Francesco Greco. Ma di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Nell’epoca della virtualità, di Facebook, di Stranamore, dei lucchetti a Ponte Milvio (ma anche al “Ciolo”, in Puglia), com’è cambiato il sentimento che fa soffrire, per cui spesso si uccide restituendolo così a una sua istintività primitiva? I media ne danno un’immagine banale, a una dimensione unica: ma l’amore è da sempre una cosa complessa, barocca, irrazionale. In prossimità di San Valentino, festa che a sua volta è un luogo comune, fra cuoricini, regali e cenette intime, forse è utile qualche riflessione sull’amore nel XXI secolo.
Ne parliamo con Anna Colavita, psicologa, psicoterapeuta, analista transazionale, che ogni giorno ascolta storie di depressioni, cuori infranti, rancori di coppie scoppiate (riceve c/o Phisyon, viale Stazione, Presicce, Lecce, 339-1424153, la prima visita è gratis, www.annacolavita.it).
Domanda: Perché l’amore fa soffrire? Perché non si lascia la persona che ci fa soffrire? Paura della solitudine?
Risposta: “L’amore di coppia è un’emozione complicata e complessa, che trova le sue radici nell’unicità del cuore di ogni singola persona, ma che per essere vissuta in modo gratificante ha bisogno di essere corrisposta. Mi sento felice quando amo e sono corrisposto, se non c’è corrispondenza si incappa nella sofferenza. Alcune persone, più di altre, incontrano difficoltà a mettere fine a una storia non corrisposta e alla rabbia e al dolore, sentimenti naturali in risposta al mancato coinvolgimento dell’altro, vivono un sentimento di impotenza che si traduce: non posso fare a meno di lui, o di lei. Lo stato in cui la persona riferisce la sensazione di non poter vivere senza di lui, o lei, di non poter sopravvivere all’abbandono o alla separazione, viene definito dipendenza affettiva. Nella dipendenza affettiva non vanno inclusi i temporaggiamenti che uno o entrambi i partner mettono in atto prima di chiudere definitivamente una storia. Che quando una storia finisce si soffra è naturale soffrire per non perdere l’altro accettando maltrattamenti e umiliazioni: questo non è naturale. Intorno all’amore che fa soffrire, soprattutto in riferimento alle storie legate ad atti di violenza fisica e psicologica, si è sviluppato un gergo che lo definisce amore malato. Personalmente trovo più giusto definire queste storie di sofferenza con il termine amore ferito, in quanto entrambi i partner si portano dentro delle ferite, hanno sofferto e soffrono: chi fa del male soffre, dietro la rabbia espressa si nasconde spesso il dolore”.
D. Perché quando una storia di amore fa soffrire non diciamo basta?
R. “L’amore è un vissuto complesso, fatto di mille sfaccettature, e non potrebbe essere altrimenti visto che è un sentimento che appartiene all’essere umano che di per se è complesso. Dovrebbe essere il punto di incontro tra la testa e il cuore. Nel cuore sento di amarti e nella testa non c’è nessuna ragione che mi porta a riflettere sul rapporto. Quando una storia funziona non ha senso andare a indagare quali sono le ragioni del cuore o della testa che hanno portato le persone a scegliersi. Quando invece una relazione è in crisi è di grande utilità conoscere anche le teorie psicologiche che spiegano l’amore. La visione psicologica sveste l’amore dall’alone fiabesco e romantico e lo riconduce sul piano di realtà, mettendo in dubbio le convinzioni più socialmente condivise tipo al cuor non si comanda. Il vero amore è per sempre, tutte belle frasi di grande effetto ma poco realistiche. Alla sua domanda: quando una storia fa soffrire perché non riusciamo a dire basta, non c’è un'unica risposta ma tante quante sono le persone che raccontano il proprio vissuto. Tuttavia la psicologia ha prodotto molte teorie che cercano di spiegare l’amore. Le illustrerò in riferimento alle convinzioni più comuni vere e inconfutabili a livello della consapevolezza (conscio), ma che trovano delle spiegazioni se ci spostiamo ad un livello più profondo (inconscio)”.
D. Cominciamo dai luoghi comuni: Al cuore non si comanda, quando l’amore arriva arriva….
R. “Quando ci innamoriamo a livello conscio ci sembra che questo avvenga per caso, ma non è esattamente così. La formazione di una coppia nasce anche dalla ricerca inconscia di continuare e/o modificare una certa idea di relazione. Quindi, in definitiva, possiamo affermare che la spinta verso il partner è dovuta a due componenti”.
