Bari, Maugeri su fenomeni di dissesto idrogeologico e necessarie politiche di prevenzione
BARI - Riceviamo e pubblichiamo un intervento dell’assessore all’Ambiente Maria Maugeri sui fenomeni di dissesto idrogeologico e le necessarie, improcrastinabili politiche di prevenzione dei rischi:
Lo stanco rituale delle polemiche del giorno dopo rischia di uccidere una volta di più le vittime degli straordinari eventi alluvionali della Sardegna oggi, così come dei Comuni del Tarantino poco più di un mese fa.
Non suoni retorico sostenere che, oggi ma non da oggi, l’approccio alla questione del dissesto idrogeologico, con tutti i disastri che derivano da trasformazioni dissennate del territorio, debba essere di ordine morale prima ancora che politico e istituzionale. Il monito del vescovo di Tempio, che rilancia i ripetuti appelli di papa Francesco all’uomo perché torni a curarsi del Creato, non è pura iconografia, ma sostanza. Qui non si pone più il dilemma tra buona e cattiva amministrazione. Qui si mette alla prova la capacità di guardare oltre. Qui ciascuno di noi è chiamato a optare tra politiche di piccolo cabotaggio, condizionate dalle pressioni di piccoli e grandi portatori di sia pur legittimi interessi, e scelte coraggiose improntate a visioni di futuro possibile. Scelte di futuro che non potranno prescindere da una constatazione ormai non più misconoscibile: i nostri territori sono stremati da fenomeni quali l’eccessivo consumo di suolo e l’impermeabilizzazione legati all’eccessiva e irrazionale espansione urbanistica dei centri urbani.
Senza capacità di visione, a scapito anche di qualche consenso, sarà impossibile venirne fuori. Oggi l’industria, se vogliamo chiamarla così, della prevenzione non è messa in condizione di essere competitiva. Le cifre parlano chiaro: la ricostruzione dopo eventi catastrofici impegna molte più risorse pubbliche - circa 2,5 miliardi - di quante invece ne servano (si stima intorno a un miliardo e mezzo l’anno per almeno un decennio) al sistema di prevenzione. Eppure ancora con l’ultima legge di stabilità lo Stato continua a investire in prevenzione la miseria di 30 milioni di euro.
Qualcosa non funziona. In tempi in cui impera la retorica della cosiddetta revisione della spesa pubblica, risulta profondamente immorale legare i destini di un territorio fragile come quello italiano all’ormai continua emorragia di finanziamenti in condizioni di emergenza. Finanziamenti che, come detto, sono capaci di incidere sul bilancio pubblico fino al doppio di ciò che servirebbe per prevenire le emergenze stesse.
Per evitare che periodicamente si torni a discutere sulla pelle delle persone che ora piangono i propri morti, occorre che la logica di corto respiro fin qui seguita nella politica nazionale di salvaguardia e valorizzazione del territorio si riallinei, come dice il vescovo di Tempio, al rispetto dei “ritmi del Creato”.
In questo senso va, ad esempio, l’adozione di piani di adeguamento ai cambiamenti climatici richiesta dalla Commissione europea. Già molti Comuni in Italia, da Ancona a Bologna, si sono messi in rete per creare percorsi di conoscenza e condivisione e rendere i cittadini consapevoli di quanto i loro comportamenti possano incidere su un territorio di per sé già vulnerabile. In attesa che sia lo Stato italiano, così come richiesto dall’Europa, ad adottare la propria Strategia nazionale di adattamento, la proposta di realizzare un piano in grado di ricostruire il rapporto tra cittadino e risorse ambientali costituirebbe già una buona base di partenza, ad esempio, per il programma di governo di chi intende candidarsi, nelle elezioni del prossimo anno, a guidare la città di Bari.
Lo stanco rituale delle polemiche del giorno dopo rischia di uccidere una volta di più le vittime degli straordinari eventi alluvionali della Sardegna oggi, così come dei Comuni del Tarantino poco più di un mese fa.
Non suoni retorico sostenere che, oggi ma non da oggi, l’approccio alla questione del dissesto idrogeologico, con tutti i disastri che derivano da trasformazioni dissennate del territorio, debba essere di ordine morale prima ancora che politico e istituzionale. Il monito del vescovo di Tempio, che rilancia i ripetuti appelli di papa Francesco all’uomo perché torni a curarsi del Creato, non è pura iconografia, ma sostanza. Qui non si pone più il dilemma tra buona e cattiva amministrazione. Qui si mette alla prova la capacità di guardare oltre. Qui ciascuno di noi è chiamato a optare tra politiche di piccolo cabotaggio, condizionate dalle pressioni di piccoli e grandi portatori di sia pur legittimi interessi, e scelte coraggiose improntate a visioni di futuro possibile. Scelte di futuro che non potranno prescindere da una constatazione ormai non più misconoscibile: i nostri territori sono stremati da fenomeni quali l’eccessivo consumo di suolo e l’impermeabilizzazione legati all’eccessiva e irrazionale espansione urbanistica dei centri urbani.
Senza capacità di visione, a scapito anche di qualche consenso, sarà impossibile venirne fuori. Oggi l’industria, se vogliamo chiamarla così, della prevenzione non è messa in condizione di essere competitiva. Le cifre parlano chiaro: la ricostruzione dopo eventi catastrofici impegna molte più risorse pubbliche - circa 2,5 miliardi - di quante invece ne servano (si stima intorno a un miliardo e mezzo l’anno per almeno un decennio) al sistema di prevenzione. Eppure ancora con l’ultima legge di stabilità lo Stato continua a investire in prevenzione la miseria di 30 milioni di euro.
Qualcosa non funziona. In tempi in cui impera la retorica della cosiddetta revisione della spesa pubblica, risulta profondamente immorale legare i destini di un territorio fragile come quello italiano all’ormai continua emorragia di finanziamenti in condizioni di emergenza. Finanziamenti che, come detto, sono capaci di incidere sul bilancio pubblico fino al doppio di ciò che servirebbe per prevenire le emergenze stesse.
Per evitare che periodicamente si torni a discutere sulla pelle delle persone che ora piangono i propri morti, occorre che la logica di corto respiro fin qui seguita nella politica nazionale di salvaguardia e valorizzazione del territorio si riallinei, come dice il vescovo di Tempio, al rispetto dei “ritmi del Creato”.
In questo senso va, ad esempio, l’adozione di piani di adeguamento ai cambiamenti climatici richiesta dalla Commissione europea. Già molti Comuni in Italia, da Ancona a Bologna, si sono messi in rete per creare percorsi di conoscenza e condivisione e rendere i cittadini consapevoli di quanto i loro comportamenti possano incidere su un territorio di per sé già vulnerabile. In attesa che sia lo Stato italiano, così come richiesto dall’Europa, ad adottare la propria Strategia nazionale di adattamento, la proposta di realizzare un piano in grado di ricostruire il rapporto tra cittadino e risorse ambientali costituirebbe già una buona base di partenza, ad esempio, per il programma di governo di chi intende candidarsi, nelle elezioni del prossimo anno, a guidare la città di Bari.