Francesco Russo e i referendum del patto Segni
a cura di Luigi Bramato. “Quella strana omissione” di Francesco Russo è un libro che racconta la straordinaria epopea di Mario Segni e del suo movimento che, agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, investì il paese con una ondata referendaria che cambiò, nonostante le diffidenze iniziali, le regole del gioco politico italiano. Insieme all’Autore abbiamo riannodato i fili di quella esperienza che vi proponiamo di seguito.
Come nasce l’idea di questo libro?
L’idea nacque casualmente alcuni anni fa quando, aiutando i miei figli a studiare argomenti di storia italiana contemporanea, notai che nei loro libri scolastici era completamente taciuta l’epopea dei referendum elettorali dei primi anni ’90 e del loro promotore Mario Segni che provocarono la fine della cosiddetta “prima Repubblica” e l’avvio di una nuova fase, con tutte le luci e le ombre che ancora oggi sono sotto i nostri occhi. Dopo una rapida verifica, mi resi conto che – incredibilmente - quei fatti straordinari venivano ignorati o sottovalutati anche nell’ambito degli studi di scienze politiche e persino nelle enciclopedie. Tutto questo mi spinse a voler colmare questa grave lacuna raccontando in un libro quella esperienza e la parabola del leader referendario che, in pochi anni, dal 1990 al 1996, prima conquistò e poi perse una popolarità mai riscontrata in un uomo politico dai tempi di De Gasperi e di Togliatti. Aggiungo che ho potuto compiere questo lavoro perché, al pari di tanti altri, facevo parte del movimento referendario e del gruppo politico di Mario Segni e, pertanto, non solo avevo precisa memoria di quelle vicende ma soprattutto avevo la possibilità di acquisire facilmente la documentazione necessaria.
Sull’argomento, a parte qualche rara eccezione, la saggistica italiana è piuttosto orfana: come mai questo silenzio?
In effetti, con la sola eccezione di un’opera scritta dallo stesso Segni nel 1994 intitolata La rivoluzione interrotta, oltre al mio non vi sono in circolazione testi che riferiscono dettagliatamente di quegli eventi. Come ho detto prima, la cosa appare veramente incredibile specie in considerazione dell’influenza che quei fatti hanno avuto sulla storia italiana degli anni successivi. La nascita di partiti come, ad esempio, Forza Italia o - tempo dopo - il Partito Democratico e, di converso, la scomparsa di forze come la Democrazia Cristiana o il Partito Socialista Italiano, l’emergere di personaggi come Silvio Berlusconi o Romano Prodi e la parallela uscita di scena di uomini politici come Bettino Craxi o Arnaldo Forlani sono tutti fatti direttamente riconducibili all’azione svolta dai referendari e dal gruppo politico fondato da Segni. Nonostante ciò, su questo argomento la storiografia tace. Non solo. Da allora, anche il dibattito politico evita accuratamente di parlarne. La “strana omissione” del titolo del mio libro allude appunto al silenzio e all’oblio cui è stata relegata quell’esperienza. Tale comportamento omissivo mira a cancellare dalla memoria collettiva eventi fondamentali della recente storia nazionale, impedendo alle giovani generazioni che non hanno potuto partecipare a quei fatti di conoscere le cause che hanno forgiato il mondo in cui vivono. Le ragioni di tale colpevole silenzio si spiegano, almeno in parte, nella miopia e grettezza di un ceto politico che – per le ragioni più diverse - non vuole riconoscere che il merito del passaggio epocale dalla prima alla seconda Repubblica (pur con tutte le ombre che, come ho detto, l’hanno contraddistinto) non è suo ma dei protagonisti di quella stagione memorabile, in primo luogo di Mario Segni.
Lei ha vissuto da protagonista le vicende narrate nel suo libro: che ricordo ha di quegli anni?
