di Francesco Greco.
Giuliana è una ragazza che cela una sua complessità quasi barocca dietro un’apparenza leggera e a tratti vanesia. Ha un passato di sofferenza (amori tormentati, persino un aborto: è scappata di casa a 17 anni per inseguire la sua idea di vita e realizzazione) da cui vuole decisamente fuggire e aspirazioni borghesi. Infatti sposa Pietro, giovane avvocato in carriera, in una settimana, un mese dopo averlo conosciuto. Il menàge non può che svilupparsi all’insegna delle tensioni e delle incomprensioni reciproche: lui è innamorato, lei sempre più confusa.
“Ti ho sposato per allegria”, commedia in tre atti di Natalia Ginsburg (del 1965, nel 1967 Luciano Salce ne fece un film con la Vitti e Albertazzi), è lo spettacolo di primavera della compagnia teatrale pugliese “Salve, in scena!”, fondata da Antonella Oceano, siciliana, che cura anche la regia degli spettacoli. Dopo il “tutto esaurito” di Salve (Palazzo Ramirez) e Supersano (Oratorio parrocchiale Monsignor De Vitis), sarà presentato in altri centri del Salento. E’ una delle realtà teatrali del Sud che, partendo da postulati amatoriali, è arrivata a un livello di professionalità sorprendente e in certi passaggi commovente per la passione infusa da chi vi si dedica.
Dietro una modulazione lieve e a tratti ironica, il testo nasconde una password psicanalitica che corre carsicamente per due ore riflettendo su temi forti: aborto, morte, separazione, incomunicabilità e conflitti fra le coppie, complessi edipici irrisolti. A complicare il già precario equilibrio quotidiano di Giuliana e Pietro (la scena si svolge fra i quartieri della Capitale) c’è una cameriera pasticciona (Vittoria), la madre di Pietro, che non ha condiviso la scelta precipitosa del figlio, peraltro sposatosi solo civilmente, la sorella Ginestra, vaga e superficiale. A tenere tutto miracolosamente insieme la pazienza dell’avvocato che sotto sotto, pur di sfuggire a una madre possessiva, e ossessiva, si adatta a un matrimonio che non ha molte chance di durare, ma sempre meglio che combattere con la madre bigotta, anche se sullo sfondo si stagliano le ombre dei vecchi amanti evocate continuamente da Giuliana. Lo scontro fra mentalità e psicologie esplode al pranzo ideato dall’avvocato per far conoscere la giovane moglie alla madre, mettendola come si dice davanti al fatto compito.
Pubblico in delirio per Giustina De Iaco (Giuliana, foto di Carmelo Anastasio), una delle attrici emergenti del teatro a Sud più talentuose, intense e destinate a una grande carriera. Un talento naturale affinato con tanto lavoro e passione, un’eccellenza dei palcoscenici di Puglia. L’attrice tiene la scena alla grande, dando corpo alle ombre, la leggerezza, le sfaccettature, i chiaroscuri, la complessità del personaggio abbozzato dalla Ginsburg. La De Iaco non interpreta Giuliana, è Giuliana. Non si capisce dove, tanto i due livelli sono reciprocamente contaminati e fusi, dove finisce il personaggio e comincia l’attrice, e viceversa. In certi passaggi è commuovente per intensità e per padronanza della scena: davvero di una bravura che intimidisce.
Le tiene dietro con grazia un Riccardo Buffelli (Pietro) a sua volta “dentro” al personaggio, capace di cogliere le incertezze dell’uomo del XX secolo davanti al protagonismo della donna liberata dal femminismo e padrona del suo destino, a casa e nella società. Ada Orlando (la madre) è superba quanto basta, attaccata ai suoi valori del passato, Sabrina Sergi (Ginestra, la sorella di Pietro) è un personaggio all’apparenza evanescente ma con una sua caratura interiore. Vittoria (Assunta Nuzzello) la cameriera fa tenerezza: difende le sue origini contadine, intanto che chiacchiera con la signora e l’amica di pianerottolo. Sobria e solida la regia di Antonella Oceano, indovinate le scenografie e le musiche anni Sessanta. Se nel tour càpita nella vostra città, correte a vederlo: la sintonia fra testo e rappresentazione vi commuoverà.
