Roberta Calò. «Negli interstizi della lingua si nascondono i significativi segreti della cultura» (Adrienne Rich) e dei valori che costituiscono la storia, i valori, le tradizioni di ogni essere umano in ogni epoca. La lingua non è un modo di esprimersi, ma è l’identità stessa di un popolo che in essa si rispecchia. «Qual’è la miglior lingua? − Leggo Shakespeare, e dico, è l’inglese − leggo Virgilio e dico è il latino − leggo Dante e dico è l’italiano − leggo Richter, e dico, è il tedesco − leggo Porta, e dico è il milanese» (Carlo Dossi). Due grandi scrittori locali contemporanei dal canto loro risponderebbero “il barese”. Vittorio Polito, giornalista e scrittore, Rosa Lettini Triggiani, scrittrice e attrice, e Domenico Triggiani, scrittore, hanno fatto della loro baresità il punto di forza per realizzare due importanti opere che rievocano l’importanza e l’eccellenza del nostro dialetto. Polito e Lettini, autori di “Pregáme a la Barése" (Levante Editori), hanno rappresentato l’ancestrale connubio sussistente tra lingua e fede pubblicando nel loro volume il “Padre Nostro”, il “Gloria a Dio nell’alto dei Cieli”, il “Credo”, il “Rosario”, alcune preghiere dedicate alla Madonna Odegitria, a Sant’Antonio, San Nicola, San Pio ed alla Beata Elia in dialetto barese. Triggiani e Lettini, autori di “Da Adà me ad Andriòtte” (Schena Editore) hanno dato voce ad un romanzo storico-satirico in vernacolo barese che tratta i più svariati argomenti: “la criazziòne du mùnne” (la creazione del mondo), “Bà re d’aijre a jòsce” (Bari da ieri a oggi), “da la nà scete de Ròme a la mòrte de Gesù” (dalla nascita di Roma alla morte di Gesù), “Terròrisme, piddù e malavìte” (P2 e malavita), “Andriòtte e la fine de chèssa stòrrie" (Andreotti e la fine della storia).
La presentazione dei due volumi è stata accolta, per gentile concessione del presidente Giacomo Tomasicchio, dallo splendore del Salone delle Feste del Circolo Unione , al primo piano del Teatro Petruzzelli di Bari,alla presenza degli autori, dei professori De Martino e Veneziani, e dei ragazzi del corso sperimentale di musica dell’istituto scolastico “N. Zingarelli” e di un numeroso pubblico. Abbandonando lo stereotipato cliché di un comune reading letterario, la serata ha ben coniugato le performanti interpretazioni dei giovani artisti, che hanno deliziato il pubblico con brani classici e non del panorama musicale internazionale, accompagnando in alcuni casi la lettura di testi tratti dalle opere presentate in dialetto barese. La scrittrice Rosa Lettini Triggiani ha, infatti, declamato alcune preghiere riprese dal testo in presentazione e letto alcune pagine dal libro “Da Adà me ad Andriòtte”; il pianista Domenico Triggiani e gli alunni della Scuola Media Zingarelli, accompagnati dai docenti Anna Gissi, Caterina Ficarelli e Francesco Scoditti, hanno eseguito brani di Mendelssohn, Bach-Gounod, Piovani, Miller, Piazzolla e Shostakovich.