In confronto all’attuale stagione politica, quegli anni mi appaiono come una sorta di età dell’oro ormai perduta. Infatti, la speranza di una moralizzazione e di un rinnovamento profondo della vita pubblica che contrassegnò quel periodo e che sosteneva l’azione dei referendari non riesco a vederli nell’attuale momento, se non come un sogno ad occhi aperti che, però, stante l’attuale dilagante sfiducia nella politica e nelle istituzioni, viene fatto da sempre meno persone; il crescente astensionismo ne è l’inoppugnabile testimonianza. Tuttavia, devo dire che un duro colpo a quella speranza fu inferto proprio da noi referendari che non sapemmo mantenere fino in fondo le promesse di moralizzazione e rinnovamento fatte agli Italiani. Infatti, come viene riferito dettagliatamente nel libro, dopo gli straordinari trionfi iniziali, Segni commise degli errori politici talmente gravi da annichilire l’entusiasmo e la fiducia che la maggior parte dei cittadini riponeva in lui, tanto da provocare, alla fine, la marginalità e l’isolamento suoi e dell’intero movimento referendario. Pertanto, nella mia memoria si accavallano e si confondono ricordi belli e brutti: al clima caldo e partecipativo che univa tante persone, all’entusiasmo per le grandi insperate vittorie, all’orgoglio di stare costruendo una nuova Italia, più pulita, più equa e più forte, si sovrappongono la disillusione, la rabbia e lo sconforto provati dopo gli sbagli e le sconfitte irreversibili.
Alla vigilia del voto erano in pochi a credere nel raggiungimento del quorum: come salutaste l’exploit che, prima nel 1991 e poi nel 1993, accolse le proposte referendarie di Segni?
Certamente, specie per il referendum del 9 giugno 1991, nessuno di noi poteva sapere quanti cittadini si sarebbero recati a votare. Era quindi vivo il timore di non riuscire a raggiungere il quorum anche perché era stato fortissimo il boicottaggio verso il referendum da parte sia della quasi totalità della stampa e delle televisioni che di molti politici e partiti governativi. In proposito, va ricordato l’invito rivolto da Craxi agli elettori di «andare al mare» nei giorni della votazione. Avevamo perciò paura che tutti i nostri sforzi dei mesi precedenti sarebbero risultati vani. Sicché, quando il quorum fu superato ancor prima della chiusura dei seggi e capimmo di aver vinto, fummo presi da un incontenibile entusiasmo. A Roma, ad esempio, nella serata di lunedì 10 giugno, appena si conobbe il risultato, una folla enorme si riversò in piazza Navona per festeggiare la vittoria del Sì. Lo stesso entusiasmo fu registrato con la vittoria del referendum del 18 aprile 1993, grazie alla quale potette spianarsi la strada della riforma elettorale con l’introduzione del maggioritario e dei collegi uninominali. In quel momento, eravamo convinti che nessun ostacolo potesse impedire il rinnovamento profondo della dirigenza e del costume politico. Ma, purtroppo, ci sbagliavamo.
Quali furono le conseguenze di quel voto?
La conseguenza immediata fu che il Parlamento dovette finalmente varare la riforma elettorale, abbandonando il sistema proporzionale in favore di quello maggioritario con i collegi uninominali, così come richiesto dai referendari. Nell’agosto 1993, infatti, fu approvato il cosiddetto Mattarellum che prevedeva appunto che i deputati (salvo una quota del 25 per cento eletta col proporzionale) e i senatori fossero eletti col nuovo sistema. Le prime elezioni effettuate col maggioritario e uninominale furono quelle dell’anno dopo, il 1994, che introdusse nel nostro Paese l’alternanza al governo fra aggregazioni politiche (o “poli”) contrapposte. Le elezioni del 1994 videro l’affermazione del Polo delle Libertà capeggiato da Berlusconi, un personaggio sino a pochi mesi prima assente dalla scena politica, e sancirono la sconfitta di Segni che, in breve tempo, aveva visto dileguarsi la straordinaria popolarità acquisita con le battaglie referendarie a causa degli errori politici cui ho accennato innanzi commessi nelle settimane prima del voto. Un’altra importantissima conseguenza dell’azione dei referendari fu la riforma del sistema elettorale degli enti locali. Infatti, già dal 1993, Sindaci e Presidenti di Provincia (e in seguito anche i Presidenti di Regione) vengono eletti direttamente dai cittadini e non, come era stato fino ad allora, dai Consigli Comunali o Provinciali.
Cosa ha rappresentato nella sua vicenda umana prima ancora che politica l’incontro con Mario Segni?
Non ho dubbi nell’affermare che l’incontro con Segni mi ha molto arricchito, specie sul piano umano. Si tratta, infatti, di un uomo che ha sempre anteposto il bene comune agli interessi personali o di parte e che ha rischiato e pagato di persona per gli errori commessi. Ad esempio, infatti, non ebbe alcuna remora a ritirarsi dalla politica attiva, rinunciando a candidarsi alle elezioni del 1996 per la Camera dei Deputati, pur nella certezza della elezione, quando constatò che il progetto politico che portava avanti da anni e in cui si era identificato non si sarebbe potuto realizzare. Quanti politici avrebbero fatto la stessa cosa? Credo molto pochi o nessuno. Nel mio libro non gli lesino critiche, anche aspre. Eppure, a riprova della sua serietà nonché della rara capacità di tenere separati il rapporto personale dalla trasparenza dei comportamenti, ha accettato di scrivere la prefazione.
