di Francesco Greco. ROMA – E’ il fratello che tutti vorremmo avere. Nell’agorà politica in cui tutti urlano, lui parla sommessamente, come fa chi vuole convincere con la forza degli argomenti. Educato, sensibile, alla mano. Gianni Cuperlo va alle feste del partito, mangia il panino con i militanti, risponde alle domande del mitico popolo del Pd.
Nato politicamente nel partito (viene dalla Fgci), è una delle migliori energie della sinistra italiana. Oggi si ritrova a vestire i panni del’anti-Renzi in vista delle primarie dell’8 dicembre.
Sullo sfondo di una giornata tra le più difficili della storia del Paese, da “notte della Repubblica”, mentre il premier Letta chiede la fiducia al Senato per far proseguire il cammino del governo e nel Pdl si annuncia una scissione che potrebbe tradursi nella fine del ventennio berlusconiano e dello stesso berlusconismo, in questa intervista esclusiva per il GDP, ecco, a tutto campo, la “visione” di Cuperlo sull’oggi e soprattutto il domani.
Domanda: Segretario e candidato premier: devono coincidere o no?
Risposta: “L’ho detto più volte: sono convinto che un partito non sia un comitato elettorale permanente al servizio del leader di turno e che non possa identificarsi con le istituzioni. Un partito è una comunità di ideali, destini, sentimenti. Dobbiamo tornare a condividere scelte e visioni sull’Italia e l’Europa che vogliamo, perché da solo il governo non basta. Per fare questo c’è bisogno di qualcuno che dedichi al partito tutte le sue energie e che non si candidi a guidarlo pensando in realtà a un altro obiettivo”.
D. Che legge elettorale immagina per il bene del Paese?
R. “Io, come altri nel PD, continuo a pensare che il doppio turno di collegio sia una buona soluzione per l’Italia. Ma al punto in cui sono le cose, la questione non è più scegliere il sistema elettorale migliore. La priorità oggi è un’altra: mai più al voto con questa legge. Apportare dunque in tempi rapidissimi le modifiche necessarie a garantire la possibilità da parte dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti; governabilità (quindi maggioranze certe e omogenee nei due rami del parlamento), parità di genere; alternanza”.
D. D’Alema si dice emozionato dalle tesi di Civati e Barca: e lei?
R. “Hanno entrambi, da posizioni e in modi diversi, arricchito il dibattito di questi mesi sulla natura, ruolo e futuro del PD. È importante, soprattutto in questa fase, che il confronto sui contenuti sia sempre al centro della vita del partito”.
D. Pd con infinite correnti: segno di debolezza o di grande vitalità?
R. “Se per correnti intendiamo visioni e sensibilità politiche e culturali differenti, parliamo di un patrimonio straordinario e della possibilità di ricollocare nel XXI secolo le culture progressiste di questo Paese. Solo il PD ha questa ricchezza e, se vogliamo, è nato anche per questo. Se invece, come purtroppo è avvenuto negli ultimi anni, le correnti servono solo a organizzare potere e rendite all’interno del partito, senza più alcuna connessione con competenze, proposte e idee, allora non sono utili, né al PD, né all’Italia”.
D. Grillo ora ama il Porcellum, dice che lo abolirà dopo la vittoria: qualunquismo delirante?
R. “Credo che l’attuale legge elettorale faccia comodo a chi ha un’idea padronale e sostanzialmente proprietaria della politica e della democrazia. Tutti sono liberi di cliccare su una tastiera, ma poi le decisioni le prende uno solo. E’ un’idea molto diversa da quella che abbiamo noi, evidentemente”.
D. Il Pd perde iscritti: il suo popolo non digerisce le larghe intese?
R. “Veniamo da mesi davvero difficili. Lo choc elettorale, l’impossibilità di dar vita al governo che volevamo, i giorni drammatici dell’elezione del Presidente della Repubblica. Ce n’è a sufficienza per giustificare rabbia e sfiducia nella nostra gente. Ma quel che dobbiamo temere di più sono proprio gli abbandoni silenziosi. È per questo che serve una discussione sincera e libera tra noi che rimetta in campo con forza il nostro progetto per l’Italia e che dica con chiarezza chi siamo e per chi siamo. Per quale nuova stagione dell’Italia e dello sviluppo intendiamo batterci. Se faremo questa discussione, saranno anche più chiare le ragioni di un sostegno leale a Letta nel suo sforzo di impedire al Paese di precipitare in un momento segnato da una triplice emergenza: sociale, economica e istituzionale”.
