di Vittorio Polito - Una poesia di Mario Piergiovanni (1927-2009), scritta e riscritta in epoche diverse, sta a dimostrare che si può cambiare il modo di scrivere il dialetto barese anche senza grammatiche e, soprattutto, senza imposizioni e/o consigli di coloro che sempre più insistentemente si credono unici “addetti ai lavori”, i cosiddetti “unti dal Signore”, in grado di prescrivere regole e regolette ad ogni spron battuto e senza alcun valore normativo. Insomma si sentono, pur ignorati dalla maggior parte di coloro che scrivono in dialetto barese, esclusivisti della grammatica del dialetto di casa nostra. Una evidente ed ulteriore prova viene dall’illustre artista barese che qualche decennio fa così giustificava il suo modo di scrivere.
«Non esistendo un metodo codificato per la scrittura di un testo in lingua dialettale cui attenermi ed uniformarmi, e discostandomi da quelli adottati da altri autori, ho ritenuto valido il rappresentare le parole in relazione alla loro effettiva pronuncia dialettale con le sillabe mute e le vocali lunghe, caratteristiche tipiche della lingua barese. Pertanto le sillabe mute sono state scritte con una consonante seguita da un punto, che va quindi letta senza abbinamento con alcuna vocale, e le vocali lunghe con un'accoppiata della stessa vocale, di cui la prima accentata tonicamente».
Da: “Bari anni trenta” di M. Piergiovanni, Stampa Unione tipografica, Bari 1970, pag. 9-11, e 33-35;
da “Sole & Cerase” di M. Piergiovanni, Edizioni Fratelli Laterza, Bari 1981, pag. 46-47 e 30-31.
«Non esistendo un metodo codificato per la scrittura di un testo in lingua dialettale cui attenermi ed uniformarmi, e discostandomi da quelli adottati da altri autori, ho ritenuto valido il rappresentare le parole in relazione alla loro effettiva pronuncia dialettale con le sillabe mute e le vocali lunghe, caratteristiche tipiche della lingua barese. Pertanto le sillabe mute sono state scritte con una consonante seguita da un punto, che va quindi letta senza abbinamento con alcuna vocale, e le vocali lunghe con un'accoppiata della stessa vocale, di cui la prima accentata tonicamente».
Alcuni esempi:
U
SÃ’OLE - IL SOLE
di Mario
Piergiovanni
Sc.uà nn d’ò
uascratìdd
e trapanann
na cangèdd
u sòole
s squà gghie
sop’a nu vasen.còole,
jind’a nu
buà atte d ch.nzèerve.
|
Sceuanne
d’o uascratiedde
e
trapananne na cangedde
u sole
se
squagghie sop’a nu vasenecole,
jind’a nu
buatte de chenzerve.
|
Scivolando da un terrazzino
e filtrando una cancellata
il sole
si scioglie sopra un basilico,
in un barattolo di conserva.
|
U
SAGR.STÀANE E U CANON.CHE – IL SACRESTANO ED IL CANONICO
di Mario
Piergiovanni
Nu r.mmòore
d còose ròtt
da la
Sagr.stìi.
-
S’arrutt’u
tùubbe;
Mannà aggi’ò
mbìierne e ò dià aue!
-
Corrèette
C.ccìill, corrèeeette…
ma
che s.ccìisse?
-
S’arrùtt’u
tùubbe, pà adr.
-
Mannaggi’ò
p.ccà ate e c u’addòore!
-
Corrèette
C.llènze, corrèette.
-
Ave Maria gratia plena…
-
Sancta Maria Mater Dei…
|
Nu remore
de cose rotte
da la
sagrestì.
-
S’Ã
rrutte u tubbe…
mannaggi’o
mbierne e o dià ue!
-
Corrette
Ceccille… corrette!
Ma
ci à successe?
-
S’Ã
rrutte u tubbe… padre.
-
M’annaggi’o
peccato e ci u adore!
-
Corrette
Cellenze… corrette!
- Ave Maria gratia plena…
- Santa Maria Madre Dei…
|
Un rumore
di cose rotte
dalla
sacrestia
-
Si
è rotto il lume…
mannaggia
all’inferno e al diavolo!
-
Corretto
Ciccillo… corretto!
Ma
che è successo?
-
Si
è rotto il lume… padre.
-
Mannaggia
al peccato e chi lo adora!
-
Corretto
Eccellenza… coretto!
-
Ave Maria gratia plena…
- Santa Maria Mater Dei…
|
Da: “Bari anni trenta” di M. Piergiovanni, Stampa Unione tipografica, Bari 1970, pag. 9-11, e 33-35;
da “Sole & Cerase” di M. Piergiovanni, Edizioni Fratelli Laterza, Bari 1981, pag. 46-47 e 30-31.
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