di Vittorio Polito - La città di Mola di Bari, insieme con la Collegiata dedicata a San Nicola con annessa Chiesa Matrice, si inserisce in quella complessa rete di rapporti culturali, artistici e devozionali che nel cinquecento si intrecciò nel basso Adriatico.
Le prime notizie relative alla Chiesa Matrice di Mola di Bari, secondo quanto riportato nel volume di Nicola Milano “Le Chiese della diocesi di Bari” (Levante Editori), risalgono intorno al secolo XVI, come risulta da documenti esistenti nell’Archivio Capitolare. Nel 1542, l’arcivescovo di Bari, Girolamo Sauli, deplorando il pessimo stato di conservazione della chiesa, dispose di restaurarla con urgenza.
Un decennio fa (2002) Paola Lisimberti ed Antonio Todisco, in seguito al grande successo ottenuto da una precedente pubblicazione sulla stessa Chiesa, hanno riproposto una nuova edizione (Un gioiello del rinascimento adriatico, Schena Editore), arricchendo ed evidenziando i pregi della originalità e unicità della Chiesa matrice di Mola, dimostrando che il legame con l’esperienza architettonica ed artistica dalmata è fondamentale per “leggere” l’edificio e comprendere la valenza storica del massimo monumento molese.
Alcune date importanti: nel 1564 la comunità molese si prodigò per la ricostruzione che fu completata in concomitanza del Giubileo del 1575 e realizzata da tecnici croati. Il monumento si inserisce in quell’organica rete di rapporti non solo culturali ed artistici, grazie anche al movimento di maestranze slave e albanesi. Nel 1614 si decide l’intervento che sconvolge l’assetto dell’edificio che vede demolire l’intera parete posteriore della chiesa, con lo scopo di costruire un più ampio coro (nella Collegiata vi erano oltre 80 sacerdoti). Nel 1618 mons. Pietro Pitarca, vescovo di Fermo, consacra la Chiesa ed il nuovo altare maggiore, mentre nel 1625 furono eseguiti nuovi lavori di restauro. Nel 1664 l’Università (il Comune del tempo), contribuisce alla riparazione delle coperture e probabilmente nello stesso periodo vengono costruite la parte bassa del campanile e la cappella dell’Immacolata. Nel 1715 viene posizionato un grande organo. Nel 1732 nuovi restauri alle coperture della chiesa e sopraelevazione del campanile. Nel 1734 vengono ristrutturate, con ingenti spese, le coperture delle navate laterali. Molti lavori sono seguiti nel tempo per terminare nel 2001 con l’ultima fase dei restauri che, dopo la pulitura, ha ridonato leggibilità al fastoso repertorio decorativo rinascimentale del monumento, che gli autori definiscono ‘unicum’ in ambito pugliese.
L’importante manufatto molese, dedicato al nostro San Nicola, che si eleva nel cuore del rione “Terra”, è rivolta con la facciata principale verso il mare, quasi a ridosso del porto, ove è presente una notevole flotta peschereccia. L’antico tempio, un gioiello del rinascimento adriatico, annovera numerosi reperti sacri: dai dipinti, alle sculture, agli altari, all’acquasantiera, al fonte battesimale, che insieme alla notevole architettura presente, “leggibile” dai portali delle facciate, al rosone, ai capitelli, alla cancellata, al pavimento, danno l’esatta entità della costruzione.
La Chiesa Matrice di Mola, scrive don Michele Sforza nella prefazione, è come un archivio di pietra ed a cielo aperto che custodisce tanti elementi ancora da interpretare ed illustrare.
Le prime notizie relative alla Chiesa Matrice di Mola di Bari, secondo quanto riportato nel volume di Nicola Milano “Le Chiese della diocesi di Bari” (Levante Editori), risalgono intorno al secolo XVI, come risulta da documenti esistenti nell’Archivio Capitolare. Nel 1542, l’arcivescovo di Bari, Girolamo Sauli, deplorando il pessimo stato di conservazione della chiesa, dispose di restaurarla con urgenza.
Un decennio fa (2002) Paola Lisimberti ed Antonio Todisco, in seguito al grande successo ottenuto da una precedente pubblicazione sulla stessa Chiesa, hanno riproposto una nuova edizione (Un gioiello del rinascimento adriatico, Schena Editore), arricchendo ed evidenziando i pregi della originalità e unicità della Chiesa matrice di Mola, dimostrando che il legame con l’esperienza architettonica ed artistica dalmata è fondamentale per “leggere” l’edificio e comprendere la valenza storica del massimo monumento molese.
Alcune date importanti: nel 1564 la comunità molese si prodigò per la ricostruzione che fu completata in concomitanza del Giubileo del 1575 e realizzata da tecnici croati. Il monumento si inserisce in quell’organica rete di rapporti non solo culturali ed artistici, grazie anche al movimento di maestranze slave e albanesi. Nel 1614 si decide l’intervento che sconvolge l’assetto dell’edificio che vede demolire l’intera parete posteriore della chiesa, con lo scopo di costruire un più ampio coro (nella Collegiata vi erano oltre 80 sacerdoti). Nel 1618 mons. Pietro Pitarca, vescovo di Fermo, consacra la Chiesa ed il nuovo altare maggiore, mentre nel 1625 furono eseguiti nuovi lavori di restauro. Nel 1664 l’Università (il Comune del tempo), contribuisce alla riparazione delle coperture e probabilmente nello stesso periodo vengono costruite la parte bassa del campanile e la cappella dell’Immacolata. Nel 1715 viene posizionato un grande organo. Nel 1732 nuovi restauri alle coperture della chiesa e sopraelevazione del campanile. Nel 1734 vengono ristrutturate, con ingenti spese, le coperture delle navate laterali. Molti lavori sono seguiti nel tempo per terminare nel 2001 con l’ultima fase dei restauri che, dopo la pulitura, ha ridonato leggibilità al fastoso repertorio decorativo rinascimentale del monumento, che gli autori definiscono ‘unicum’ in ambito pugliese.
L’importante manufatto molese, dedicato al nostro San Nicola, che si eleva nel cuore del rione “Terra”, è rivolta con la facciata principale verso il mare, quasi a ridosso del porto, ove è presente una notevole flotta peschereccia. L’antico tempio, un gioiello del rinascimento adriatico, annovera numerosi reperti sacri: dai dipinti, alle sculture, agli altari, all’acquasantiera, al fonte battesimale, che insieme alla notevole architettura presente, “leggibile” dai portali delle facciate, al rosone, ai capitelli, alla cancellata, al pavimento, danno l’esatta entità della costruzione.
La Chiesa Matrice di Mola, scrive don Michele Sforza nella prefazione, è come un archivio di pietra ed a cielo aperto che custodisce tanti elementi ancora da interpretare ed illustrare.
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Cultura e Spettacoli