Dialetto barese, non esistono depositari della verità
di Vittorio Polito - Il dialetto è troppo importante per essere messo in discussione da improvvisatori e imbonitori da strapazzo, dal momento che secondo Vito Antonio Melchiorre, «rappresenta una specie di tessuto connettivo fra il passato e il presente, nel quale ogni epoca ed ogni evento ha lasciato segni indelebili», che non sono quelli che alcuni vogliono imporre oggi attraverso presunti comitati, centri studio, accademie, seminari o altro.
Il dialetto barese è una lingua o una parlata? Il Vocabolario Treccani definisce la parlata: «Modo di parlare proprio di un determinato luogo o di una singola persona, con riguardo al lessico, alla morfologia, alla pronuncia, alla cadenza», mentre il dialetto, secondo lo stesso Vocabolario, è un «Sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato e per lo più di uso solo parlato, a cui si contrappone la lingua ufficiale o nazionale di un paese».
In considerazione di quanto sopra viene da chiedersi: ma allora a che serve pubblicare tante grammatiche individuali se sono utilizzate solo da quelle poche persone che scrivono in dialetto o meglio ancora che le hanno curate?
Qualche giorno fa «La Gazzetta del Mezzogiorno» ha pubblicato la nota di una associazione nella quale si evidenziava che ogni mercoledì presso la stessa «…si riuniscono non soltanto autorevoli professori in seminario per discutere le difficoltà della lingua, ma persone, ognuna con un grado di preparazione e soprattutto gente del popolo…». A tal proposito va detto che la gente del popolo non può certamente dettar leggi in fatto di grammatica e/o sintassi, mentre è da registrare che negli ultimi tempi hanno abbandonato l'associazione «perché si litigava in continuazione e si concludeva poco», un notevole numero di persone, tutte qualificate, che per vari motivi hanno abbandonato il campo non condividendo affatto l'iniziativa. Si tratta di oltre 20 persone, di alta professionalità, di cui per ovvie ragioni di serietà, non riporto i nomi.
Quanto sopra sta a significare che non risponde alla realtà la nota inviata da Biagio Loconte alla Gazzetta, poiché è più che evidente che chi poteva dare veramente una mano, non ha più condiviso i comportamenti "dittatoriali", personalistici o litigiosi di altri.
L'annuncio della preparazione di una ennesima grammatica non avrebbe alcun senso, se solo si considera che attualmente ne sono disponibili almeno tre. Le regole «imposte» non li gradisce nessuno, soprattutto se provengono da colleghi, associazioni, centri studio, seminari, accademie, senza autorità alcuna, o da persone che intendono mettersi in cattedra nel tentativo di costringere gli altri a seguire determinate norme.
Un esempio: Come si scrive "A terra la lancia"? Giuseppe Romito, nel suo Dizionario scrive "Ndèrr'a la lanze"; Giovanni Panza intitola una sua poesia "Nderr a la lanze"; Simone Di Cagno Abbrescia sul libro "Grazie Bari" scrive "N'dérre a la lanze"; Nicola Sbisà in "Puglia. Colori e sapori" scrive "Nderr' a la lanze"; Lino Patruno nel suo libro "Invito a Bari" scrive Nderr'la lanze" e Alfredo Giovine nel libro "Nostalgia di Bari" scrive "N-dèrr'a la lanze. Una semplice frase di 4 parole che non mette d'accordo nessuno.
Per concludere, mi piace ribadire ancora una volta che non esistono da nessuna parte depositari della verità in assoluto, dal momento che tutto è fluttuante e variabile ed in continuo movimento, come in ogni campo dello scibile umano, dialetti compresi.
Il dialetto barese è una lingua o una parlata? Il Vocabolario Treccani definisce la parlata: «Modo di parlare proprio di un determinato luogo o di una singola persona, con riguardo al lessico, alla morfologia, alla pronuncia, alla cadenza», mentre il dialetto, secondo lo stesso Vocabolario, è un «Sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato e per lo più di uso solo parlato, a cui si contrappone la lingua ufficiale o nazionale di un paese».
In considerazione di quanto sopra viene da chiedersi: ma allora a che serve pubblicare tante grammatiche individuali se sono utilizzate solo da quelle poche persone che scrivono in dialetto o meglio ancora che le hanno curate?
