BARI - “La situazione economico-produttiva in cui oggi vive l'Italia è drammatica. Secondo la Corte dei Conti ammonta a 230 miliardi di euro la mancata crescita nominale del nostro Paese negli ultimi 5 anni. Una perdita di ricchezza che si è tradotta in un gettito fiscale minore e quindi nell'impossiblità per lo Stato di risanare i conti pubblici. Un intero Paese sta fallendo, compresa la sua pubblica amminstrazione che deve sottostare alle regole folli del Patto di stabilità che, pur in presenza delle risorse finanziarie necessarie, vietano agli enti locali di investire quei soldi.
Anche la Puglia, nonostante Bruxelles abbia certificato sia tra le regioni più virtuose nella spesa dei fondi Ue al pari delle regioni del Nord, si ritrova con un limite di spesa di 289 milioni a fronte del 1,8 miliardo destinato. Tanto che la Giunta si sta muovendo con uno sforzo straordinario di spesa entro giugno 2013, per dimostrare che la nostra capacità di investimento è superiore. Si tratta di politiche illogiche di freno alla crescita, come la delibera Cipe che ci impone di chiudere gli appalti per 3 miliardi di Fondi Fas entro dicembre, mettendo a rischio finanziamenti già accordati per opere strategiche.
A questo punto viene da chiedersi se la politica di austerity imposta dall'Ue non sia solo una strategia economico-politica per non garantire i finanziamenti previsti e dirottarli invece altrove. Quanto vale ancora la pena restare in Europa se il rigore non fa che danneggiare l'economia, creare disoccupazione e diventare esso stesso una concausa dell'avvitamento verso la recessione? L'Ue deve invertire il segno della sua politica economica e prendere ad esempio realtà come quelle giapponese e statunitense che per uscire dalla crisi hanno avviato, con ottimi risultati, politiche di rilancio dell'economia e di incentivo agli investimenti. Senza un allentamento dei vincoli del Patto l'Italia è destinata alla bancarotta. Mi auguro quindi che l'uscita del nostro Paese dalla procedura di infrazione porti innanzitutto ad un allentamento del vincolo, consentendo di investire quei 31 miliardi di euro che il nostro Paese ha ancora a disposizione per i prossimi due anni.
Ma la responsabilità di una inversione di tendenza non è solo della governance europea ma anche del Governo nazionale. Il Pil continua a scendere, i consumi e la produzione industriale sono sensibilmente in calo come in nessun altro paese dell'eurozona (ad eccezione della Grecia) e la disoccupazione giovanile ha toccato il 40%: sono dati economici spaventosi ma anche indicatori di un grave allarme sociale che nessuno può ignorare. Senza una politica di sostegno alle imprese, tutto il Paese finirà nel baratro, arretrando di quasi mezzo secolo. Ed il nostro Governo cosa pensa di fare in questo momento così dramamtico? Mette in agenda un incomprensibile aumento dell'Iva, nonostante il record italiano della pressione fiscale (44%), con un cuneo fiscale tra i più elevati in Europa che fa confluire nelle casse dello Stato più della metà di quello che le imprese pagano ai lavoratori. É assurdo che in Italia si lavori 162 giorni, quasi la metà dell'anno, per pagare le tasse! Soprattutto per le piccole medie imprese, che sono la maggioranza del tessuto industriale italiano, sopravvivere è difficile. La colpa è innanzitutto di quella mentalità anti impresa della nostra politica, caratterizzata da un'elevata pressione fiscale, da lungaggini burocratiche e amministrative per chi voglia fare impresa, da una tassazione eccessiva del lavoro. A tutto questo oggi si aggiunge una situazione ancora più paradossale: quella delle imprese che falliscono per i crediti che vantano verso le pubbliche amminsitrazioni. Non è giusto che lo Stato riscuota le imposte con tempi certi e perentori e che invece dilazioni il pagamento quando a vantare i crediti sono le imprese. Questa stretta creditizia sta uccidendo le piccole medie imprese italiane, tanto che solo nei primi mesi del 2013 più di 4mila imprese sono fallite. Per alleviare le imprese dall'assenza di credito la prima cosa da fare è che la pubblica amministrazione paghi i propri debiti (che ammontano a circa 140 miliardi di euro) e rimborsi immediatamente l'Iva alle aziende creditrici.
In Italia non abbiamo le materie prime, la burocrazia opprime le imprese, le tasse sono elevate, l'euro è una moneta sopravvalutata e le aziende fanno una fatica immensa a sopravvivere, con proiezioni a breve termine ancora più drammatiche. A queste condizioni molte imprese, soprattutto le più grandi come la Fiat, stanno pensando di investire all'estero, dove la produzione ha un costo minore e minore è soprattutto la pressione fiscale e contributiva sul lavoro. É arrivato il momento per il nostro Governo di dare un sostegno decisivo al tessuto economico dell'Italia, cambiando quella diffusa mentalità anti impresa e abbandonando le politche di austerity, anche a rischio di uscita dall'eurozona. In alternativa, il collasso economico e sociale”.