A chi è indirizzato il suo lavoro?
Il mio lavoro è indirizzato a tutti. Tuttavia, i lettori li vedo distinti in due tipologie: quelli che hanno più di quarant’anni e che conservano un’immagine ancora vivida di quel periodo, a cui mi auguro non dispiacerà il tentativo di fare ordine nei comuni ricordi, e quelli più giovani che conoscono appena o non conoscono affatto le vicende narrate. Spero che il libro possa risultare utile a ricostruire un quadro per lo più incerto e confuso di una fase eccezionale e cruciale della recente storia dell’Italia.
Come nasce l’idea di questo libro?
L’idea nacque casualmente alcuni anni fa quando, aiutando i miei figli a studiare argomenti di storia italiana contemporanea, notai che nei loro libri scolastici era completamente taciuta l’epopea dei referendum elettorali dei primi anni ’90 e del loro promotore Mario Segni che provocarono la fine della cosiddetta “prima Repubblica” e l’avvio di una nuova fase, con tutte le luci e le ombre che ancora oggi sono sotto i nostri occhi. Dopo una rapida verifica, mi resi conto che – incredibilmente - quei fatti straordinari venivano ignorati o sottovalutati anche nell’ambito degli studi di scienze politiche e persino nelle enciclopedie. Tutto questo mi spinse a voler colmare questa grave lacuna raccontando in un libro quella esperienza e la parabola del leader referendario che, in pochi anni, dal 1990 al 1996, prima conquistò e poi perse una popolarità mai riscontrata in un uomo politico dai tempi di De Gasperi e di Togliatti. Aggiungo che ho potuto compiere questo lavoro perché, al pari di tanti altri, facevo parte del movimento referendario e del gruppo politico di Mario Segni e, pertanto, non solo avevo precisa memoria di quelle vicende ma soprattutto avevo la possibilità di acquisire facilmente la documentazione necessaria.
Sull’argomento, a parte qualche rara eccezione, la saggistica italiana è piuttosto orfana: come mai questo silenzio?
In effetti, con la sola eccezione di un’opera scritta dallo stesso Segni nel 1994 intitolata La rivoluzione interrotta, oltre al mio non vi sono in circolazione testi che riferiscono dettagliatamente di quegli eventi. Come ho detto prima, la cosa appare veramente incredibile specie in considerazione dell’influenza che quei fatti hanno avuto sulla storia italiana degli anni successivi. La nascita di partiti come, ad esempio, Forza Italia o - tempo dopo - il Partito Democratico e, di converso, la scomparsa di forze come la Democrazia Cristiana o il Partito Socialista Italiano, l’emergere di personaggi come Silvio Berlusconi o Romano Prodi e la parallela uscita di scena di uomini politici come Bettino Craxi o Arnaldo Forlani sono tutti fatti direttamente riconducibili all’azione svolta dai referendari e dal gruppo politico fondato da Segni. Nonostante ciò, su questo argomento la storiografia tace. Non solo. Da allora, anche il dibattito politico evita accuratamente di parlarne. La “strana omissione” del titolo del mio libro allude appunto al silenzio e all’oblio cui è stata relegata quell’esperienza. Tale comportamento omissivo mira a cancellare dalla memoria collettiva eventi fondamentali della recente storia nazionale, impedendo alle giovani generazioni che non hanno potuto partecipare a quei fatti di conoscere le cause che hanno forgiato il mondo in cui vivono. Le ragioni di tale colpevole silenzio si spiegano, almeno in parte, nella miopia e grettezza di un ceto politico che – per le ragioni più diverse - non vuole riconoscere che il merito del passaggio epocale dalla prima alla seconda Repubblica (pur con tutte le ombre che, come ho detto, l’hanno contraddistinto) non è suo ma dei protagonisti di quella stagione memorabile, in primo luogo di Mario Segni.
Lei ha vissuto da protagonista le vicende narrate nel suo libro: che ricordo ha di quegli anni?
