BARI - “Non sono certo i magistrati ad essere contro l’economia e il lavoro. Essi, infatti, fanno il proprio dovere applicando la legge. Per anni, in tutti e anche nei magistrati, ha prevalso il senso dell’equilibrio tra esigenze di tutela dell’ambiente della salute ed esigenze della produttività, dell’occupazione e del lavoro.
Ad un certo punto, con l’avvento della campagna elettorale del 2005, Vendola prometteva la ‘Puglia migliore’ e metteva in atto una strategia comunicativa fondata sulla ‘cultura della morte’.
Morte delle persone? Morte fisica del nemico o dell’avversario? No. Per fortuna no. La cultura della morte non predica e non pratica l’uccisione dell’avversario. Piuttosto essa vuole la morte della convivenza civile e mira ad uccidere l’idea stessa di ‘felicità collettiva’.
Odiare, denigrare, fare gara utilizzando slogan scioccanti e agghiaccianti con termini come ‘eversivo’,’pericoloso’, ‘diverso’, ‘carne viva’. Per essere chi la dice più sporca, per correre al ribasso, per spingere ad avere paura. Sì, la paura.
Questa è la cultura della morte, un alitare e insufflare sui sentimenti primordiali, sull’emotività della gente provata dalle avversità della vita, affinché i propri obiettivi, minoritari nella collettività, diventino patrimonio della cittadinanza. Collettività che, in un primo momento non razionalizza, ma con il tempo inizia a comprendere di essere stata manipolata. E purtroppo lo comprende quando è troppo tardi!
Sull’Ilva si è scatenato, fin dal 2005, un furore ideologico accompagnato dalla cultura della morte e a tutto questo la magistratura non poteva rispondere con indifferenza.
E’ la politica ‘vendoliana’ che non ha saputo creare in Puglia la ‘felicità collettiva’ che andava ricercata e costruita nell’equilibrio possibile e raggiungibile, passo dopo passo, del miglioramento delle immissioni e delle emissioni inquinanti. Era possibile ricercarla anche attraverso adeguamenti dei processi produttivi e bonifiche ambientali, con la conseguente riduzione del danno all’ambiente e alla salute, oppure con il mantenimento dei processi produttivi, dei livelli occupazionali, del diritto al lavoro, della crescita del PIL regionale e nazionale.
E’ la politica praticata da Vendola che è dannosa alla Puglia e all’Italia, non i magistrati che applicano la legge e ai quali non spetta ricercare e creare ‘la felicità collettiva’.
Ad onta a tutte le offese che Vendola continua ad arrecarmi, mi tocca mettere in guardia la Puglia e i pugliesi: ribelliamoci alla cultura della morte!”.
A riferirlo il capogruppo PdL, Ignazio Zullo.
LA REPLICA DI VENDOLA - “È veramente incredibile che non si abbia voglia di vedere che la diminuzione del numero degli aborti è legata alla crescita di una cultura della contraccezione e di una moderna cultura della sessualità e alla crescita dei servizi. Appare francamente insopportabile il tentativo reiterato di tornare a colpevolizzare le donne”.
Lo ha detto il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola rispondendo al presidente del gruppo Pdl in Consiglio regionale Ignazio Zullo a proposito della relazione ministeriale e del monitoraggio su alcuni aspetti dell’applicazione della legge 194.
“Mi spiace per il presidente del gruppo Pdl in Consiglio regionale Ignazio Zullo – ha aggiunto Vendola - ma io continuerò a difendere accanitamente la 194, una legge di civiltà, una legge che ha chiuso una stagione che evidentemente Zullo e quelli come lui rimpiangono, in cui le donne morivano di aborto clandestino sui tavoli delle mammane oppure potevano, se ricche, praticare l’aborto nelle cliniche private dove molti medici si sono arricchiti, magari medici che in pubblico esibivano patenti di obiezione di coscienza”.
“Mi faccio una domanda e la faccio alla sapienza di Zullo – ha concluso il presidente del gruppo Pdl in consiglio regionale - come mai gli obiettori di coscienza affollano le corsie delle strutture pubbliche e invece scarseggiano nelle strutture private? La verità è che il corpo e la salute delle donne è un gigantesco business e anche gli antichi atteggiamenti di regresso culturale sono in qualche modo propedeutici ad oliare il meccanismo dell’affarismo, di un certo affarismo che si fa sempre sulla pelle e sul corpo delle donne”.