A dichiararlo in una nota il Consigliere regionale Pd, Giovanni Epifani.
Anche la Puglia, nonostante Bruxelles abbia certificato sia tra le regioni più virtuose nella spesa dei fondi Ue al pari delle regioni del Nord, si ritrova con un limite di spesa di 289 milioni a fronte del 1,8 miliardo destinato. Tanto che la Giunta si sta muovendo con uno sforzo straordinario di spesa entro giugno 2013, per dimostrare che la nostra capacità di investimento è superiore. Si tratta di politiche illogiche di freno alla crescita, come la delibera Cipe che ci impone di chiudere gli appalti per 3 miliardi di Fondi Fas entro dicembre, mettendo a rischio finanziamenti già accordati per opere strategiche.
A questo punto viene da chiedersi se la politica di austerity imposta dall'Ue non sia solo una strategia economico-politica per non garantire i finanziamenti previsti e dirottarli invece altrove. Quanto vale ancora la pena restare in Europa se il rigore non fa che danneggiare l'economia, creare disoccupazione e diventare esso stesso una concausa dell'avvitamento verso la recessione? L'Ue deve invertire il segno della sua politica economica e prendere ad esempio realtà come quelle giapponese e statunitense che per uscire dalla crisi hanno avviato, con ottimi risultati, politiche di rilancio dell'economia e di incentivo agli investimenti. Senza un allentamento dei vincoli del Patto l'Italia è destinata alla bancarotta. Mi auguro quindi che l'uscita del nostro Paese dalla procedura di infrazione porti innanzitutto ad un allentamento del vincolo, consentendo di investire quei 31 miliardi di euro che il nostro Paese ha ancora a disposizione per i prossimi due anni.
Ma la responsabilità di una inversione di tendenza non è solo della governance europea ma anche del Governo nazionale. Il Pil continua a scendere, i consumi e la produzione industriale sono sensibilmente in calo come in nessun altro paese dell'eurozona (ad eccezione della Grecia) e la disoccupazione giovanile ha toccato il 40%: sono dati economici spaventosi ma anche indicatori di un grave allarme sociale che nessuno può ignorare. Senza una politica di sostegno alle imprese, tutto il Paese finirà nel baratro, arretrando di quasi mezzo secolo. Ed il nostro Governo cosa pensa di fare in questo momento così dramamtico? Mette in agenda un incomprensibile aumento dell'Iva, nonostante il record italiano della pressione fiscale (44%), con un cuneo fiscale tra i più elevati in Europa che fa confluire nelle casse dello Stato più della metà di quello che le imprese pagano ai lavoratori. É assurdo che in Italia si lavori 162 giorni, quasi la metà dell'anno, per pagare le tasse! Soprattutto per le piccole medie imprese, che sono la maggioranza del tessuto industriale italiano, sopravvivere è difficile. La colpa è innanzitutto di quella mentalità anti impresa della nostra politica, caratterizzata da un'elevata pressione fiscale, da lungaggini burocratiche e amministrative per chi voglia fare impresa, da una tassazione eccessiva del lavoro. A tutto questo oggi si aggiunge una situazione ancora più paradossale: quella delle imprese che falliscono per i crediti che vantano verso le pubbliche amminsitrazioni. Non è giusto che lo Stato riscuota le imposte con tempi certi e perentori e che invece dilazioni il pagamento quando a vantare i crediti sono le imprese. Questa stretta creditizia sta uccidendo le piccole medie imprese italiane, tanto che solo nei primi mesi del 2013 più di 4mila imprese sono fallite. Per alleviare le imprese dall'assenza di credito la prima cosa da fare è che la pubblica amministrazione paghi i propri debiti (che ammontano a circa 140 miliardi di euro) e rimborsi immediatamente l'Iva alle aziende creditrici.
In Italia non abbiamo le materie prime, la burocrazia opprime le imprese, le tasse sono elevate, l'euro è una moneta sopravvalutata e le aziende fanno una fatica immensa a sopravvivere, con proiezioni a breve termine ancora più drammatiche. A queste condizioni molte imprese, soprattutto le più grandi come la Fiat, stanno pensando di investire all'estero, dove la produzione ha un costo minore e minore è soprattutto la pressione fiscale e contributiva sul lavoro. É arrivato il momento per il nostro Governo di dare un sostegno decisivo al tessuto economico dell'Italia, cambiando quella diffusa mentalità anti impresa e abbandonando le politche di austerity, anche a rischio di uscita dall'eurozona. In alternativa, il collasso economico e sociale”.
A dichiararlo in una nota il Consigliere regionale Pd, Giovanni Epifani.
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