L’intervista al grande Luigi De Filippo: "Mio padre Peppino mi ha insegnato a non arrendermi mai…"
Riproponiamo per ricordare il grande artista napoletano scomparso in queste ore, l'intervista concessa al nostro quotidiano in data 23 aprile 2013, a cura del giornalista Nicola Ricchitelli.
di NICOLA RICCHITELLI - Sarà a Barletta il prossimo 25, 26 e 27 aprile al teatro Curci d Barletta con la commedia scritta da Armando Curcio nel corso degli anni '40, “A che servono questi quattrini”.
«E' una commedia molto divertente, intelligente, ma soprattutto di grande attualità, che parla del denaro che alle volte è meglio non avere ed essere più furbi e intraprendenti per far carriera nella vita»: questo il commento del maestro Luigi De Filippo, figlio del grande Peppino.
D: Maestro, il prossimo 25, 26 e 27 aprile lei sarà qui a Barletta – presso il teatro “Curci” - con la commedia “A che servono questi quattrini”, scritta negli anni 40 da Armando Curcio. Quali le analogie con i giorni d’oggi?
R: «Prima di tutto perché io sono un cultore del teatro umoristico dei De Filippo degli anni 40, poiché era un teatro che riusciva a comunicare al pubblico delle bellissime emozioni e quindi mi pare giusto riproporlo al pubblico d’oggi. “A che servono questi quattrini” è una commedia molto divertente, intelligente, ma soprattutto di grande attualità, che parla del denaro che alle volte è meglio non avere ed essere più furbi e intraprendenti per far carriera nella vita. È una commedia che sto portando da mesi in giro per l’Italia e che sta avendo un bellissimo successo. È una commedia che si rifà al grande teatro umoristico dei fratelli De Filippo dove si narrava la vicenda umana, del pover’uomo sempre in contrasto con le autorità, con il potere. Era una commedia che valeva la pena mettere in scena poiché è una delle poche commedie divertenti in giro adesso, inoltre sono contentissimo di tornare a recitare a Barletta dopo anni di assenza e ritornarci con questa commedia che è stata un grandissimo successo di questa stagione teatrale»..
D: 1951-2013, più di sessant’anni di teatro. Dove si trova dopo così tanta strada percorsa l’entusiasmo per salire su di un palcoscenico?
R: «Sicuramente nella passione che non abbandona mai l’artista e che non ti fa mai sentire completamente soddisfatto, ma sempre desideroso di raggiungere nuove mete e nuovi traguardi. Proprio qualche giorno fa ho ricevuto in Campidoglio a Roma, il premio “Personalità Europea”, come testimone del teatro dei De Filippo che è conosciuto in tutto il mondo, il teatro di grande tradizione napoletana».
D: Maestro, cosa significa essere un De Filippo e quante le responsabilità nel portare questo cognome?
R: «Le responsabilità sono tante. Sopratutto quando si presenta al pubblico un teatro di grande livello, cosa che faccio da tanti anni. Naturalmente c’è l’orgoglio di chiamarsi De Filippo che è un impegno non da poco, ma al quale la critica e il pubblico mi dicono che assolvo in pieno a questo compito. È bello poter presentare al pubblico un teatro che esso ama, in un momento così difficile per la nostra cultura, ma soprattutto è bello vedere la gente che viene al teatro a vedere il teatro napoletano, ma soprattutto il teatro di Noi De Filippo».
Luigi De Filippo, figlio d'arte, recita dal '51 con la stessa energia e maestria |
R: «Mio padre per me è stato maestro molto importante, ma soprattutto mi ha insegnato a non rassegnarmi mai agli ostacoli che ci sono nella vita. Quando si crede in qualche cosa bisogna lottare per ottenerla, ecco questo è stato uno dei più grandi insegnamenti. Devo dire che se oggi sono riconosciuto come uno dei magiori esponenti del gran teatro napoletano devo dire che il nome De Filippo è stato ben affidato anche a me».
D: Poi, nel 1978 avviene il distacco e quindi fonda una sua compagnia teatrale, che ricordiconserva degli esordi?
R: «Debbo dir che ancora oggi quando la sera si alza il sipario provo tanta emozione. Delle belle emozioni. È questo è un segnale di essere un vero artista. Solo un mestierante non si emoziona quando recita, ma se uno si sente un artista, quando prova delle particolari sensazioni si deve emozionare ogni sera, anche dopo sessant’anni di teatro. Quando io ho fondato una mia compagnia e ho lasciato mio padre, è stato perché volevo realizzare i miei programmi artistici e l’ho fatto recitando Pirandello, Macchiavelli, e tanti altri autori oltre e soprattutto alle mie commedie. Infatti ne ho rappresentate 12, oltre agli sceneggiati scritti per la televisione
D: E soprattutto che emozione provava quando in platea vedeva suo padre?
R: «Sicuramente mi faceva piacere saperlo lì tra il pubblico, ma appunto io recitavo e recito per il pubblico tutto, in tal senso, ecco, mio padre faceva parte del pubblico. Non temevo il suo giudizio, sapevo che lui mi stimava e mi voleva bene, ma soprattutto mi stimava molto come artista, e questo per me era motivo di grande orgoglio».
D: Maestro, quale il suo parere sullo stato del teatro italiano oggi?
R: «Il teatro italiano oggi, purtroppo si trova in grandissima difficoltà e non scopro l’acqua calda nel dirlo. Lo sanno tutti. Stiamo attraversando un momento negativo, specialmente per la cultura e non solo quindi per la politica e per il sociale. Fortunatamente fa un pochino eccezione il teatro napoletano poiché attira sempre la curiosità del pubblico tutto, poi se si parla del grande teatro di noi De Filippo, quello non ha mai crisi perché il pubblico viene sempre numeroso ad applaudirci».