di Francesco Greco - Mille firme contro i veleni nella terra. Che la offendono e la rendono sterile, matrigna, in nome di una modernità che eleva il profitto a icona universale, divinità per cui tutto è lecito. L’uso irrazionale della chimica ci impoverisce: estingue flora e fauna, devasta la microflora da cui riparte ogni processo vitale. Una scuola di pensiero sostiene che i cibi-spam, entrando nel metabolismo, modificano la nostra mappatura genetica. Da un altro mondo, dove hanno il copyright dei semi ibridi che non danno altri semi e creano dipendenza economica e culturale, la replica: l’agricoltura intensiva non può fare altrimenti per sfamare tutti.
Metti una sera d’estate, fra gli ulivi secolari alla “Casa delle Agriculture”, contrada “Curteddhra” (è la terra di Modesta, anziana del paese che non può più curarla), periferia di Castiglione d’Otranto (Lecce), “capitale” del Sud contadino che intende rimodulare l’intima dialettica con la terra, riscrivendo ex novo un dialogo generazionale interrotto. Da anni questa piccola comunità ha assunto la leadership di un tempo nuovo che diviene cultura, muove Pil, influenza il costume, le relazioni sociali e interpersonali. I vecchi che non possono più coltivarla regalano la buona terra ai giovani, che “resuscitano” semi estinti, seminano grano (a fine mese la mietitura alle Jannare e dintorni: evento in progress), mettono a dimora pomodori, verdure, fagiolini, nonostante l’acqua scarsa, ma è anche la semantica di un’avanguardia che lancia una sfida culturale epocale, che si sublima in un protagonismo ancora tutto da esplorare. Senza la nostalgia retorica per il mondo contadino di ieri, da cui però si enuclea la linfa migliore per scagliarla nel XXI secolo, per coniugare l’auto-occupazione sulla terra degli avi col bisogno di reddito mettendo sul mercato prodotti sani e sicuri.
“1000 firme: un obiettivo ambizioso…”, sorride la collega Tiziana Colluto (foto di Dalila Longo) del Fatto Quotidiano, qui molto amata per serietà e passione. Racconta di un viaggio, a gennaio scorso, nelle Marche, sulle morbide colline intorno a Urbino, alla comunità fondata da Tullio e Gino, i “guru” del biologico sin dagli anni ’70. Confida: “Quando siamo scesi eravamo diversi, altre persone…”. Nasce così, con Ivan Botrugno, Donato Nuzzo e altri l’idea dell’associazione “Tullio e Gino”. Che ha preso in comodato d’uso questa “tummanata”di terra e cominciato a coltivare l’orto, ristrutturare un vecchio capannone adiacente e organizzato il convegno sull’uso indiscriminato di pesticidi, diserbanti, fitofarmaci. Elemento collegato da più parti, anche a livello istituzionale (Oms, Unup, Ispra, l’ex ministro Clini, uno recente studio di scienziati Usa, ecc.) al dilagare di patologie neoplastiche (l’incidenza sui tumori al seno, per esempio), all’inquinamento delle acque (50%) in superficie e nella falda, ecc. (“…’ntisi le ranoccule cantare…”).
C’è un silenzio quasi innaturale quando Tiziana, che conduce la serata, premette: “Siamo romantici, sognatori: vogliamo sporcarci le mani di terra…”. Parole che hanno la potenza di un manifesto politico, ma anche la rivendicazione di un’identità ricomposta, una memoria ritrovata, l’orgoglio di nobili radici riportate alla luce. L’oncologo Giuseppe Serravezza è preoccupato, conferma il sospetto, parla di “livelli di insostenibilità”, osserva che “si mangia male”, si chiede a più riprese “cosa si veicola attraverso il cibo?”. Arriva a dire che l’aggressione della chimica “contagia il feto”. Il silenzio si fa di ghiaccio, anche le rane tacciono. Poi il crepuscolo esangue emana un ultimo bagliore di speranza: si sta tornando indietro, aggiunge lo scienziato “nelle serre la chimica è stata bandita”. Istinto di conservazione? (“…lu rusciu de lu mare è mutu forte…”).