Ad un certo punto, con l’avvento della campagna elettorale del 2005, Vendola prometteva la ‘Puglia migliore’ e metteva in atto una strategia comunicativa fondata sulla ‘cultura della morte’.
Morte delle persone? Morte fisica del nemico o dell’avversario? No. Per fortuna no. La cultura della morte non predica e non pratica l’uccisione dell’avversario. Piuttosto essa vuole la morte della convivenza civile e mira ad uccidere l’idea stessa di ‘felicità collettiva’.
Odiare, denigrare, fare gara utilizzando slogan scioccanti e agghiaccianti con termini come ‘eversivo’,’pericoloso’, ‘diverso’, ‘carne viva’. Per essere chi la dice più sporca, per correre al ribasso, per spingere ad avere paura. Sì, la paura.
Questa è la cultura della morte, un alitare e insufflare sui sentimenti primordiali, sull’emotività della gente provata dalle avversità della vita, affinché i propri obiettivi, minoritari nella collettività, diventino patrimonio della cittadinanza. Collettività che, in un primo momento non razionalizza, ma con il tempo inizia a comprendere di essere stata manipolata. E purtroppo lo comprende quando è troppo tardi!
Sull’Ilva si è scatenato, fin dal 2005, un furore ideologico accompagnato dalla cultura della morte e a tutto questo la magistratura non poteva rispondere con indifferenza.
E’ la politica ‘vendoliana’ che non ha saputo creare in Puglia la ‘felicità collettiva’ che andava ricercata e costruita nell’equilibrio possibile e raggiungibile, passo dopo passo, del miglioramento delle immissioni e delle emissioni inquinanti. Era possibile ricercarla anche attraverso adeguamenti dei processi produttivi e bonifiche ambientali, con la conseguente riduzione del danno all’ambiente e alla salute, oppure con il mantenimento dei processi produttivi, dei livelli occupazionali, del diritto al lavoro, della crescita del PIL regionale e nazionale.
E’ la politica praticata da Vendola che è dannosa alla Puglia e all’Italia, non i magistrati che applicano la legge e ai quali non spetta ricercare e creare ‘la felicità collettiva’.
Ad onta a tutte le offese che Vendola continua ad arrecarmi, mi tocca mettere in guardia la Puglia e i pugliesi: ribelliamoci alla cultura della morte!”.
A riferirlo il capogruppo PdL, Ignazio Zullo.
LA REPLICA DI VENDOLA - “È veramente incredibile che non si abbia voglia di vedere che la diminuzione del numero degli aborti è legata alla crescita di una cultura della contraccezione e di una moderna cultura della sessualità e alla crescita dei servizi. Appare francamente insopportabile il tentativo reiterato di tornare a colpevolizzare le donne”.
Lo ha detto il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola rispondendo al presidente del gruppo Pdl in Consiglio regionale Ignazio Zullo a proposito della relazione ministeriale e del monitoraggio su alcuni aspetti dell’applicazione della legge 194.
“Mi spiace per il presidente del gruppo Pdl in Consiglio regionale Ignazio Zullo – ha aggiunto Vendola - ma io continuerò a difendere accanitamente la 194, una legge di civiltà, una legge che ha chiuso una stagione che evidentemente Zullo e quelli come lui rimpiangono, in cui le donne morivano di aborto clandestino sui tavoli delle mammane oppure potevano, se ricche, praticare l’aborto nelle cliniche private dove molti medici si sono arricchiti, magari medici che in pubblico esibivano patenti di obiezione di coscienza”.
“Mi faccio una domanda e la faccio alla sapienza di Zullo – ha concluso il presidente del gruppo Pdl in consiglio regionale - come mai gli obiettori di coscienza affollano le corsie delle strutture pubbliche e invece scarseggiano nelle strutture private? La verità è che il corpo e la salute delle donne è un gigantesco business e anche gli antichi atteggiamenti di regresso culturale sono in qualche modo propedeutici ad oliare il meccanismo dell’affarismo, di un certo affarismo che si fa sempre sulla pelle e sul corpo delle donne”.
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