"Stefano Cucchi morì di malnutrizione"
ROMA - Stefano Cucchi è morto di malnutrizione: lo scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di condanna dei medici.
Il giovane romano, arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale, è stato ucciso da una 'sindrome da inanizione'. La III Corte d'assise di Roma ha fatto proprie le conclusioni dei periti.
Nelle motivazioni della sentenza di condanna dei medici che ebbero in cura Stefano Cucchi i giudici affermano che non possono essere condivise le tesi delle difese, secondo le quali il giovane sarebbe stato condotto alla morte da un'improvvisa crisi cardiaca. Ancor meno posso essere condivise le conclusioni dei consulenti delle parti civili, secondo cui il decesso si sarebbe verificato per le lesioni vertebrali. "Anche questa tesi - si legge nella sentenza della III Corte d'Assise di Roma - presta il fianco all'insuperabile rilievo che non vi è prova scientifico-fattuale che le lesioni vertebrali abbiano interessato terminazioni nervose".
I fatti descritti nella formulazione del capo d'imputazione “non consentono di ravvisare il reato di abbandono d'incapace, del quale non ricorre alcuno dei presupposti oggettivi né soggettivi, ma quello di omicidio colposo" scrive la III Corte d'assise di Roma. "E' sufficiente fare richiamo, per escludere la ricorrenza della fattispecie di abbandono d'incapace - proseguono i giudici - alla circostanza che praticamente tutti i testi esaminati hanno negato che Cucchi, quantunque gravemente sofferente, fosse portatore di una ridotta capacità psichica”.
Per i giudici deve escludersi che le condotte descritte per i medici condannati “siano volontarie; le stesse si prospettano piuttosto come colpose, e cioè contrassegnate da imperizia, imprudenza, negligenza sia per la omissione della corretta diagnosi, non avendo in sanitari individuato le patologie da cui era affetto il paziente, in particolare tenuto conto del suo grado di magrezza estrema, sia per avere trascurato di adottare i più elementari presidi terapeutici che non comportavano difficoltà di attuazione e che sarebbero stati idonei ad evitare il decesso, sia per avere sottovalutato il negativo evolversi delle condizioni del paziente che avrebbero richiesto il suo urgente trasferimento presso un reparto più idoneo”. (ANSA)
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