Francesco Greco. Il cinema, questo sconosciuto. Dai Fratelli Lumière al web ha cambiato mille facce. Muto, bianco e nero, sonoro, dolby, digitale, e quant’altro. Un’arte dunque sempre in divenire, che coglie le metamorfosi irrisolte della società , le metabolizza, si reinventa ogni mattina alzo zero. Con una costante: il fascino ontologico, la presa su di noi che sediamo e guardiamo scorrere i frame di una storia, una visione, è invariato. Il sogno intatto da quel 28 dicembre 1895 (fra poche settimane dunque compirà 117 anni) quando i suoi inventori proiettarono al pubblico francese sbigottito il “corto” dove una locomotiva pareva irrompere nella sala dell’evento che avrebbe segnato in profondo la storia dell’umanità , il suo immaginario.
In questo secondo secolo di vita la musa più polisemica che si conosca riscrive la sua grammatica, rinnova la semantica, cerca altre password di decodificazione per un pubblico sempre più vasto che chiede emozioni vere. E’ l’evoluzione naturale, un passaggio obbligato dalle nuove tecnologie e dal web in cerca di una dimensione che emozioni i cuori e folgori le menti di un pubblico sempre più globale. A scannerizzare questo momento di infinita transizione, di snodo che non è enfasi definire epocale, e in cui siamo tutti immersi, giunge opportuno “Le nuove forme della cultura cinematografica” (Critica e cinefilia nell’epoca del web), Edizioni Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 186, € 16, Collana “Cinergie” n. 1, a cura di Roy Menarini (che dirige la collana e insegna Storia del Cinema al Dams di Gorizia, Università di Udine).
Un libro che non può mancare nella biblioteca di ogni cinefilo che si rispetti, per la semplice ragione che illumina ogni aspetto della cultura audiovisiva, quella impegnata (da Godard a Tarantino) come quella che si usa definire “leggera”, l’intrattenimento che codifichiamo approssimativamente sotto la voce “fiction”.
Il volume si compone di una serie di saggi rigorosi quanto veloci e divulgativi, scritti con la passione di chi ama il cinema, che hanno il merito di indagare il sottosuolo sfuggente dello specifico audiovisivo a 360 gradi, appagando in tal modo ogni possibile curiosità di un pubblico vecchio e nuovo, colto e più popolare. Non c’è bisogno di un master a Cinecittà nè di avere “Sentieri selvaggi” fra i “preferiti” per dire che il web ha riscritto anche il modo di “leggere” un’opera e rimodulato le interfacce dello specifico filmico facendo dell’interazione la regola principale. Per cui sia la produzione che la fruizione come la critica sono diventati di massa, o comunque si sono “contaminati” l’un l’altro. Tutti siamo allo stesso tempo produttori (anche come piccole aziende nel mettere su il budget di “corti” e documentari), spettatori alle rassegne e i cineclub, e anche critici: i siti più letti, sia intra che extra moenia, infatti hanno link in cui possiamo improvvisarci nell’arte che un tempo aveva i suoi “sacerdoti”: Morandini, Kezich, Biraghi, Grazzini, Rondi, Pitta, Causo e qualche altro che firmava “vice”: autorevoli e ascoltati come “guru”. Il web ha disarticolato quel modo di fare critica reinventandone altri, fra cui il passaparola, il condividi, links, blogs, tags, il mi piace sui siti e poi Facebook, Twitter, ecc.
