BARI - Non occorre solamente cautelarsi dal contagio dell'influenza ed infezioni, bensì anche dalla depressione. Lo ha dimostrato uno studio di Gerald Haeffel e Jennifer Hames dell'università Notre Dame, constatando la facile trasmissibilità del disturbo psichico. La depressione è caratterizzata da lunghi periodi di tristezza e disperazione; pertanto, essa ricorre quando un soggetto non è più in grado di far fronte ai propri stress emotivi e fisici. Questa condizione di prostrazione si manifesta con insonnia, irritabilità , mancanza di desiderio sessuale, mancanza di autostima e alto livello di ansia. Nella vita quotidiana, però, i depressi creerebbero attorno a loro un velo di negatività che potrebbe influire anche sulla vita altrui. Ed è proprio questo che i ricercatori francesi hanno appurato recentemente: è rischioso vivere con persone affette da decremento psicologico. La ratio di questa ricerca è insita nella relazione di fondo tra un soggetto sano ed uno depresso: questi chiede aiuto perché non sta bene; ma aiutandola si diventa talvolta sua vittima. Pertanto ad alimentare il focolaio depressivo sarebbe la compassione. Quest'ultima, cagiona un senso di responsabilità nei confronti del coniuge, amico o parente del depresso, portandolo a vivere come un fallimento personale lo stato lugubre di abbattimento della persona cara. Cosicché si diventa vittima, oscillando fra senso di colpa, collera e timore. Cercando infatti di guarire un'angoscia non propria si diventa emotivamente instabile, quindi depressi. L'indagine dell'università Nostre Dame suggerisce di ascoltare la persona depressa, senza fondervi con essa e con il suo dolore. Bisognerebbe praticare “l'ascolto fluttuante”, ossia ascoltare senza sentire tutto. Si diventerebbe impermeabili, evitando quindi, di sentirsi responsabili del malessere altrui. Lungi dunque dalle sterili discussioni, si schiverà l'autolesionismo. (A.Dibattista)