Gianni Rivera (intervista): «Il Rivera di Oggi? Non credo nelle reincarnazioni»

di Nicola Ricchitelli - Il Milan, il goal del 4-3 realizzato allo stadio “Azteca” di Città del Messico nella semifinale contro la Germania al mondiale del 1970: «Una partita che mi piacerebbe rigiocare? Sicuramente quella mezz'ora contro la Germania…»; il rapporto con Nereo Rocco: «Prima di pensare a giocare, si preoccupava dei problemi dei ragazzi fuori dal campo, insomma era un uomo che badava sostanzialmente al rapporto umano»: questi i tratti salienti dell’intervista realizzata ad una delle leggende del calcio italiano e mondiale, Gianni Rivera.

D: Gianni, in questo 2013 è giunto un nuovo incarico in Figc in veste di presidente del settore tecnico di Coverciano. Cosa ci puoi raccontare di questa tua nuova avventura? 
R: «Si. Un lavoro iniziato da poco, il settore tecnico di Coverciano è un settore che funziona sostanzialmente bene, nel tempo cercheremo di apportare delle piccole migliorie senza il bisogno di fare cose eccezionali, sentendo, ascoltando e guardando i vari dirigenti e tutti coloro che lavorano in questo settore».

D: La tua storia calcistica ebbe inizio non ancora sedicenne in un anonimo martedì del 1959 – era il 2 giugno – contro quella che oggi tutti chiamiamo Inter, che ricordi conservi di quel giorno?
R: «Conservo un bel ricordo di quel giorno così come di tutta la mia vita calcistica. Quando potevo giocare a calcio mi divertivo sempre non solo durante le partite ufficiali ma anche durante gli allenamenti. Per me giocare a calcio era il migliore dei divertimenti, poi ho avuto l’occasione di trasformarla in professione, per cui è stato il massimo che mi potesse capitare».

D: Gianni, a quanto pare Benito Lorenzi – ex calciatore nerazzuro -  ti segnalò all’inter, e la Juventus ti scartò in quanto troppo gracile. Hai mai pensato alla tua carriera cosa sarebbe stata con una di queste due maglie?
R: «Ma no, non ci ho mai pensato. Tra l’altro queste sono cose che abbiamo scoperto diversi anni dopo. Oltre a ciò bisogna capire quanto di vero c’è. Di Benito Lorenzi si, sapevo qualcosa ma sulla Juventus no, è stata una cosa che ho letto qualche tempo dopo. Queste erano cose che accadevano tra i dirigenti poiché vi erano dei vincoli ben precisi e i calciatori non potevano intervenire. È stato così fino alla fine degli anni 60. Poi è subentrata la firma consenziente nel caso dei trasferimenti».

D: I primi anni con la maglia rossonera non furono facili per il diciassettenne Rivera. Come hai vissuto quel periodo e che consigli daresti quindi a tutti quei giovani calciatori che pur avendo talento non riescono ad esprimersi al meglio?
R: «Si, appena arrivato giocai subito tutte le partite. L’anno successivo arrivò Nereo Rocco, mi vide stanco poiché avevo giocato per due anni di fila senza fermarmi mai. Decise di farmi riposare un po’. Per quanto riguarda i giovani talenti di oggi, è chiaro che bisogna giudicare caso per caso, approfondire quello che può essere l’aspetto caratteriale, come si muovono, come vivono, insomma sarebbe difficile dare consigli specifici poiché ognuno di deve trovare la sua strada magari inciampando. Però se le qualità ci sono prima o poi vengono fuori».  

D: A quale vittoria sei maggiormente legato tra quelle ottenute con la maglia del Milan? 
R:«Un po’ a tutte le coppe e a tutti campionati vinti con questa maglia, non c’è una che valga più dell’altra. Certo la prima volta, e qui mi riferisco alla vittoria della prima Coppa Campioni a Wembley, fa sempre un certo effetto, però la seconda non è meno importante della prima».

