BARI - “Ammesso che si possa dire – ma ho qualche dubbio - che il Piano paesaggistico adottato non possa contenere misure di salvaguardia sugli ‘ulteriori contesti’ (cioè quelli nella totale disponibilità della pianificazione regionale), i problemi che in tanti abbiamo posto in questi giorni si ribalterebbero – integralmente – non appena la Giunta regionale dovesse approvare definitivamente il piano. Da quel momento ricominceremmo a discutere ancora una volta, e con le stesse preoccupazioni, sul destino degli interessi legittimi sanciti dai PUG e dai PRG, qualora si ritenessero - come io li ritengo - meritevoli di tutela e attenzione”.
Lo dichiara il Consigliere regionale Fabiano Amati, con riferimento alle opinioni che in questi giorni si susseguono sul Piano paesaggistico e sulla soppressione della norma di salvaguardia sugli ‘ulteriori contesti’, contenuta nelle norme tecniche d’attuazione del Piano paesaggistico, come modalità di soluzione dei problemi.
“Il discorso è molto tecnico, un po’ lungo, me ne rendo conto e mi scuso, ma è utile affrontarlo.
Mettiamo che venga soppressa la norma di salvaguardia, con una delibera di ri-adozione. Da quel momento – verosimilmente - tutti gli interessati inizierebbero una corsa contro il tempo (prima che la Giunta regionale approvi definitivamente il Piano paesaggistico), per ottenere l’autorizzazione a svolgere attività di trasformazione del territorio, sulla base delle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e del PUTT.
Non oso immaginare il trambusto amministrativo, ma andrebbe pressappoco così.
Tuttavia, approvato definitivamente il Piano paesaggistico e in assenza di una norma transitoria capace di regolare il destino degli interessi legittimi in attesa della conclusione del procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni della pianificazione paesaggistica, i problemi di coordinamento tra il Piano paesaggistico e gli stessi strumenti urbanistici comunali dovrebbero essere governati dalle disposizioni del Codice dei beni culturali. In particolare dall’art. 145 comma terzo del Codice, che riguarda le questioni di efficacia dell’intero Piano paesaggistico, con riferimento a tutti i beni tutelati, compresi gli ‘ulteriori contesti’. Cioè il cuore della nostra discussione.
Questa norma (art. 145 comma terzo) prevede l’immediata prevalenza delle disposizioni del Piano paesaggistico sugli strumenti urbanistici comunali e la facoltà di stabilire misure di salvaguardia in attesa dell’adeguamento degli stessi strumenti comunali al Piano paesaggistico.
Il problema tecnico visto da una prospettiva politica, dunque, riguarda esattamente il destino degli interessi legittimi sanciti dai PUG e dai PRG adeguati alla legge regionale 56 del 1980, nelle more che si concluda - quantomeno - il procedimento di adeguamento degli strumenti comunali al Piano paesaggistico, anche al fine di non condizionare con questo problema, e nel giudizio dei pugliesi, l’importanza e l’utilità di questo atto di pianificazione regionale, di sicura modernità amministrativa.
È per questo motivo che pur rilevando l’interesse tecnico-scientifico di tutte le questioni poste in materia di misure di salvaguardia, mi sento di poter ribadire che l’impegno amministrativo maggiore dovrebbe essere indirizzato sulla predisposizione di una puntuale norma transitoria (che regoli il periodo di tempo tra l’approvazione definitiva del piano paesaggistico e la conclusione – quantomeno - del procedimento di adeguamento), in grado di far ricadere sotto la regolamentazione del ‘vecchio’ PUTT – per esempio e senza produrre ragionevoli critiche - l'esercizio dei legittimi diritti edificatori già consentiti dagli strumenti urbanistici comunali vigenti, che mi sento di sostenere e avallare.
Se si ragionasse e si fosse d’accordo solo sull’impossibilità di prevedere norme di salvaguardia con la delibera di adozione, si determinerebbe una 'istigazione' a presentare una grande quantità di istanze di trasformazione del territorio, in conformità con gli strumenti urbanistici, prima che la delibera di approvazione definitiva del Piano paesaggistico non arrivi a condizionare, col nuovo regime, destinazioni e indici consentiti dai piani comunali. E ciò non mi sembra il migliore scenario, anche considerando il sovradimensionamento del fabbisogno contenuto in quasi tutti gli strumenti urbanistici comunali vigenti, che forse non è il caso di vederselo trasformato in cemento con autorizzazioni richieste per paura o soprassalto, fuori dalle più opportune dilatazioni temporali per corrispondere alle necessità del mercato e per giunta nel giro di pochi mesi”.
