di Antonio Negro - In questi giorni c'è un dibattito in corso sulle prime pagine dei giornali nazionali in merito al funzionamento della giustizia amministrativa e sull'utilità dei Tar e del Consiglio di Stato. Alcuni chiedono, addirittura, che questi due organi vengano eliminati, in quanto costituiscono un freno che ritarda i tempi di intervento e realizzazione delle tante iniziative imprenditoriali sia pubbliche che private, grandi opere in particolare.
Altri insistono sulla necessità che continuino a esistere, a garanzia dell'applicazione delle norme in questo settore, altrimenti prevarrebbe la legge del più forte o del più furbo.
Bisogna subito dire che la giustizia amministrativa, al di la delle questioni di merito, è quella che funziona meglio anche, e specie, dal punto di vista dei tempi impiegati per emettere una sentenza in via definitiva: uno o due anni tra Tar e Consiglio di Stato sono un nulla rispetto ai 20 anni delle cause civili o alle lungaggini delle stesse Procure, i cui ritardi spesso fanno andare in prescrizione i reati che si vogliono perseguire.
Riformare la giustizia, cominciando proprio da quella parte che funziona di più, lascia alquanto perplessi, specie se si pensa a tutta la fatica immane che si è fatta in anni e anni di scontri politici, dibattiti e proposte per cambiarla senza approdare ad alcun risultato di rilievo. Se riforma ci deve essere anche per la giustizia amministrativa, essa non va fatta solo ed esclusivamente per eliminare dei passaggi onde poter accelerare l'iter delle grandi opere a favore sì del Paese, ma anche delle stesse aziende che sono interessate; la riforma deve garantire anche la parte più debole della società , i cittadini più poveri e meno abbienti, e per questo più indifesi e restii ad affrontare un processo per far valere i propri diritti.
Questo è un fenomeno più vasto di quanto si possa immaginare, specie dopo che sono sparite tutte le altre forme di ricorso gerarchico che esistevano all'interno delle pubblica amministrazione, ma non solo. Non c'è più la figura terza che possa decidere un qualche contenzioso di natura burocratico-amministrativa, né le varie figure di difensore civico a livello locale hanno portato il benché minimo beneficio in tal senso, nullo essendo il loro potere. Da qui la necessità di dover ricorrere al Tar per ogni minimo contenzioso, anche il più banale, per avere ragione là dove si ritiene che sia stato leso un diritto.
Se si tiene presente il livello di litigiosità in Italia, specie nel Meridione dove tra l'altro spesso si tende a farsi giustizia da sé, come elemento costante del nostro modello comportamentale, e se si pensa che disattendere una norma, una legge, un regolamento, un atto burocratico, una pratica qualsiasi, fa parte delle ovvietà della normale vita quotidiana, tanto così fan tutti e non si rischia niente, ci rendiamo conto della mole di contenzioso che esiste in tutti i settori del nostro Paese.
Poiché, per avere ragione di una qualsiasi cosa, bisogna ricorrere al Tar dove per poter accedere, solo di spese amministrative, occorrono mediamente 2.000 € , e non tutti hanno la possibilità o la voglia di spenderli, senza parlare delle spese legali, tanti abusi e tantissimi errori passano in cavalleria. Per fare degli esempi: se dopo 4 mesi, o 5 e più, l'Inps non ha ancora evaso la tua pratica di pensione in regime estero e quel denaro ti serve per vivere, da dove prendi 2000 € per andare al Tar? Se hai pagato 20.000 € di oneri di urbanizzazione per costruirti la casa davanti alla quale ci sono 20 metri di strada pubblica da rendere accessibile che il Comune non intende sistemare perché deve usare quel denaro per altre cose, nonostante le ripetute sentenze dei vari Tar e Consiglio di Stato che dicono che le entrate degli oneri di urbanizzazione devono essere usate proprio per la viabilità e le opere di urbanizzazione da cui prendono il nome, appunto, per quale motivo devi prendere altri 2.000 € e cercarti un avvocato per accedere al Tar?
E le tante, tantissime delibere comunali che vengono approvate a colpi di maggioranza in barba agli statuti, ai regolamenti, alle norme, come possono essere impugnate dalle minoranze se non facendo la colletta per raccogliere quei famosi 2.000 € di spese amministrative, ove si voglia tentare di ripristinare un minimo di legalità e di rispetto delle regole e delle norme dello Stato, lo Stato di diritto? E i tanti ricorsi per gli incarichi di inizio anno scolastico da parte di aspiranti al lavoro? Senza parlare, poi, di tutti quei casi in cui gli articoli di legge vengono calpestati proprio da coloro i quali sono preposti a farli rispettare dagli altri, che è come dire: chi controlla il controllore?
O addirittura, quando la violazione della norma diventa un principio da rispettare perché sancito da protocolli in sedi istituzionali che nessuno osa mettere in discussione perché il prestigio dell'autorità incute soggezione e, persino, paura. In tutto questo marasma, c'è chi propone di aumentare le spese di accesso per i ricorsi amministrativi in modo da dissuadere tanti cittadini interessati, e ridurre così la confusione e l'intasamento dei tribunali.
Naturalmente tutto questo a vantaggio di pochi, dei più ricchi, poiché chi vive di stenti e di sacrifici già oggi si vede preclusa la via della giustizia nei suoi riguardi. Infatti, tra una cosa e l'altra, fra spese amministrative e legali e un appello al Consiglio di Stato, un ricorso al Tar costa non meno di 15.000 €. Insomma, chi non se lo può permettere è doppiamente discriminato; e invece di trovare soluzioni valide, si creano ulteriori corsie preferenziali per pochi privilegiati. Come quella che si vuole creare con l'istituzione di tre tribunali ad hoc (Milano, Roma, Napoli) per snellire l'iter di ricorsi e cause per le imprese straniere che investono in Italia.
Il prezzo di tutto questo è una società divisa in caste, in cui al più povero viene preclusa anche la giustizia. E se si pensa al fatto che si vogliono introdurre elementi di dissuasione anche con la paura che, soccombendo in una causa o un ricorso, si debbano pagare le spese e i danni alla controparte, possiamo immaginare quanta gente povera e insicura rinuncerà a chiedere giustizia.
Si parla infatti di penalizzare il ricorso temerario, termine che viene usato per dire che è meglio non tentare la via della giustizia perché tanto non ne vale la pena e ti potrebbe costare caro; ma anche qui si finisce col penalizzare la povera gente. Chi è, infatti, un temerario? E' colui che osa sfidare qualcuno o qualcosa più grande di lui, è Davide contro Golia, il cittadino qualunque che sfida i potenti, i colossi, le società quotate in borsa, come nel caso di tanti piccoli proprietari che hanno osato tentare di impedire la colonizzazione in Puglia da parte delle multinazionali del fotovoltaico e dell'eolico senza riuscirci, e ricevendo minacce di indennizzi milionari per i ritardi causati da eventuali ricorsi.
Naturalmente, nulla si dice quando ad essere temerarie sono le istituzioni medesime, come la Regione Puglia che ha approvato una legge nel 2008 con la quale si è dato il via libera alla devastazione del territorio con gli impianti fotovoltaici, legge dichiarata nulla dalla Corte Costituzionale dopo che ormai la distruzione, lo scempio e la speculazione avevano fatto il loro corso. Ecco, è stato in quel frangente che i tentativi dei piccoli proprietari confinanti per salvare dal degrado il loro piccolo appezzamento, venivano considerati temerari, appunto.
La riforma della giustizia è ormai necessaria per il Paese i cittadini, e bisogna evitare che saltino le garanzie per i cittadini, soprattutto per quelli meno abbienti.