D: Nereo Rocco: come descrivere in poche righe questo grande allenatore e il tuo rapporto con lui?
R:«Nereo Rocco privilegiava molto il rapporto umano ovviamente faceva anche l’allenatore, ma tutto nasceva dal rapporto umano che creava con il calciatore. Creava il giusto ambiente. Prima di pensare a giocare, si preoccupava dei problemi dei ragazzi fuori dal campo, insomma era un uomo che badava sostanzialmente al rapporto umano. Chiaramente l’aspetto tecnico era indispensabile ma l’aspetto umano aveva il sopravento».

D: Piccola curiosità. Vera la leggenda secondo cui furono lui e Artemio Franchi a convincerti a non abbandonare il ritiro nella spedizione messicana?
R: «No, non ho mai avuto intenzione di abbandonare all’epoca il ritiro in Messico. Durante il mondiale feci una dichiarazione polemica molto forte, ma, ti dirò, in realtà vi era il pericolo che potessero loro mandarmi via che è un’altra cosa. Ma io non avevo mai pensato di chiedere di tornare in Italia».
Rivera esulta dopo un gol che cambierà la storia della nazionale italiana: era Italia-Germania del 17 giugno del '70
D: Gianni, cosa si prova nel ritrovarsi di fronte al portiere Maier sul prato dello stadio Azteca in quel 17 giugno del 1970 sul risultato di 3-3 al '111, sapendo di essere stato responsabile del pareggio tedesco ?
R: «Quel goal sarebbe stato importante a prescindere dal minuto e dalle situazioni che si sarebbero venute a creare prima».

D: Una gara che ti piacerebbe rivivere tra quelle giocate con la maglia del Milan e della nazionale?
R: «Difficile trovarne una sola. Non riesco a pensare ad una sola partita da ricordare. Forse con il Milan la finale vinta a Wembley contro il Benfica nel 1963 poiché era una partita particolarmente significativa visto che era la prima volta che una squadra italiana vinceva quella coppa, quindi essere tra i protagonisti è stato particolarmente importante. Con la nazionale inevitabilmente mi viene in mente quella mezzora nella semifinale contro la Germania durante il mondiale messicano».

D: Cosa hai provato la prima volta che hai indossato la fascia di capitano?
R:« Ma niente di particolare. È stata una cosa maturata piano piano nel tempo. Mi sono adeguato a quella necessità e a quella responsabilità che erano legate a quella fascia».

D: Il tuo giudizio su quanto accaduto a Paolo Maldini durante la sua ultima partita?
R: «Ti dirò, quella è stata una cosa che mi ha meravigliato tantissimo. Proprio non me lo aspettavo. Qualsiasi cosa fosse successa tra lui e i tifosi, andava vissuta in una maniera diversa. Insomma sono rimasto molto stupito».

D: E' capitato anche a te di vivere momenti analoghi?
R: «No. Certo quando si giocava male capitava di essere fischiati. Il pubblico di San Siro fischiava anche me, non me le perdonava. Ma erano cose normali, avrei fischiato anche io».

D: Gianni, il tuo rapporto con la stampa sportiva non è mai stato idilliaco. A tuo modo di vedere come è cambiata nel corso degli anni?
R: «Diciamo che le cose vengono dette più o meno allo stesso modo. I giornalisti cercano di dire le cose così come le vedono. Poi qualcuno le accetta e altri no, qualcuno vede un po’ di malafede. Ognuno ha il suo punto di vista. All’epoca quando capivo che cerano delle situazioni che andavano più sul piano personale che tecnico reagivo. Le critiche tecniche, però, non le ho mai discusse».

D: Sei stato tra i primi calciatori negli anni a scagliarti contro la classe arbitrale dell’epoca; quale il tuo giudizio su quella attuale? Migliore o peggiore della tua era?     
R: «Il meglio e il peggio non esiste mai. Cambiano le generazioni, c’è il buono e il meno buono sempre. Però va analizzato il contesto, le situazioni, le condizioni psicologiche in cui si vive.Non si possono mai fare paragoni tra passato e presente».

D: Chi è a tuo parere il Gianni Rivera dei giorni d’oggi?
R: «Non credo alle reincarnazioni. Ogni essere umano è un mondo a sé. Ognuno ha le sue caratteristiche e va valutato per quello che sa fare senza fare paragoni con il passato».

CONTACTS:
https://www.facebook.com/Gianni10Rivera