Dal nostro inviato Francesco Greco
VENEZIA – Mantide religiosa, amazzone, “femen” in carriera: ecco gli archetipi che reggono la donna “liberata” del XXI secolo. Ora è anche un’aliena che arriva da pianeti sconosciuti per rimodulare il suo ruolo di domani nel mondo e rapportarsi all’uomo che intanto è rimasto frastornato dal suo protagonismo storico e dialettico che Henry Carthier-Bresson (maestro del fotografo canadese che ci ha scelti come soggetto) ha fotografato e storicizzato con i suoi clic.
Tratto dal romanzo omonimo di Michel Fabler, “Under the skin” (Sotto la pelle), di Jonathan Glazer, si regge sul carisma della protagonista, la bellissima Scarlett Jhoansson, attrice-cult (dopo “Match Point” di Woody Allen). Accolto con freddezza, potrebbe essere la sorpresa di questa edizione della Mostra, grazie appunto all’interpretazione di Scarlett, bionda diva 29enne (sul red-carpet, abito Versace, collier Bulgari, in conferenza–stampa più casual) a cui il regista ha ficcato una parrucca scura per renderla, chissà perché, più credibile.
Non è un film di genere, nel senso che lo stesso regista ha difficoltà a catalogarlo: fantascienza? giallo? horror? psicologico? Questa assenza di password nuoce alla percezione dello spettatore. Di sicuro c’è l’innovazione tecnica: Glazer ha sparso telecamere ovunque in una cittadina scozzese dove arriva, da universi misteriosi, la protagonista a caccia di uomini da dominare, da relativizzare, se vogliamo da ridicolizzare dimostrando la loro inadeguatezza esistenziale e sessuale. L’uomo usa e getta che una volta posseduto, spremuto finisce sciolto in un blob disgustoso. Una specie di gatta sul tetto che scotta che vaga per la Scozia con un pulmino puntando uomini in fondo intimamente disprezzati.
Le premesse estetiche c’erano (forse anche nel romanzo): la donna che intende riscrivere il confronto con il maschio dopo le asprezze dei conflitti alla “io sono mia”. Purtroppo tutto resta nelle intenzioni, è sviluppato male, in modo confuso.
“Ho guardato il mondo attraverso lo sguardo di un’aliena – si giustifica Glazer – dando forma a una storia come la sente lei dentro di sé”. L’attrice difende, d’ufficio, il regista e il film: “E’ stata come una terapia: scopro la mia identità piano piano… Ero credo la sola ad aver letto la sceneggiatura”. Cara Scarlett, la prossima volta fatti dire di che storia si tratta al primo ciak, eviterai di vagare per un’ora e mezzo come un’aliena che ne combina d’ogni sorta, in attesa di tornare nel suo mondo fra le stelle…
L’uomo è quello che è, femminicidi e stragi inclusi, ma se la donna gli parlasse relazionandosi diversamente, invece di ribaltare il format che egli usa (la donna oggetto), sarebbe già un buon modo di ripartire.
VENEZIA – Mantide religiosa, amazzone, “femen” in carriera: ecco gli archetipi che reggono la donna “liberata” del XXI secolo. Ora è anche un’aliena che arriva da pianeti sconosciuti per rimodulare il suo ruolo di domani nel mondo e rapportarsi all’uomo che intanto è rimasto frastornato dal suo protagonismo storico e dialettico che Henry Carthier-Bresson (maestro del fotografo canadese che ci ha scelti come soggetto) ha fotografato e storicizzato con i suoi clic.
Tratto dal romanzo omonimo di Michel Fabler, “Under the skin” (Sotto la pelle), di Jonathan Glazer, si regge sul carisma della protagonista, la bellissima Scarlett Jhoansson, attrice-cult (dopo “Match Point” di Woody Allen). Accolto con freddezza, potrebbe essere la sorpresa di questa edizione della Mostra, grazie appunto all’interpretazione di Scarlett, bionda diva 29enne (sul red-carpet, abito Versace, collier Bulgari, in conferenza–stampa più casual) a cui il regista ha ficcato una parrucca scura per renderla, chissà perché, più credibile.
Non è un film di genere, nel senso che lo stesso regista ha difficoltà a catalogarlo: fantascienza? giallo? horror? psicologico? Questa assenza di password nuoce alla percezione dello spettatore. Di sicuro c’è l’innovazione tecnica: Glazer ha sparso telecamere ovunque in una cittadina scozzese dove arriva, da universi misteriosi, la protagonista a caccia di uomini da dominare, da relativizzare, se vogliamo da ridicolizzare dimostrando la loro inadeguatezza esistenziale e sessuale. L’uomo usa e getta che una volta posseduto, spremuto finisce sciolto in un blob disgustoso. Una specie di gatta sul tetto che scotta che vaga per la Scozia con un pulmino puntando uomini in fondo intimamente disprezzati.
Le premesse estetiche c’erano (forse anche nel romanzo): la donna che intende riscrivere il confronto con il maschio dopo le asprezze dei conflitti alla “io sono mia”. Purtroppo tutto resta nelle intenzioni, è sviluppato male, in modo confuso.
“Ho guardato il mondo attraverso lo sguardo di un’aliena – si giustifica Glazer – dando forma a una storia come la sente lei dentro di sé”. L’attrice difende, d’ufficio, il regista e il film: “E’ stata come una terapia: scopro la mia identità piano piano… Ero credo la sola ad aver letto la sceneggiatura”. Cara Scarlett, la prossima volta fatti dire di che storia si tratta al primo ciak, eviterai di vagare per un’ora e mezzo come un’aliena che ne combina d’ogni sorta, in attesa di tornare nel suo mondo fra le stelle…
L’uomo è quello che è, femminicidi e stragi inclusi, ma se la donna gli parlasse relazionandosi diversamente, invece di ribaltare il format che egli usa (la donna oggetto), sarebbe già un buon modo di ripartire.