Travaglio, a casa la Casta che danza sul ponte del Titanic

Francesco Greco. Avviso ai naviganti: se leggerete “Tutti a casa”, il nuovo e-book di Marco Travaglio (Chiarelettere/Originality, Milano 2012, € 0,99), lo fate a vostro rischio e pericolo. Dopo nulla sarà come prima. Vi sarà oltremodo faticoso guardare al tg Fabrizio Cicchitto (affiliato P2) che parla di legge anti-corruzione e sistemi elettorali e trattenere il disgusto. Aprire il giornale con l’ennesima intervista a Veltroni che si atteggia a messia o a Pomicino o Giannino a guru dell’economia e restare calmi. Ormai è un rifiuto fisico, psicosomatico. Resistenza umana.

   “Tutti a casa” è un grido diffuso assai nell’Italia stanca dell’indecente pantomina che è costretta a guardare, dove chi l’ha spinta nel baratro del default oggi si propone da salvatore. “A casa!”, strilla il tassinaro da Piazzale Flaminio a Viale Mazzini. “Facce nuove!”, fa eco il pensionato di Centocelle alla fermata dell’autobus: ha i figli laureati e disoccupati, ma non choosy. “Adesso basta!”, urlano i precari dei call center a 300 € al mese. Concluderete che siamo entrati in una fase di passaggio, di transizione: di critica radicale e iconoclasta in un tunnel viscido e anche pericoloso per la democrazia: tutto si è d’improvviso avvitato su se stesso, è tragico e al contempo ridicolo: torna alla mente la cupa profezia di Bakunin, Malatesta e compagni: “Una risata vi seppellirà!”.

   Travaglio in fondo è solo un medium: il testimone dello sfacelo etico innanzitutto, e poi sociale, culturale, storico: un crollo di civiltà fondata sulla finanza creativa e la spocchia in tv. La sua foga impietosa e sulfurea ci aiuta a scannerizzare il sottosuolo dostoevskjano, la sentina di un sistema atomizzato retto da una casta ripiegata sui propri benefit, priva di senso dello Stato e delle istituzioni, fuori dalla Storia, dal capitalismo delle famiglie che porta i soldi all’estero e poi fa la morale, da tecnici nominati come al GF: tutti ormai ahimè sorpassati dal tempo: è la tragedia di un Paese ridicolo stordito dalla tv-spazzatura che fa da leit-motiv.

   Il suo saggio breve quanto efficace, com’è nella cifra del personaggio di scuola montanelliana, caustico e a tratti feroce, sempre ben documentato, letto all’indomani del M5S primo partito in Sicilia, fa respirare un clima da ultima giorni a Pompei, come se si ballasse sul Titanic pasteggiando a ostriche e champagne (il conto ai cittadini) mentre il Quarto Stato avanza minaccioso verso una casta senza pudore, impaludata nel grottesco.

   E’ diviso in due parti: la prima è del 14 maggio 2012, puntata di “Quello che (non) ho”, su La7 e Travaglio spiega com’ è arrivato alla conclusione che la politica si è trasfigurata nell’antipolitica. Tutto ciò che disturba il manovratore, non canta nel coro ma ha una sua visione delle cose, quel che esce dal seminato, per chi oggi ha il potere e non vuole lasciarlo è antipolitica. Un mantra con cui i conservatori trasversali a destra e sinistra vorrebbero esorcizzare gli sfaccettati protagonismi delle generazioni 2.0.

   Uno dice: Lusi, o Belsito, Penati, Tedesco e subito le prefiche urlano al cielo: antipolitica. Vai in ospedale e non lo trovi: l’hanno chiuso per entrare nel patto di stabilità, ma se lo dici è antipolitica. Arriva il saldo dell’Imu, la gente non ha di che pagare, è già stressata con i mutui: ma devi obbedir tacendo, sennò ti accusano di antipolitica. I cittadini guardano e ascoltano allucinati, nauseati e appena possono o non vanno a votare (Sicilia) o votano Grillo, transustanzazione dell’antipolitica: un brand che fa trend. Per Travaglio, grande esploratore di paranoie politiche de noantri, antipolitica è “travestire quattro banchieri da tecnici (uno ha patteggiato per una maxi-evasione!, ndr.) e nominarli ministri”; “stare seduti in Parlamento 30-40 anni, pensando che rinnovamento sia cambiare continuamente nome al proprio partito”; “celebrare Falcone e Borsellino e poi trattare con la mafia o chiedere i voti alla mafia o stringere la mano ad Andreotti, a Cosentino, a Cuffaro, a Lombardo, a Dell’Utri”; “fare il presidente della Repubblica a 87 anni e lanciare moniti per il rinnovamento della politica ai giovani”.

   Nella seconda parte (è l’editoriale del 17 maggio scorso a “Servizio Pubblico”) dà corpo a un sogno: chi, annunciando – dice Travaglio - riforme che non fa da 20 anni, la riduzione dei parlamentari, tagli ai loro scandalosi appannaggi, ai rimborsi elettorali (che poi finiscono a case al mare e in città, diamanti, lingotti e quant’altro), chi chiama uno nuovo, Amato per trattare un materia così ostica e chi, Fassino, premia la meritocrazia di Chiamparino che ha lasciato Torino affogata di debiti, nominandolo presidente della Compagnia di San Paolo (primo azionista di Banca Intesa, cioè Passera), ecc., insomma, chi ha sospinto nel default riducendolo a porcile un Paese bellissimo, ricco di storia e risorse d’ogni tipo, di eccellenze (che si regalano all’estero), di figure professionali che sono dei must nel loro genere e infatti appena se ne vanno esplodono, si levi di mezzo urbanamente e ceda la scena a chi ha idee nuove, energie fresche, passione, amore per il Paese, responsabilità. Vedi alla voce rottamazione. “Tutti a casa”: quella di Montecarlo, le villazze delle “cene eleganti”, quelle delle CCC, vista Colosseo o le 56 dimore del califfo Di Pietro palazzinaro a sua insaputa. In fondo in fondo è anche per il loro bene…

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