Roberto Guido dirige “QuiSalento” dove mette in rilievo le eccellenze e le bellezze del territorio. Apprendiamo che le masserie del Salento hanno appeal in Europa: le trovi sugli autobus di Londra, Berlino, ecc. “La terra – afferma ottimista – può far ripartire l’economia”. Ha aggiunto Giulio Sparascio, presidente di Turismo Verde: “Siamo grati ai nostri contadini per quello che ci hanno lasciato. Ora dobbiamo pensare a una nuova ruralità con altri soggetti e con l’obiettivo pesticidi zero”. L’imprenditore Ivano Gioffreda ha accusato il WTO di avere “in mano l’agricoltura dell’Occidente… A quella organica e rigenerativa si oppongono i governi finanziati dalle multinazionali”.
Convitati di pietra i politici, spersi in liturgie barocche, sideralmente lontani dall’anima ancestrale dei popoli. Incapaci di leggere il presente: in Turchia per difendere un parco è scoppiata la rivoluzione. Qui a Castiglione la democrazia torna all’agorà delle origini, alla passione per la parola nuda sino all’essenzialità, senza tradimenti, restituita alla primitiva semantica. Par di essere in una comunità di Gesuiti nel Paraguay del XVI secolo. Tante persone, molte venute da lontano (Sara Ottaviani, Livorno), con una luce di dolcezza nello sguardo, in fila per firmare la petizione popolare (sarà inviata anche alla Regione Puglia che vorrebbe disciplinare la materia con inviti alla volemese bene) alla luce esigua di una pila e a notte fonda le rane cantano (“a una a una ieu le sentia cantare/ca me pariane lu rusciu de lu mare”) e i bambini si rincorrono fra filari di pomodori, zucchine, cicorie otrantine. E le nuove generazioni, messa via la laurea e il trolley, si battono per la dignità e il rispetto per la terra, puntano all’autovalorizzazione, discutono di passato, di memoria, radici, sementi, di biologico, sviluppo sostenibile, sicurezza alimentare, di concimazione naturale, per immaginare un futuro prossimo venturo diverso da quello insulso e sottomesso che il potere vorrebbe brutalmente imporre.
Link petizione pubblica:
http://www.petizionepubblica. it/PeticaoVer.aspx?pi= P2013N41219
Metti una sera d’estate, fra gli ulivi secolari alla “Casa delle Agriculture”, contrada “Curteddhra” (è la terra di Modesta, anziana del paese che non può più curarla), periferia di Castiglione d’Otranto (Lecce), “capitale” del Sud contadino che intende rimodulare l’intima dialettica con la terra, riscrivendo ex novo un dialogo generazionale interrotto. Da anni questa piccola comunità ha assunto la leadership di un tempo nuovo che diviene cultura, muove Pil, influenza il costume, le relazioni sociali e interpersonali. I vecchi che non possono più coltivarla regalano la buona terra ai giovani, che “resuscitano” semi estinti, seminano grano (a fine mese la mietitura alle Jannare e dintorni: evento in progress), mettono a dimora pomodori, verdure, fagiolini, nonostante l’acqua scarsa, ma è anche la semantica di un’avanguardia che lancia una sfida culturale epocale, che si sublima in un protagonismo ancora tutto da esplorare. Senza la nostalgia retorica per il mondo contadino di ieri, da cui però si enuclea la linfa migliore per scagliarla nel XXI secolo, per coniugare l’auto-occupazione sulla terra degli avi col bisogno di reddito mettendo sul mercato prodotti sani e sicuri.
