Le avventure di Matisse, cane naif un po’ filosofo


di Francesco Greco - Ecco un cane che ha capito come va il mondo e soprattutto conosce l’uomo meglio degli stessi esseri umani. Affronta la vita con candore naif e armato di sottile saggezza, riflette da psicologo scafato sulla realtà intorno, fa citazioni da vero erudito, talvolta si atteggia a filosofo (“…avevo imparato a vedere il bicchiere mezzo pieno… Diamine! Sono un cane!  Non sono un uomo che complica anche le cose più semplici!”) tanto per mostrare di aver ereditato dagli avi un disincanto quasi da snob che gli consente di godere delle piccole cose quotidiane, di smussare i conflitti sul nascere, di capire quel che vogliono i suoi padroni, di rendersi a loro utile per giustificare la sua presenza in casa e nel mondo.

   Da un animale così c’è solo da imparare, lo si ascolta perché portatore di una visione del mondo per noi alternativa, ma che potrebbe essere quella giusta per stare al mondo con meno angoscia e paranoia se decidessimo di adottarne qualche lacerto. Letto da tale angolazione, si rivela prezioso “Matisse a quattrozampe”, di Tiziana Cazzato, Lupo Editore, pp. 64, € 12 (con le bellissime le illustrazioni di Valentina D’Urbano, Roma 1985, ha frequentato l’Istituto Europeo di Design della Capitale).

   Questo yorkshire italiano alto appena 25 centimetri, che ci porta nel suo mondo così simile a quello degli umani: stesse dinamiche sociali, esistenziali, sociologiche, ci è simpatico sin dalla quarta di copertina in cui rivela scetticismo sul modo di fare degli uomini, non si fida delle loro tendenze a mistificare, a essere partigiani, a interpretare la realtà invece di raffigurarla così com’è. E riflette: “La mia storia la scrivo da me: meglio un cane-scrittore che uno scrittore-cane”.

   L’input per scrivere questo libro (che riscuote molto interesse nelle presentazioni, a Lecce alla Feltrinelli, a Taurisano, ad Alessano alla libreria Idrusa, ecc.) affonda nella biografia della scrittrice  (che è nata a Uster, Zurigo e ha pubblicato sinora due libri di versi, “Macchie d’inchiostro”, Edizioni Il Filo, Roma 2004 e “Fiori di campo”, Edizioni Libellula, Tricase 2007), che una bella mattina d’inverno, il 2 febbraio, Candelora (pastiddhe, pestanache e candele), festa della luce, ha perduto il suo cane sparito dal marciapiede davanti alla casa sulla piazza: era giorno di festa e di fiera a Specchia Preti (Lecce) e forse magari avrà seguito qualche bambino di passaggio: insomma, non è più tornato. Forse il libro è l’elaborazione del lutto di quella perdita, con la deliziosa trovata dell’autocitazione (signorina Gambalunga).  

   La sua scrittura è lieve, come si addice alle favole, e rivela le letture giuste: da Esopo a Fedro, sino ai Fratelli Grimm, Gianni Rodari e Roberto Piumini. Lieve ma decisa, priva di barocchismi, essenziale. Evocatrice di un mondo che ha una sua grazia, dove nessuno è mai solo, prevalgono i sentimenti veri, una carezza vale più di una zuppa, senza finzioni, ipocrisie, pur con le sue regole “che mi venivano date”, necessarie a far procedere lo sgranare misurato dei giorni.

   Matisse è una bestiola del tempo che viviamo, sensibile all’attualità: ecologista, animalista: “Come poteva amare gli animali?”, si chiede alla vista di una signora con addosso una pelliccia. Che presto impara che deve difendersi dai suoi simili ma anche dall’animale a due zampe: “Essere aggredito… anche da esseri umani, i soli che sanno essere cattivi per scelta?!... a volte gli uomini fanno paura quando ridono! ”. Coccolone e rispettoso delle gerarchie, riconoscente a chi gli riempi la ciotola di latte (“Ero ogni giorno sempre più incantato dalla sincerità di quegli occhi e di quel cuore  che aveva compreso la mia paura… “, buongustaio: “Ebbene si, lo confesso: mi piace mangiare!... Mangiavo volentieri anche le noci… ), capace di riconoscere il buon cibo da quello sofisticato dal sapore dozzinale. E’ orgoglioso, ha molta autostima (“un signore come me, amante degli agi e dei lussi, aristocratico di natura… nobile e intelligentissimo”), scopre il mondo (“mordicchiavo un po’ d’erba e mi sentivo meglio”) con stupore giorno per giorno, assaporando le piccole conquiste: “Uno dei miei programmi preferiti era Zelig… Guardavo volentieri anche Il commissario Rex…”. Odia l’acqua, ovvio: “… aveva il vizio di farmi il bagno… e la maledetta e odiata spazzolata quotidiana… mi sottoponevano alla  vera tortura: quella del phon!”. La scrittrice ci tiene col fiato sospeso sino alla fine: quando scopriamo dove è andato a finire l’amato Matisse, che forse si è vendicato per essere stato lasciato dalla Zia del piano di sotto dalla padrona che va a trovare i figli lontani…

   C’è una morale da trarre, come in tutte le favole? Certo. I nostri amici a quattro zampe sono arrivati prima all’isola che non c’è, nella città del sole, all’utopia che inseguiamo da sempre. Matisse l’ha trovata. Magari potremmo raggiungerli in quell’iperurano dove vivremmo meglio anche noi…

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