Il dialetto, protagonista delle parole lette, recitate, liberate durante la serata, che potrebbe configurarsi come un semplice aspetto della cultura locale, è stato in realtà scandagliato in ogni sfumatura da Nicola Veneziani, elevando le sue stesse origini che molto hanno in comune con l’influenza araba, così come l’assenza di vocali pone in evidenza. Una lingua dunque versatile, cangiante e per certi versi, come spiega il professore De Martino, perfino creativa:<<A Bari vecchia quando non sanno come pronunciare una parola la inventano. La lingua barese è la capacità di essere inventivi e teatrali. Il nostro dialetto è estremamente colto>>. Una serata in cui come lo stesso De Martino ha spiegato, l’obiettivo è “fare cultura”: <<La cultura è un po' come una mano, considerate che ogni dito rappresenta l’arte figurativa, la musica, la poesia, la scultura, tutto quello che lo spirito ci può dare ma nel momento nel quale io chiudo la mano do il senso della cultura perché li racchiude tutte. Allora stasera noi parleremo di poesia, parleremo di dialetto, parleremo della lingua italiana e sentiremo musica. È' un modo diverso di avvicinarsi a quella che può essere la semplice presentazione di due libri che di converso meritano una particolare attenzione>>. Una corrispondenza di sensi tra due forme di arte che in questo caso si sono incontrate anche a livello concettuale: «Faccio mio quello che Moni Ovadia - spiega Nicola Veneziani - ha scritto in un articolo. Lui mi ha ricordato che c’è una tradizione ebraica la quale dice che il primo giorno dell’anno suona il corno dell’ariete, l’inizio della vita è un suono. Ma se l’inizio della vita è un suono, l’inizio della vita è anche un canto. Ma se questo è vero - dice sempre Moni Ovadia - la prima parola che è stata detta all’inizio della vicenda umana non è stata una parola ma un canto». La lingua, dunque, configurata come canto e musica, nello specifico quella italiana, è “morbida e incantatrice” ma non immediatamente teatrale e profonda come i dialetti. Ecco allora che scende in campo il dialetto barese con le sue peculiarità sceniche e portatrici di valori e tradizioni che si eleva, «si sgancia dalla timidezza e dà voce perfino ai grandi classici come l’Iliade di Panza» e si pone come mezzo di comunicazione tra l’essere umano e la divinità , come spiega il dottor Veneziani. Lo stesso ha infatti sottolineato come il latino che elevava le divinità ponendo queste ad un livello superiore e distante, è stato nei secoli soppiantato dai dialetti che hanno quasi obbligato le divinità a dialogare, parlare, comunicare con i fedeli.
Una coralità di abitudini, di costumi, di lingua tra gli stessi fedeli che il ricercato ritorno della religione alla lingua italiana da parte della Chiesa ha disperso nella storia aprendo le porte a forme di preghiera sempre più intime e individuali. Anche la geografia viene in aiuto per palesare il forte e indissolubile legame tra preghiera e dialetto barese: «Se voi prendete la carte geografica del mediterraneo e tirate due diagonali voi vedete che le due diagonali si incrociano sulla Puglia e vicino a Bari, questo per dirvi che la nostra tendenza ad essere ecumenici vuoi in senso religioso vuoi anche in senso laico è talmente alta per cui la geografia in fondo spiega questa nostra condizione. Per cui abbiamo avuto la dominazione di tantissimi popoli, nel nostro dialetto ci sono parole latine, ci sono parole greche, ci sono parole armene, ci sono parole spagnole. Il nostro dialetto è estremamente colto. Abbiamo il grande vantaggio di poterci vantare di essere una popolazione multietnica nel nostro dna». Ecco allora che vengono fuori libri come quello di Polito e Lettini Triggiani che dà ai lettori una prova concreta di quello che il dialetto ha rappresentato nella nostra tradizione e che noi baresi abbiamo il dovere di non dimenticare per far rivivere in futuro quella che è stata, è lo è ancora, la nostra storia.
La presentazione dei due volumi è stata accolta, per gentile concessione del presidente Giacomo Tomasicchio, dallo splendore del Salone delle Feste del Circolo Unione , al primo piano del Teatro Petruzzelli di Bari,alla presenza degli autori, dei professori De Martino e Veneziani, e dei ragazzi del corso sperimentale di musica dell’istituto scolastico “N. Zingarelli” e di un numeroso pubblico. Abbandonando lo stereotipato cliché di un comune reading letterario, la serata ha ben coniugato le performanti interpretazioni dei giovani artisti, che hanno deliziato il pubblico con brani classici e non del panorama musicale internazionale, accompagnando in alcuni casi la lettura di testi tratti dalle opere presentate in dialetto barese. La scrittrice Rosa Lettini Triggiani ha, infatti, declamato alcune preghiere riprese dal testo in presentazione e letto alcune pagine dal libro “Da Adà me ad Andriòtte”; il pianista Domenico Triggiani e gli alunni della Scuola Media Zingarelli, accompagnati dai docenti Anna Gissi, Caterina Ficarelli e Francesco Scoditti, hanno eseguito brani di Mendelssohn, Bach-Gounod, Piovani, Miller, Piazzolla e Shostakovich.
