BARI - Tempi duri per chi produce rumori molesti e disturba la quiete del vicinato anche in sede penale. Può infatti, essere condannato per il reato di “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” il responsabile del centro commerciale se il rumore causato dall'impianto dei condizionatori disturba i condomini anche a finestre chiuse e agli ultimi piani dell’edificio.
A stabilirlo, rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, addirittura una sentenza della Corte di Cassazione la 28874 dell’8 luglio 2013, che ha rigettato il ricorso di un 60enne contro la decisione del tribunale di Cosenza che lo aveva condannato alla pena di 200 euro di ammenda, appunto per il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone.
I giudici della prima sezione penale, senza modificare quanto deciso dal giudice di prime cure, hanno ritenuto dimostrato che l’impianto tecnologico (in particolare i condizionatori) a servizio di un centro commerciale, di cui l’imputato era legale rappresentante, arrecasse disturbo non tollerabile agli occupanti del soprastante stabile di civile abitazione, trattandosi dello stesso complesso edilizio. Peraltro, risultava che i rumori fossero addirittura percepiti negli appartamenti fino al quarto piano dell’edificio.
In tal senso, gli ermellini hanno rilevato che anche se il reato di cui l’articolo 659 del codice penale ricorre nel caso che risulti una rumorosità tale da arrecare disturbo a una pluralità indifferenziata di persone, è però altrettanto vero che, nella concreta fattispecie, ciò è stato effettivamente accertato dal giudice del merito. «Circostanza particolarmente significativa» evidenzia la Suprema corte è che «assai elevato era il valore dei decibel registrati al quarto piano dell’edificio». Ed ha specificato: «la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare».
Ma in più, i giudici di piazza Cavour hanno sottolineato che «l’articolo 659 Cp prevede due distinte ipotesi di reato: quello contenuto nel primo comma ha ad oggetto il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e richiede l’accertamento in concreto dell’avvenuto disturbo; mentre quello previsto nel secondo comma riguardante l’esercizio di professione o mestiere rumoroso, prescinde dalla verificazione del disturbo, essendo tale evento presunto “iuris et de iure” ogni volta che l’esercizio del mestiere rumoroso si verifichi fuori dai limiti di tempo, di spazio e di modo imposti dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità ».
A riferirlo in una nota il fondatore dello 'Sportello dei Diritti' Giovanni D'Agata.
A stabilirlo, rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, addirittura una sentenza della Corte di Cassazione la 28874 dell’8 luglio 2013, che ha rigettato il ricorso di un 60enne contro la decisione del tribunale di Cosenza che lo aveva condannato alla pena di 200 euro di ammenda, appunto per il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone.
I giudici della prima sezione penale, senza modificare quanto deciso dal giudice di prime cure, hanno ritenuto dimostrato che l’impianto tecnologico (in particolare i condizionatori) a servizio di un centro commerciale, di cui l’imputato era legale rappresentante, arrecasse disturbo non tollerabile agli occupanti del soprastante stabile di civile abitazione, trattandosi dello stesso complesso edilizio. Peraltro, risultava che i rumori fossero addirittura percepiti negli appartamenti fino al quarto piano dell’edificio.
In tal senso, gli ermellini hanno rilevato che anche se il reato di cui l’articolo 659 del codice penale ricorre nel caso che risulti una rumorosità tale da arrecare disturbo a una pluralità indifferenziata di persone, è però altrettanto vero che, nella concreta fattispecie, ciò è stato effettivamente accertato dal giudice del merito. «Circostanza particolarmente significativa» evidenzia la Suprema corte è che «assai elevato era il valore dei decibel registrati al quarto piano dell’edificio». Ed ha specificato: «la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare».
Ma in più, i giudici di piazza Cavour hanno sottolineato che «l’articolo 659 Cp prevede due distinte ipotesi di reato: quello contenuto nel primo comma ha ad oggetto il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e richiede l’accertamento in concreto dell’avvenuto disturbo; mentre quello previsto nel secondo comma riguardante l’esercizio di professione o mestiere rumoroso, prescinde dalla verificazione del disturbo, essendo tale evento presunto “iuris et de iure” ogni volta che l’esercizio del mestiere rumoroso si verifichi fuori dai limiti di tempo, di spazio e di modo imposti dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità ».
A riferirlo in una nota il fondatore dello 'Sportello dei Diritti' Giovanni D'Agata.
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