“1000 firme: un obiettivo ambizioso…”, sorride la collega Tiziana Colluto (foto di Dalila Longo) del Fatto Quotidiano, qui molto amata per serietà e passione. Racconta di un viaggio, a gennaio scorso, nelle Marche, sulle morbide colline intorno a Urbino, alla comunità fondata da Tullio e Gino, i “guru” del biologico sin dagli anni ’70. Confida: “Quando siamo scesi eravamo diversi, altre persone…”. Nasce così, con Ivan Botrugno, Donato Nuzzo e altri l’idea dell’associazione “Tullio e Gino”. Che ha preso in comodato d’uso questa “tummanata”di terra e cominciato a coltivare l’orto, ristrutturare un vecchio capannone adiacente e organizzato il convegno sull’uso indiscriminato di pesticidi, diserbanti, fitofarmaci. Elemento collegato da più parti, anche a livello istituzionale (Oms, Unup, Ispra, l’ex ministro Clini, uno recente studio di scienziati Usa, ecc.) al dilagare di patologie neoplastiche (l’incidenza sui tumori al seno, per esempio), all’inquinamento delle acque (50%) in superficie e nella falda, ecc. (“…’ntisi le ranoccule cantare…”).
C’è un silenzio quasi innaturale quando Tiziana, che conduce la serata, premette: “Siamo romantici, sognatori: vogliamo sporcarci le mani di terra…”. Parole che hanno la potenza di un manifesto politico, ma anche la rivendicazione di un’identità ricomposta, una memoria ritrovata, l’orgoglio di nobili radici riportate alla luce. L’oncologo Giuseppe Serravezza è preoccupato, conferma il sospetto, parla di “livelli di insostenibilità”, osserva che “si mangia male”, si chiede a più riprese “cosa si veicola attraverso il cibo?”. Arriva a dire che l’aggressione della chimica “contagia il feto”. Il silenzio si fa di ghiaccio, anche le rane tacciono. Poi il crepuscolo esangue emana un ultimo bagliore di speranza: si sta tornando indietro, aggiunge lo scienziato “nelle serre la chimica è stata bandita”. Istinto di conservazione? (“…lu rusciu de lu mare è mutu forte…”).
Roberto Guido dirige “QuiSalento” dove mette in rilievo le eccellenze e le bellezze del territorio. Apprendiamo che le masserie del Salento hanno appeal in Europa: le trovi sugli autobus di Londra, Berlino, ecc. “La terra – afferma ottimista – può far ripartire l’economia”. Ha aggiunto Giulio Sparascio, presidente di Turismo Verde: “Siamo grati ai nostri contadini per quello che ci hanno lasciato. Ora dobbiamo pensare a una nuova ruralità con altri soggetti e con l’obiettivo pesticidi zero”. L’imprenditore Ivano Gioffreda ha accusato il WTO di avere “in mano l’agricoltura dell’Occidente… A quella organica e rigenerativa si oppongono i governi finanziati dalle multinazionali”.
Convitati di pietra i politici, spersi in liturgie barocche, sideralmente lontani dall’anima ancestrale dei popoli. Incapaci di leggere il presente: in Turchia per difendere un parco è scoppiata la rivoluzione. Qui a Castiglione la democrazia torna all’agorà delle origini, alla passione per la parola nuda sino all’essenzialità, senza tradimenti, restituita alla primitiva semantica. Par di essere in una comunità di Gesuiti nel Paraguay del XVI secolo. Tante persone, molte venute da lontano (Sara Ottaviani, Livorno), con una luce di dolcezza nello sguardo, in fila per firmare la petizione popolare (sarà inviata anche alla Regione Puglia che vorrebbe disciplinare la materia con inviti alla volemese bene) alla luce esigua di una pila e a notte fonda le rane cantano (“a una a una ieu le sentia cantare/ca me pariane lu rusciu de lu mare”) e i bambini si rincorrono fra filari di pomodori, zucchine, cicorie otrantine. E le nuove generazioni, messa via la laurea e il trolley, si battono per la dignità e il rispetto per la terra, puntano all’autovalorizzazione, discutono di passato, di memoria, radici, sementi, di biologico, sviluppo sostenibile, sicurezza alimentare, di concimazione naturale, per immaginare un futuro prossimo venturo diverso da quello insulso e sottomesso che il potere vorrebbe brutalmente imporre.
Link petizione pubblica:
http://www.petizionepubblica.