In confronto all’attuale stagione politica, quegli anni mi appaiono come una sorta di età dell’oro ormai perduta. Infatti, la speranza di una moralizzazione e di un rinnovamento profondo della vita pubblica che contrassegnò quel periodo e che sosteneva l’azione dei referendari non riesco a vederli nell’attuale momento, se non come un sogno ad occhi aperti che, però, stante l’attuale dilagante sfiducia nella politica e nelle istituzioni, viene fatto da sempre meno persone; il crescente astensionismo ne è l’inoppugnabile testimonianza. Tuttavia, devo dire che un duro colpo a quella speranza fu inferto proprio da noi referendari che non sapemmo mantenere fino in fondo le promesse di moralizzazione e rinnovamento fatte agli Italiani. Infatti, come viene riferito dettagliatamente nel libro, dopo gli straordinari trionfi iniziali, Segni commise degli errori politici talmente gravi da annichilire l’entusiasmo e la fiducia che la maggior parte dei cittadini riponeva in lui, tanto da provocare, alla fine, la marginalità e l’isolamento suoi e dell’intero movimento referendario. Pertanto, nella mia memoria si accavallano e si confondono ricordi belli e brutti: al clima caldo e partecipativo che univa tante persone, all’entusiasmo per le grandi insperate vittorie, all’orgoglio di stare costruendo una nuova Italia, più pulita, più equa e più forte, si sovrappongono la disillusione, la rabbia e lo sconforto provati dopo gli sbagli e le sconfitte irreversibili.
Alla vigilia del voto erano in pochi a credere nel raggiungimento del quorum: come salutaste l’exploit che, prima nel 1991 e poi nel 1993, accolse le proposte referendarie di Segni?
L'autore Francesco Russo |
Quali furono le conseguenze di quel voto?
La conseguenza immediata fu che il Parlamento dovette finalmente varare la riforma elettorale, abbandonando il sistema proporzionale in favore di quello maggioritario con i collegi uninominali, così come richiesto dai referendari. Nell’agosto 1993, infatti, fu approvato il cosiddetto Mattarellum che prevedeva appunto che i deputati (salvo una quota del 25 per cento eletta col proporzionale) e i senatori fossero eletti col nuovo sistema. Le prime elezioni effettuate col maggioritario e uninominale furono quelle dell’anno dopo, il 1994, che introdusse nel nostro Paese l’alternanza al governo fra aggregazioni politiche (o “poli”) contrapposte. Le elezioni del 1994 videro l’affermazione del Polo delle Libertà capeggiato da Berlusconi, un personaggio sino a pochi mesi prima assente dalla scena politica, e sancirono la sconfitta di Segni che, in breve tempo, aveva visto dileguarsi la straordinaria popolarità acquisita con le battaglie referendarie a causa degli errori politici cui ho accennato innanzi commessi nelle settimane prima del voto. Un’altra importantissima conseguenza dell’azione dei referendari fu la riforma del sistema elettorale degli enti locali. Infatti, già dal 1993, Sindaci e Presidenti di Provincia (e in seguito anche i Presidenti di Regione) vengono eletti direttamente dai cittadini e non, come era stato fino ad allora, dai Consigli Comunali o Provinciali.
Cosa ha rappresentato nella sua vicenda umana prima ancora che politica l’incontro con Mario Segni?
Non ho dubbi nell’affermare che l’incontro con Segni mi ha molto arricchito, specie sul piano umano. Si tratta, infatti, di un uomo che ha sempre anteposto il bene comune agli interessi personali o di parte e che ha rischiato e pagato di persona per gli errori commessi. Ad esempio, infatti, non ebbe alcuna remora a ritirarsi dalla politica attiva, rinunciando a candidarsi alle elezioni del 1996 per la Camera dei Deputati, pur nella certezza della elezione, quando constatò che il progetto politico che portava avanti da anni e in cui si era identificato non si sarebbe potuto realizzare. Quanti politici avrebbero fatto la stessa cosa? Credo molto pochi o nessuno. Nel mio libro non gli lesino critiche, anche aspre. Eppure, a riprova della sua serietà nonché della rara capacità di tenere separati il rapporto personale dalla trasparenza dei comportamenti, ha accettato di scrivere la prefazione.
A chi è indirizzato il suo lavoro?
Il mio lavoro è indirizzato a tutti. Tuttavia, i lettori li vedo distinti in due tipologie: quelli che hanno più di quarant’anni e che conservano un’immagine ancora vivida di quel periodo, a cui mi auguro non dispiacerà il tentativo di fare ordine nei comuni ricordi, e quelli più giovani che conoscono appena o non conoscono affatto le vicende narrate. Spero che il libro possa risultare utile a ricostruire un quadro per lo più incerto e confuso di una fase eccezionale e cruciale della recente storia dell’Italia.