ogni tanto c’è un fatto di sangue: qualcuno dà fuori da matti, imbraccia il fucile e fa un massacro sol perchè quello del piano di sopra ha il volume della merdosa fiction troppo alto. I vicini diranno alle gazzette “oh ma era una brava persona, salutava tutti e la domenica insaponava l’auto”. La spiegazione dell’improvvisa follia è antropologica. Siamo animali in cattività costretti in scatole di sardine, ciò ci fa irritabili, nervosi, violenti.
Per chi da studente o lavoratore ha vagato, zaino in spalla, da un quartiere all’altro, “Cerco casa non un cesso”, AA. VV. Edizioni 80144, Roma 2012, pp. 208, € 12, è come ripassare ciò che si è vissuto sulla propria pelle, un déjà-vu che magari in anni lontani spinse, da studenti fuorisede, a militare nei collettivi autonomi che occupavano case sfitte o rivendicavano il diritto alla casa per i proletari. Come nel film “Totò cerca casa”, c’è una chiave surreale, una password paradossale, una cifra demenziale nei 9 racconti allineati e uniti da un delirio costante, la conferma che ovunque e sempre il campionario di chi non ha un alloggio e di chi lo offre risponde, come i famosi riflessi condizionati del cane Pavlov, a determinati format. Di più oggi solo le nuove tecnologie.
Certo, in omaggio all’italian style, miglioriamo le nostre performance. Il chirurgo odontoiatra borghese che affitta bilocale a studenti “solo referenziatissimi” che gli accudiscono la canapa che confezionata spaccia ai frikkettoni solo a Milano in via della Spiga lo possiamo trovare (Silvia Monteverdi, “via della spiga, appartamento fittasi”). Come originale è la Marisa in carriera che chiede 300 € ma con gli extra arriva a 430, tiene il divano regalo della mamma incellofanato affinchè non si sciupi e vorrebbe pure (Simone Arminio, “Cerco casa, non un cesso”) far recitare a Marco (“Cucini tanto? Non friggerai mica…”) la parte del boyfriend geloso se l’amante che si porta a cena, raccattato su un socialnetwortk o un locale, ma “senza malizia”, non è di suo gusto. Finisce a dormire nel letto della cartomante Madame Colette, uccisa da una cliente a cui ha svelato che il marito non era uno stinco di santo…
Come la signora di Siena che affitta l’attico da cui ha sfrattato una vedova incapiente che poi si scoprirà un’assassina, nella zona più ventosa della città (Mattia Frasca, “Tre camere al Franchi”). Ma tutti abbiamo abitato in stanze squallide, con la carta da parati sfatta dall’umidità, case dove “le pareti hanno la psoriasi e c’è pure un certo tanfo di anziano” (Mauro Maraschi, ”l’essenziale”) e tutti siamo stati sfrattati all’alba da carabinieri seccati e borbottoni ma al fondo buoni come il pane come l’appuntato Mario Mazzolino. Un classico gli annunci razzisti: “Offresi doppia in centro a studenti (meglio studentesse) tranquille, possibilmente single, non fumatrici e amanti dei gatti. No matricole, no meridionali, no Dams” (morosi per dna?). Come le padrone di casa, anzi, le anziane padrone di casa, clonate, “capelli color puffo, dentiere a specchio e un’età compresa fra gli ottanta e i centotrent'anni… donna bionica, capace di 'cacare il cazzo' ai suoi inquilini a qualsiasi ora…”. Che spaccia tre buchi per tre bagni e che ha rischiato di farci diventare degli assassini. Deliziosi anche gli altri racconti, Federico Fascetti, “Soppalco”, Euro Carello, “Una proposta s/conveniente”, Fabio Emidi, “Abiezione”, Simone Arminio, “Cerco casa reprise”, Angelo Zabaglio e Andrea Coffami, “Come cacciare un coinquilino”.
Una gallery di location e sit-com in cui specchiarci, non per autocompiacerci delle nostre basse inclinazioni o evitare il prossimo dentista pusher in giacca di tweed col divano da 15mila € “dai cuscinoni barocchi” o anziane padrone di casa sorde che cucinano cavoli, ma per farci trovare preparati (magari pòrtati dietro mammina dalla Sicilia), armati d’ironia senza la quale è arduo vivere, e cercare casa, fosse anche a equo/iniquo canone.