D. Come tenere insieme il "patto sociale" nella bufera della crisi più grave del secolo?
R. “Un dato per tutti: il collasso del PIL registrato negli anni di questa crisi non ha precedenti nella storia dell’Italia unita. Ma questi numeri drammatici non dicono tutto. Questa è anche la crisi di un modello economico e sociale: quello delle destre. Sappiamo che tutte le crisi finiscono e finirà anche questa che è stata la più devastante. Ma dobbiamo sapere anche che non ne usciremo così come vi siamo entrati. Sta a noi, alla sinistra, immaginare un nuovo patto sociale, così come avvenne dopo la crisi del ’29 negli Stati Uniti del New Deal. Personalmente, credo che il patto democratico vada rifondato sulla centralità della persona e della sua responsabilità, sulla promozione dei diritti umani, universali e indivisibili e, per questa via, su una solida cittadinanza facendo di questo, assieme a regole e legalità, la misura della civiltà. Va rovesciata una logica che negli anni ha portato a svalutare il lavoro, l’impresa, il merito (e quindi la dignità delle persone) e ha premiato la rendita, il privilegio, la speculazione”.
D. Alleanze: pensa che si può recuperare la foto di Vasto?
R. “Due anni sono un tempo lunghissimo in politica. Da quando fu scattata quella foto un vero e proprio terremoto ha squassato il sistema politico italiano e ancora in queste ore vediamo che nel campo della destra tutto è in movimento. Il PD deve lavorare da subito a un nuovo centrosinistra allargato e ripensato con dentro le forze democratiche e progressiste che si oppongono alla deriva plebiscitaria e populista di questi anni”.
D. Da Moro a Brunetta, dalla Jotti alla Pitonessa: il degrado della politica è ontologico: si può tornare alla sua primitiva dignità?
“Si deve! Ma il problema non sono i nomi. È piuttosto l’idea della politica che non riesce più a dare risposte ai problemi, a indicare una prospettiva, una direzione di marcia; l’idea che l’interesse comune non sia più una priorità, è tutto questo che dobbiamo contrastare ripartendo da un’idea di partito e di Paese alternativa a quella prevalente negli ultimi due decenni. E per questo non basta un buon programma di governo, c’è bisogno di tornare a dire che l’etica per un partito politico è tutto. E mentre lo diciamo dobbiamo ‘testimoniare’ che ci crediamo davvero, con lo stile che scegliamo, con la sobrietà dei comportamenti, con la coerenza con cui conduciamo la battaglia per le nostre idee, con l’ascolto e la partecipazione della nostra gente. Solo così possiamo sperare di recuperare credibilità, fiducia e contribuire a ricostruire un’etica pubblica condivisa, un civismo di cui il nostro tempo ha fatto strame (certo non per responsabilità esclusiva della politica)”.
Nato politicamente nel partito (viene dalla Fgci), è una delle migliori energie della sinistra italiana. Oggi si ritrova a vestire i panni del’anti-Renzi in vista delle primarie dell’8 dicembre.
Sullo sfondo di una giornata tra le più difficili della storia del Paese, da “notte della Repubblica”, mentre il premier Letta chiede la fiducia al Senato per far proseguire il cammino del governo e nel Pdl si annuncia una scissione che potrebbe tradursi nella fine del ventennio berlusconiano e dello stesso berlusconismo, in questa intervista esclusiva per il GDP, ecco, a tutto campo, la “visione” di Cuperlo sull’oggi e soprattutto il domani.
Domanda: Segretario e candidato premier: devono coincidere o no?
Risposta: “L’ho detto più volte: sono convinto che un partito non sia un comitato elettorale permanente al servizio del leader di turno e che non possa identificarsi con le istituzioni. Un partito è una comunità di ideali, destini, sentimenti. Dobbiamo tornare a condividere scelte e visioni sull’Italia e l’Europa che vogliamo, perché da solo il governo non basta. Per fare questo c’è bisogno di qualcuno che dedichi al partito tutte le sue energie e che non si candidi a guidarlo pensando in realtà a un altro obiettivo”.
D. Che legge elettorale immagina per il bene del Paese?
R. “Io, come altri nel PD, continuo a pensare che il doppio turno di collegio sia una buona soluzione per l’Italia. Ma al punto in cui sono le cose, la questione non è più scegliere il sistema elettorale migliore. La priorità oggi è un’altra: mai più al voto con questa legge. Apportare dunque in tempi rapidissimi le modifiche necessarie a garantire la possibilità da parte dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti; governabilità (quindi maggioranze certe e omogenee nei due rami del parlamento), parità di genere; alternanza”.
D. D’Alema si dice emozionato dalle tesi di Civati e Barca: e lei?
R. “Hanno entrambi, da posizioni e in modi diversi, arricchito il dibattito di questi mesi sulla natura, ruolo e futuro del PD. È importante, soprattutto in questa fase, che il confronto sui contenuti sia sempre al centro della vita del partito”.
