MILANO - ''Il ruolo pubblicamente assunto dall'imputato (...) e soprattutto come uomo politico, aggrava la valutazione della sua condotta'': e' un passaggio delle motivazioni della sentenza con cui per Silvio Berlusconi è stata disposta l'interdizione dai pubblici uffici per due anni nell'ambito del processo sul caso Mediaset. I giudici della Terza Corte d'Appello di Milano, nelle dieci pagine di motivazioni, hanno sostenuto, in linea con le sentenze di primo e secondo grado, che la sentenza con cui la Cassazione ha condannato il Cavaliere a 4 anni di carcere per frode fiscale ''ha definitivamente accertato che Berlusconi è stato l'ideatore e l'organizzatore negli anni Ottanta della galassia di società estere, alcune delle quali occulte, collettrici di fondi neri e - per quanto qui interessa - apparenti intermediarie nell'acquisto dei diritti televisivi''.
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Gli accertamenti nella sentenza definitiva sul caso Mediaset ''dimostrano la particolare intensità del dolo'' di Silvio Berlusconi ''nella commissione del reato contestato e perseveranza in esso''. Non c'è ''prova alcuna'' che Silvio Berlusconi abbia estinto il suo ''debito tributario'' per il caso Mediaset ma si è limitato a formulare ''una mera 'proposta di adesione' alla conciliazione extra giudiziale''. Lo si apprende nelle motivazioni della sentenza con cui l'ex premier è stato condannato a 2 anni di interdizione dai pubblici uffici.
Secondo i giudici, la legge Severino ''ha un ambito di applicazione distinto, ben diverso e certamente non sovrapponibile'' con quello del processo penale con al centro il caso Mediaset.
Berlusconi ''è stato ritenuto ideatore, organizzatore del sistema (...) creato anche per poter più facilmente occultare l'evasione''. Lo ribadiscono i giudici della Corte d'Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui il Cavaliere è stato condannato a 2 anni di interdizione dai pubblici uffici per il caso Mediaset.
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