Lo dichiara il Consigliere regionale Fabiano Amati, con riferimento alle opinioni che in questi giorni si susseguono sul Piano paesaggistico e sulla soppressione della norma di salvaguardia sugli ‘ulteriori contesti’, contenuta nelle norme tecniche d’attuazione del Piano paesaggistico, come modalità di soluzione dei problemi.
“Il discorso è molto tecnico, un po’ lungo, me ne rendo conto e mi scuso, ma è utile affrontarlo.
Mettiamo che venga soppressa la norma di salvaguardia, con una delibera di ri-adozione. Da quel momento – verosimilmente - tutti gli interessati inizierebbero una corsa contro il tempo (prima che la Giunta regionale approvi definitivamente il Piano paesaggistico), per ottenere l’autorizzazione a svolgere attività di trasformazione del territorio, sulla base delle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e del PUTT.
Non oso immaginare il trambusto amministrativo, ma andrebbe pressappoco così.
Tuttavia, approvato definitivamente il Piano paesaggistico e in assenza di una norma transitoria capace di regolare il destino degli interessi legittimi in attesa della conclusione del procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni della pianificazione paesaggistica, i problemi di coordinamento tra il Piano paesaggistico e gli stessi strumenti urbanistici comunali dovrebbero essere governati dalle disposizioni del Codice dei beni culturali. In particolare dall’art. 145 comma terzo del Codice, che riguarda le questioni di efficacia dell’intero Piano paesaggistico, con riferimento a tutti i beni tutelati, compresi gli ‘ulteriori contesti’. Cioè il cuore della nostra discussione.
Questa norma (art. 145 comma terzo) prevede l’immediata prevalenza delle disposizioni del Piano paesaggistico sugli strumenti urbanistici comunali e la facoltà di stabilire misure di salvaguardia in attesa dell’adeguamento degli stessi strumenti comunali al Piano paesaggistico.
Il problema tecnico visto da una prospettiva politica, dunque, riguarda esattamente il destino degli interessi legittimi sanciti dai PUG e dai PRG adeguati alla legge regionale 56 del 1980, nelle more che si concluda - quantomeno - il procedimento di adeguamento degli strumenti comunali al Piano paesaggistico, anche al fine di non condizionare con questo problema, e nel giudizio dei pugliesi, l’importanza e l’utilità di questo atto di pianificazione regionale, di sicura modernità amministrativa.
È per questo motivo che pur rilevando l’interesse tecnico-scientifico di tutte le questioni poste in materia di misure di salvaguardia, mi sento di poter ribadire che l’impegno amministrativo maggiore dovrebbe essere indirizzato sulla predisposizione di una puntuale norma transitoria (che regoli il periodo di tempo tra l’approvazione definitiva del piano paesaggistico e la conclusione – quantomeno - del procedimento di adeguamento), in grado di far ricadere sotto la regolamentazione del ‘vecchio’ PUTT – per esempio e senza produrre ragionevoli critiche - l'esercizio dei legittimi diritti edificatori già consentiti dagli strumenti urbanistici comunali vigenti, che mi sento di sostenere e avallare.
Se si ragionasse e si fosse d’accordo solo sull’impossibilità di prevedere norme di salvaguardia con la delibera di adozione, si determinerebbe una 'istigazione' a presentare una grande quantità di istanze di trasformazione del territorio, in conformità con gli strumenti urbanistici, prima che la delibera di approvazione definitiva del Piano paesaggistico non arrivi a condizionare, col nuovo regime, destinazioni e indici consentiti dai piani comunali. E ciò non mi sembra il migliore scenario, anche considerando il sovradimensionamento del fabbisogno contenuto in quasi tutti gli strumenti urbanistici comunali vigenti, che forse non è il caso di vederselo trasformato in cemento con autorizzazioni richieste per paura o soprassalto, fuori dalle più opportune dilatazioni temporali per corrispondere alle necessità del mercato e per giunta nel giro di pochi mesi”.
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