D. Pd con infinite correnti: segno di debolezza o di grande vitalità?
R. “Se per correnti intendiamo visioni e sensibilità politiche e culturali differenti, parliamo di un patrimonio straordinario e della possibilità di ricollocare nel XXI secolo le culture progressiste di questo Paese. Solo il PD ha questa ricchezza e, se vogliamo, è nato anche per questo. Se invece, come purtroppo è avvenuto negli ultimi anni, le correnti servono solo a organizzare potere e rendite all’interno del partito, senza più alcuna connessione con competenze, proposte e idee, allora non sono utili, né al PD, né all’Italia”.
D. Grillo ora ama il Porcellum, dice che lo abolirà dopo la vittoria: qualunquismo delirante?
R. “Credo che l’attuale legge elettorale faccia comodo a chi ha un’idea padronale e sostanzialmente proprietaria della politica e della democrazia. Tutti sono liberi di cliccare su una tastiera, ma poi le decisioni le prende uno solo. E’ un’idea molto diversa da quella che abbiamo noi, evidentemente”.
D. Il Pd perde iscritti: il suo popolo non digerisce le larghe intese?
R. “Veniamo da mesi davvero difficili. Lo choc elettorale, l’impossibilità di dar vita al governo che volevamo, i giorni drammatici dell’elezione del Presidente della Repubblica. Ce n’è a sufficienza per giustificare rabbia e sfiducia nella nostra gente. Ma quel che dobbiamo temere di più sono proprio gli abbandoni silenziosi. È per questo che serve una discussione sincera e libera tra noi che rimetta in campo con forza il nostro progetto per l’Italia e che dica con chiarezza chi siamo e per chi siamo. Per quale nuova stagione dell’Italia e dello sviluppo intendiamo batterci. Se faremo questa discussione, saranno anche più chiare le ragioni di un sostegno leale a Letta nel suo sforzo di impedire al Paese di precipitare in un momento segnato da una triplice emergenza: sociale, economica e istituzionale”.
D. Come tenere insieme il "patto sociale" nella bufera della crisi più grave del secolo?
R. “Un dato per tutti: il collasso del PIL registrato negli anni di questa crisi non ha precedenti nella storia dell’Italia unita. Ma questi numeri drammatici non dicono tutto. Questa è anche la crisi di un modello economico e sociale: quello delle destre. Sappiamo che tutte le crisi finiscono e finirà anche questa che è stata la più devastante. Ma dobbiamo sapere anche che non ne usciremo così come vi siamo entrati. Sta a noi, alla sinistra, immaginare un nuovo patto sociale, così come avvenne dopo la crisi del ’29 negli Stati Uniti del New Deal. Personalmente, credo che il patto democratico vada rifondato sulla centralità della persona e della sua responsabilità, sulla promozione dei diritti umani, universali e indivisibili e, per questa via, su una solida cittadinanza facendo di questo, assieme a regole e legalità, la misura della civiltà. Va rovesciata una logica che negli anni ha portato a svalutare il lavoro, l’impresa, il merito (e quindi la dignità delle persone) e ha premiato la rendita, il privilegio, la speculazione”.
D. Alleanze: pensa che si può recuperare la foto di Vasto?
R. “Due anni sono un tempo lunghissimo in politica. Da quando fu scattata quella foto un vero e proprio terremoto ha squassato il sistema politico italiano e ancora in queste ore vediamo che nel campo della destra tutto è in movimento. Il PD deve lavorare da subito a un nuovo centrosinistra allargato e ripensato con dentro le forze democratiche e progressiste che si oppongono alla deriva plebiscitaria e populista di questi anni”.
D. Da Moro a Brunetta, dalla Jotti alla Pitonessa: il degrado della politica è ontologico: si può tornare alla sua primitiva dignità?
“Si deve! Ma il problema non sono i nomi. È piuttosto l’idea della politica che non riesce più a dare risposte ai problemi, a indicare una prospettiva, una direzione di marcia; l’idea che l’interesse comune non sia più una priorità, è tutto questo che dobbiamo contrastare ripartendo da un’idea di partito e di Paese alternativa a quella prevalente negli ultimi due decenni. E per questo non basta un buon programma di governo, c’è bisogno di tornare a dire che l’etica per un partito politico è tutto. E mentre lo diciamo dobbiamo ‘testimoniare’ che ci crediamo davvero, con lo stile che scegliamo, con la sobrietà dei comportamenti, con la coerenza con cui conduciamo la battaglia per le nostre idee, con l’ascolto e la partecipazione della nostra gente. Solo così possiamo sperare di recuperare credibilità, fiducia e contribuire a ricostruire un’etica pubblica condivisa, un civismo di cui il nostro tempo ha fatto strame (certo non per responsabilità esclusiva della politica)”.