D. Quali?
R. “Prima: è quella della spinta a ripetere un qualcosa di già noto: scegliamo l’uomo o la donna che più assomiglia al genitore del sesso opposto; in questo modo otteniamo di circondarci di un amore che già conosciamo: riproduco una relazione d’amore a me nota con la certezza che in quella relazione d’amore io ci so stare, in quanto nell’arco di tempo in cui ho vissuto in famiglia ho messo appunto delle strategie per relazionarmi e vivere. A questo si può aggiungere il desiderio inconscio di portare a termine una missione che mi ero proposto da piccolo, ad esempio: mia madre era una donna fredda e distante, sceglierò una compagna fredda e distante per convincerla ad amarmi in modo caldo e rassicurante, per colmare la ferita di aver avuto una madre fredda e distante e per soddisfare il mio desiderio di bambino che si ripeteva: mamma un giorno riuscirò a farmi amare”.
D. E la seconda?
R. “E’ una tendenza al cambiamento che ci proietta verso il futuro e nella modifica di un modello frustrante interiorizzato. La scelta del partner avviene per opposto: scelgo un partner che ha le caratteristiche opposte a quelle del modello di relazione vissuta in famiglia. Mio padre era un violento, scelgo un compagno calmo e accogliente. Sembra che nella scelta del partner, oltre ai bisogni più strettamente legati alla persona, giochino un ruolo rilevante i valori e le aspettative della famiglia: scelgo un uomo ricco in quanto in famiglia i soldi vengono prima dei sentimenti. Le teorie e le ipotesi non mancano e tutte sicuramente interagiscono, ma quando lavoro quello che faccio è accogliere la persona nell’unicità della sua storia e del suo essere, resistendo alla tentazione di inserirla in una categoria di riferimento. Si resta in una storia quando si ha la convinzione: non sono capace di sopravvivere senza di te. Una ragione che rende difficile la separazione è quella di porci nei confronti del partner alla stessa maniera in cui ci ponevamo in relazione al genitore, subire come subivo da bambino utilizzando le stesse emozioni, comportamenti e pensieri di quando ero piccolo senza utilizzare le mie competenze di adulto. Se da piccolo non avevo la possibilità di sottrarmi, adesso potrei ma non lo faccio… Da piccolo sottrarmi significava rischiare di perdere il genitore e rimanere da solo senza avere le competenze per poter andare avanti da solo, da grande il rischio è quello di perdere il partner sentendo che senza di lui non potrò sopravvivere. A questa si aggiungono tutte le regole e i giudizi sociali: bisogna sopportare la sofferenza e l’infelicità coniugale per il bene dei figli, se decidi di lasciare il tuo compagno/a è perché sei un egoista che non si preoccupa della sofferenza dell’altro, ecc.”.
D. Perché soffrendo d’amore si prova una sensazione di gratificazione? Masochismo?
R. “A dar vita a una relazione di amore, sia che parliamo di amore gratificante che di amore dal quale nasce sofferenza, si è sempre in due. Per dar vita ad un amore che si basa sulla sofferenza c’è bisogno di due ruoli: la vittima che subisce e che dà prova del suo amore soffrendo, e il carnefice che trova la conferma di essere amato attraverso la sofferenza accettata dall’altro. Il carnefice basa la sue convinzioni sul tema: se veramente mi ami accetterai di soffrire per me. La vittima basa le sue convinzioni sul tema: mi dimostri di amarmi maltrattandomi e umiliandomi, e io accettandolo ti dimostro che ti amo”.
D. L’abitudine è un format rassicurante per le coppie?
R. “Resta lì come fanno le abitudini, quelle che non perdi mai, quelle che a volerle comprensibili, te le spieghi con un sempre e con un mai…”. Questo pezzo di una canzone di Mina introduce bene il concetto di abitudine sottolineando l’incomprensibilità delle abitudini, al quale va aggiunto la predisposizione che noi esseri umani abbiamo di ripetere le azioni e i comportamenti obbedendo alla coazione a ripetere. Tante persone restano insieme per abitudine. Purtroppo l’abitudine, che poi diventa routine, crea proprio il terreno che poi porta alla fine dell’amore. Credo di aver distrutto abbastanza l’idea dell’amore romantico, ma anche che le persone che in questo momento stanno soffrendo per amore possano nutrire speranza, nel senso che l’amore così come tutte le cose che ci appartengono e provengono da noi possono essere cambiate proprio perché dipendono da noi. Con questo non sto dicendo che si tratta di un percorso indolore: tutti i cambiamenti richiedono sacrificio. A chi invece è felice e soddisfatto della sua storia di amore l’augurio di continuarlo a vivere così com’è: quando una storia funzione non ha senso volerla capire, segmentare. Per chi invece sta soffrendo le cose fin qui dette possono diventare un punto di domanda. Comunque a tutti gli innamorati auguro un bel San Valentino!”.