Giuliana è una ragazza che cela una sua complessità quasi barocca dietro un’apparenza leggera e a tratti vanesia. Ha un passato di sofferenza (amori tormentati, persino un aborto: è scappata di casa a 17 anni per inseguire la sua idea di vita e realizzazione) da cui vuole decisamente fuggire e aspirazioni borghesi. Infatti sposa Pietro, giovane avvocato in carriera, in una settimana, un mese dopo averlo conosciuto. Il menàge non può che svilupparsi all’insegna delle tensioni e delle incomprensioni reciproche: lui è innamorato, lei sempre più confusa.
“Ti ho sposato per allegria”, commedia in tre atti di Natalia Ginsburg (del 1965, nel 1967 Luciano Salce ne fece un film con la Vitti e Albertazzi), è lo spettacolo di primavera della compagnia teatrale pugliese “Salve, in scena!”, fondata da Antonella Oceano, siciliana, che cura anche la regia degli spettacoli. Dopo il “tutto esaurito” di Salve (Palazzo Ramirez) e Supersano (Oratorio parrocchiale Monsignor De Vitis), sarà presentato in altri centri del Salento. E’ una delle realtà teatrali del Sud che, partendo da postulati amatoriali, è arrivata a un livello di professionalità sorprendente e in certi passaggi commovente per la passione infusa da chi vi si dedica.
Dietro una modulazione lieve e a tratti ironica, il testo nasconde una password psicanalitica che corre carsicamente per due ore riflettendo su temi forti: aborto, morte, separazione, incomunicabilità e conflitti fra le coppie, complessi edipici irrisolti. A complicare il già precario equilibrio quotidiano di Giuliana e Pietro (la scena si svolge fra i quartieri della Capitale) c’è una cameriera pasticciona (Vittoria), la madre di Pietro, che non ha condiviso la scelta precipitosa del figlio, peraltro sposatosi solo civilmente, la sorella Ginestra, vaga e superficiale. A tenere tutto miracolosamente insieme la pazienza dell’avvocato che sotto sotto, pur di sfuggire a una madre possessiva, e ossessiva, si adatta a un matrimonio che non ha molte chance di durare, ma sempre meglio che combattere con la madre bigotta, anche se sullo sfondo si stagliano le ombre dei vecchi amanti evocate continuamente da Giuliana. Lo scontro fra mentalità e psicologie esplode al pranzo ideato dall’avvocato per far conoscere la giovane moglie alla madre, mettendola come si dice davanti al fatto compito.
Pubblico in delirio per Giustina De Iaco (Giuliana, foto di Carmelo Anastasio), una delle attrici emergenti del teatro a Sud più talentuose, intense e destinate a una grande carriera. Un talento naturale affinato con tanto lavoro e passione, un’eccellenza dei palcoscenici di Puglia. L’attrice tiene la scena alla grande, dando corpo alle ombre, la leggerezza, le sfaccettature, i chiaroscuri, la complessità del personaggio abbozzato dalla Ginsburg. La De Iaco non interpreta Giuliana, è Giuliana. Non si capisce dove, tanto i due livelli sono reciprocamente contaminati e fusi, dove finisce il personaggio e comincia l’attrice, e viceversa. In certi passaggi è commuovente per intensità e per padronanza della scena: davvero di una bravura che intimidisce.
Le tiene dietro con grazia un Riccardo Buffelli (Pietro) a sua volta “dentro” al personaggio, capace di cogliere le incertezze dell’uomo del XX secolo davanti al protagonismo della donna liberata dal femminismo e padrona del suo destino, a casa e nella società. Ada Orlando (la madre) è superba quanto basta, attaccata ai suoi valori del passato, Sabrina Sergi (Ginestra, la sorella di Pietro) è un personaggio all’apparenza evanescente ma con una sua caratura interiore. Vittoria (Assunta Nuzzello) la cameriera fa tenerezza: difende le sue origini contadine, intanto che chiacchiera con la signora e l’amica di pianerottolo. Sobria e solida la regia di Antonella Oceano, indovinate le scenografie e le musiche anni Sessanta. Se nel tour càpita nella vostra città, correte a vederlo: la sintonia fra testo e rappresentazione vi commuoverà.