Il dialetto, protagonista delle parole lette, recitate, liberate durante la serata, che potrebbe configurarsi come un semplice aspetto della cultura locale, è stato in realtà scandagliato in ogni sfumatura da Nicola Veneziani, elevando le sue stesse origini che molto hanno in comune con l’influenza araba, così come l’assenza di vocali pone in evidenza. Una lingua dunque versatile, cangiante e per certi versi, come spiega il professore De Martino, perfino creativa:<<A Bari vecchia quando non sanno come pronunciare una parola la inventano. La lingua barese è la capacità di essere inventivi e teatrali. Il nostro dialetto è estremamente colto>>. Una serata in cui come lo stesso De Martino ha spiegato, l’obiettivo è “fare cultura”: <<La cultura è un po' come una mano, considerate che ogni dito rappresenta l’arte figurativa, la musica, la poesia, la scultura, tutto quello che lo spirito ci può dare ma nel momento nel quale io chiudo la mano do il senso della cultura perché li racchiude tutte. Allora stasera noi parleremo di poesia, parleremo di dialetto, parleremo della lingua italiana e sentiremo musica. È' un modo diverso di avvicinarsi a quella che può essere la semplice presentazione di due libri che di converso meritano una particolare attenzione>>. Una corrispondenza di sensi tra due forme di arte che in questo caso si sono incontrate anche a livello concettuale: «Faccio mio quello che Moni Ovadia - spiega Nicola Veneziani - ha scritto in un articolo. Lui mi ha ricordato che c’è una tradizione ebraica la quale dice che il primo giorno dell’anno suona il corno dell’ariete, l’inizio della vita è un suono. Ma se l’inizio della vita è un suono, l’inizio della vita è anche un canto. Ma se questo è vero - dice sempre Moni Ovadia - la prima parola che è stata detta all’inizio della vicenda umana non è stata una parola ma un canto». La lingua, dunque, configurata come canto e musica, nello specifico quella italiana, è “morbida e incantatrice” ma non immediatamente teatrale e profonda come i dialetti. Ecco allora che scende in campo il dialetto barese con le sue peculiarità sceniche e portatrici di valori e tradizioni che si eleva, «si sgancia dalla timidezza e dà voce perfino ai grandi classici come l’Iliade di Panza» e si pone come mezzo di comunicazione tra l’essere umano e la divinità , come spiega il dottor Veneziani. Lo stesso ha infatti sottolineato come il latino che elevava le divinità ponendo queste ad un livello superiore e distante, è stato nei secoli soppiantato dai dialetti che hanno quasi obbligato le divinità a dialogare, parlare, comunicare con i fedeli.
Una coralità di abitudini, di costumi, di lingua tra gli stessi fedeli che il ricercato ritorno della religione alla lingua italiana da parte della Chiesa ha disperso nella storia aprendo le porte a forme di preghiera sempre più intime e individuali. Anche la geografia viene in aiuto per palesare il forte e indissolubile legame tra preghiera e dialetto barese: «Se voi prendete la carte geografica del mediterraneo e tirate due diagonali voi vedete che le due diagonali si incrociano sulla Puglia e vicino a Bari, questo per dirvi che la nostra tendenza ad essere ecumenici vuoi in senso religioso vuoi anche in senso laico è talmente alta per cui la geografia in fondo spiega questa nostra condizione. Per cui abbiamo avuto la dominazione di tantissimi popoli, nel nostro dialetto ci sono parole latine, ci sono parole greche, ci sono parole armene, ci sono parole spagnole. Il nostro dialetto è estremamente colto. Abbiamo il grande vantaggio di poterci vantare di essere una popolazione multietnica nel nostro dna». Ecco allora che vengono fuori libri come quello di Polito e Lettini Triggiani che dà ai lettori una prova concreta di quello che il dialetto ha rappresentato nella nostra tradizione e che noi baresi abbiamo il dovere di non dimenticare per far rivivere in futuro quella che è stata, è lo è ancora, la nostra storia.