BARI - Abbiamo visto come il tramonto del progetto Nabucco (messo in campo al solo fine di ostacolare il South Stream, tentativo peraltro non riuscito) comporterà il via libera definitivo al gasdotto TAP, che connetterà Italia e Grecia attraverso l'Albania, permettendo l'afflusso di gas naturale proveniente dalla zona del Caucaso, del Mar Caspio (Azerbaijian) e, potenzialmente, del Medio Oriente.
In un primo momento, la realizzazione della TAP prometteva (a chi ci ha creduto) delle ricadute positive per l’Italia. La posizione privilegiata al centro del Mediterraneo, infatti, metteva il nostro Paese nella condizione di diventare un hub di prima grandezza nel trasporto del gas dall’Azerbaijan al resto d'Europa.
A partire dal 2019, infatti, dovrebbero approdare in Puglia – in quel di Melendugno – circa 10 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale, una quantità sufficiente per alimentare circa 3 milioni di consumatori domestici. Con l'aggiunta di una terza stazione di compressione il gasdotto sarà in grado di duplicare la quantità trasportata a 20 miliardi di metri cubi/anno. Il gas, così immesso nelle rete nazionale, sarebbe poi venduto ad altri acquirenti europei.
Questo era ieri. Oggi, invece, la posizione dell'Italia sembra essere a serio rischio.
Lo scorso 20 settembre il governo azero ha siglato due “sontuosi” contratti di fornitura con la compagnia tedesca “E.On” e con la francese “Suez Gaz de France” (nessun Olè stavolta,come per Telecom), rispettivamente per l'acquisto di 1,4 miliardi e 92 miliardi di metri cubi di oro blu all'anno. La firma conferma le indiscrezioni sul prolungamento della TAP in Nord Europa, in ossequio ad un disegno sostenuto dalle aziende azioniste del progetto: l'inglese “British Petroleum”, la norvegese “Statoil”, la belga “Fluxys”, la francese “Total”, la svizzera “AXPO”, oltre ovviamente alla tedesca “E.On”. Di italiane, manco a parlarne.
L’Italia sarebbe ridotta dall'essere il Paese di approdo della TAP a un mero corridoio di transito verso altre destinazioni, senza avere negoziato in termini contrattuali il cambio di status. In altre parole, rischiamo di essere declassati per unilaterale decisione dei nostri vicini e con il governo Letta del tutto impreparato di fronte a tale iniziativa.
L'Italia, potenza medio-piccola sempre costretta ad ingegnarsi per ritagliarsi uno spazio in un contesto internazionale ostile, palesa di nuovo l'incapacità di tutelare i propri interessi strategici al cospetto dei partner europei. Per l'ennesima volta, la posizione di Roma al centro del Mediterraneo si rivela essere una straordinaria fonte di opportunità... per gli altri.
Per il Presidente Vendola invece, che vuole “narrare” la Puglia e l’Italia, al contrario, sarebbe l'ennesima occasione persa. A riferirlo in una nota il presidente de “La Puglia prima di tutto”, Francesco De Biasi, sulla vicenda del Gasdotto Tap.
In un primo momento, la realizzazione della TAP prometteva (a chi ci ha creduto) delle ricadute positive per l’Italia. La posizione privilegiata al centro del Mediterraneo, infatti, metteva il nostro Paese nella condizione di diventare un hub di prima grandezza nel trasporto del gas dall’Azerbaijan al resto d'Europa.
A partire dal 2019, infatti, dovrebbero approdare in Puglia – in quel di Melendugno – circa 10 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale, una quantità sufficiente per alimentare circa 3 milioni di consumatori domestici. Con l'aggiunta di una terza stazione di compressione il gasdotto sarà in grado di duplicare la quantità trasportata a 20 miliardi di metri cubi/anno. Il gas, così immesso nelle rete nazionale, sarebbe poi venduto ad altri acquirenti europei.
Questo era ieri. Oggi, invece, la posizione dell'Italia sembra essere a serio rischio.
Lo scorso 20 settembre il governo azero ha siglato due “sontuosi” contratti di fornitura con la compagnia tedesca “E.On” e con la francese “Suez Gaz de France” (nessun Olè stavolta,come per Telecom), rispettivamente per l'acquisto di 1,4 miliardi e 92 miliardi di metri cubi di oro blu all'anno. La firma conferma le indiscrezioni sul prolungamento della TAP in Nord Europa, in ossequio ad un disegno sostenuto dalle aziende azioniste del progetto: l'inglese “British Petroleum”, la norvegese “Statoil”, la belga “Fluxys”, la francese “Total”, la svizzera “AXPO”, oltre ovviamente alla tedesca “E.On”. Di italiane, manco a parlarne.
L’Italia sarebbe ridotta dall'essere il Paese di approdo della TAP a un mero corridoio di transito verso altre destinazioni, senza avere negoziato in termini contrattuali il cambio di status. In altre parole, rischiamo di essere declassati per unilaterale decisione dei nostri vicini e con il governo Letta del tutto impreparato di fronte a tale iniziativa.
L'Italia, potenza medio-piccola sempre costretta ad ingegnarsi per ritagliarsi uno spazio in un contesto internazionale ostile, palesa di nuovo l'incapacità di tutelare i propri interessi strategici al cospetto dei partner europei. Per l'ennesima volta, la posizione di Roma al centro del Mediterraneo si rivela essere una straordinaria fonte di opportunità... per gli altri.
Per il Presidente Vendola invece, che vuole “narrare” la Puglia e l’Italia, al contrario, sarebbe l'ennesima occasione persa. A riferirlo in una nota il presidente de “La Puglia prima di tutto”, Francesco De Biasi, sulla vicenda del Gasdotto Tap.
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