Contrariamente però a quanto si crede, la critica classica resiste e lotta insieme a noi: è solo integrata dal web con news sullo star-system, lo script, il regista, gli attori, la colonna sonora, le location e quant'altro. Tutto tende a dare il più informazioni possibile per scegliere cosa vedere nelle sale, in tv, nelle rassegne e festival, in dvd e con l’on-demand e tutte le altre opzioni possibili. Menarini parla di “post-cinema”: semplicemente godiamo di ulteriori, insospettate sino a ieri possibilità di avvicinarci a quest’arte antica sempre nuova. Anche se, alla fine del saggio, acuta è la nostalgia per la sala com’era concepita negli anni passati, luogo di celebrazione di un rito collettivo, di socialità e scambio di oralità e di esperienze, e se vogliamo anche di crescita, individuale e collettiva: ma questa è una sensazione che può essere dettata dalla formazione culturale. Ma anche, input della preziosa postilla di Gianni Canova, la convinzione che il web sinora si è rivelato un’occasione usata in modo approssimativo rispetto alle potenzialità espressive, e comunque limitato alle parole: “Godard, già vent’anni fa, era molto più avanti”. Mi piace, come si dice in rete: quasi quasi lo metto sui miei profili Facebook, lo twitto, lo taggo…
In questo secondo secolo di vita la musa più polisemica che si conosca riscrive la sua grammatica, rinnova la semantica, cerca altre password di decodificazione per un pubblico sempre più vasto che chiede emozioni vere. E’ l’evoluzione naturale, un passaggio obbligato dalle nuove tecnologie e dal web in cerca di una dimensione che emozioni i cuori e folgori le menti di un pubblico sempre più globale. A scannerizzare questo momento di infinita transizione, di snodo che non è enfasi definire epocale, e in cui siamo tutti immersi, giunge opportuno “Le nuove forme della cultura cinematografica” (Critica e cinefilia nell’epoca del web), Edizioni Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 186, € 16, Collana “Cinergie” n. 1, a cura di Roy Menarini (che dirige la collana e insegna Storia del Cinema al Dams di Gorizia, Università di Udine).
Un libro che non può mancare nella biblioteca di ogni cinefilo che si rispetti, per la semplice ragione che illumina ogni aspetto della cultura audiovisiva, quella impegnata (da Godard a Tarantino) come quella che si usa definire “leggera”, l’intrattenimento che codifichiamo approssimativamente sotto la voce “fiction”.
Il volume si compone di una serie di saggi rigorosi quanto veloci e divulgativi, scritti con la passione di chi ama il cinema, che hanno il merito di indagare il sottosuolo sfuggente dello specifico audiovisivo a 360 gradi, appagando in tal modo ogni possibile curiosità di un pubblico vecchio e nuovo, colto e più popolare. Non c’è bisogno di un master a Cinecittà nè di avere “Sentieri selvaggi” fra i “preferiti” per dire che il web ha riscritto anche il modo di “leggere” un’opera e rimodulato le interfacce dello specifico filmico facendo dell’interazione la regola principale. Per cui sia la produzione che la fruizione come la critica sono diventati di massa, o comunque si sono “contaminati” l’un l’altro. Tutti siamo allo stesso tempo produttori (anche come piccole aziende nel mettere su il budget di “corti” e documentari), spettatori alle rassegne e i cineclub, e anche critici: i siti più letti, sia intra che extra moenia, infatti hanno link in cui possiamo improvvisarci nell’arte che un tempo aveva i suoi “sacerdoti”: Morandini, Kezich, Biraghi, Grazzini, Rondi, Pitta, Causo e qualche altro che firmava “vice”: autorevoli e ascoltati come “guru”. Il web ha disarticolato quel modo di fare critica reinventandone altri, fra cui il passaparola, il condividi, links, blogs, tags, il mi piace sui siti e poi Facebook, Twitter, ecc.
Contrariamente però a quanto si crede, la critica classica resiste e lotta insieme a noi: è solo integrata dal web con news sullo star-system, lo script, il regista, gli attori, la colonna sonora, le location e quant'altro. Tutto tende a dare il più informazioni possibile per scegliere cosa vedere nelle sale, in tv, nelle rassegne e festival, in dvd e con l’on-demand e tutte le altre opzioni possibili. Menarini parla di “post-cinema”: semplicemente godiamo di ulteriori, insospettate sino a ieri possibilità di avvicinarci a quest’arte antica sempre nuova. Anche se, alla fine del saggio, acuta è la nostalgia per la sala com’era concepita negli anni passati, luogo di celebrazione di un rito collettivo, di socialità e scambio di oralità e di esperienze, e se vogliamo anche di crescita, individuale e collettiva: ma questa è una sensazione che può essere dettata dalla formazione culturale. Ma anche, input della preziosa postilla di Gianni Canova, la convinzione che il web sinora si è rivelato un’occasione usata in modo approssimativo rispetto alle potenzialità espressive, e comunque limitato alle parole: “Godard, già vent’anni fa, era molto più avanti”. Mi piace, come si dice in rete: quasi quasi lo metto sui miei profili Facebook, lo twitto, lo taggo…