Qualche giorno fa «La Gazzetta del Mezzogiorno» ha pubblicato la nota di una associazione nella quale si evidenziava che ogni mercoledì presso la stessa «…si riuniscono non soltanto autorevoli professori in seminario per discutere le difficoltà della lingua, ma persone, ognuna con un grado di preparazione e soprattutto gente del popolo…». A tal proposito va detto che la gente del popolo non può certamente dettar leggi in fatto di grammatica e/o sintassi, mentre è da registrare che negli ultimi tempi hanno abbandonato l'associazione «perché si litigava in continuazione e si concludeva poco», un notevole numero di persone, tutte qualificate, che per vari motivi hanno abbandonato il campo non condividendo affatto l'iniziativa. Si tratta di oltre 20 persone, di alta professionalità, di cui per ovvie ragioni di serietà, non riporto i nomi.
Quanto sopra sta a significare che non risponde alla realtà la nota inviata da Biagio Loconte alla Gazzetta, poiché è più che evidente che chi poteva dare veramente una mano, non ha più condiviso i comportamenti "dittatoriali", personalistici o litigiosi di altri.
L'annuncio della preparazione di una ennesima grammatica non avrebbe alcun senso, se solo si considera che attualmente ne sono disponibili almeno tre. Le regole «imposte» non li gradisce nessuno, soprattutto se provengono da colleghi, associazioni, centri studio, seminari, accademie, senza autorità alcuna, o da persone che intendono mettersi in cattedra nel tentativo di costringere gli altri a seguire determinate norme.
Un esempio: Come si scrive "A terra la lancia"? Giuseppe Romito, nel suo Dizionario scrive "Ndèrr'a la lanze"; Giovanni Panza intitola una sua poesia "Nderr a la lanze"; Simone Di Cagno Abbrescia sul libro "Grazie Bari" scrive "N'dérre a la lanze"; Nicola Sbisà in "Puglia. Colori e sapori" scrive "Nderr' a la lanze"; Lino Patruno nel suo libro "Invito a Bari" scrive Nderr'la lanze" e Alfredo Giovine nel libro "Nostalgia di Bari" scrive "N-dèrr'a la lanze. Una semplice frase di 4 parole che non mette d'accordo nessuno.
Per concludere, mi piace ribadire ancora una volta che non esistono da nessuna parte depositari della verità in assoluto, dal momento che tutto è fluttuante e variabile ed in continuo movimento, come in ogni campo dello scibile umano, dialetti compresi.
Che tantissimi termini dialettali baresi possiedano più varianti (data l’evoluzione linguistica nel tempo), è una cosa risaputa (ogni dialetto è soggetto a ciò). Nonostante tutto, è giusto che si cerchi di dare dignità al nostro magnifico vernacolo, fissando delle regole comuni di scrittura (dal punto di vista grammaticale). Onore a chi si impegna a farlo, dunque!... Determinate regole vanno fissate, in quanto indiscutibilmente fanno parte della natura della nostra lingua. E’ importante, ad esempio, non confondere tra loro i suoni /ji/ e /ij/ (errore molte volte commesso dagli scrittori). E’ importante non adoperare la “j” a casaccio (e pertanto, siccome occorrerebbe studiare approfonditamente l’argomento in questione, per semplificare le cose, sarebbe meglio non utilizzarla affatto, sostituendola sempre e solo con la semplice “i”). E’ importante saper individuare le “i” e le “u” prostetiche. E’ importante distinguere le “e” semimute da quelle non semimute. E’ importante trasformare (nei casi previsti) “ns” in “nz”, “mp”/”nb”/”np” in “mb”, “nf” in “nv”/”mb”, “nt” in “nd”, “lt” in “ld”, “nq”/”nc” in “ng”, ecc.. E’ fondamentale l’uso di “sck”. E’ importante distinguere “sc” da “ssc”. Con l’elenco mi fermo qui per non tediare i lettori ma, è ovvio che di regole da menzionare ce ne sarebbero ancòra (è necessario però che esse vadano applicate con coerenza e logicità). Ed infine, credo che chi appoggia l’anarchia in scrittura, non voglia bene al nostro grandioso idioma.
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