Sardegna "Capo e Croce": le ragioni dei pastori
dal nostro inviato Francesco Greco.
ROMA - "... perché prima c'è stata la pecora. Poi è venuto il pane" (Tore Concas, pastore). E dunque, le rivendicazioni dei soggetti sociali più deboli hanno avuto eco in questa ottava edizione del Festival del Cinema. I minatori del Sulcis, gli autisti dei Tir, i pastori sardi (c'è stata anche, giovedì scorso, la presenza del Comitato per il diritto alla casa che ha premuto ai cancelli dell'Auditorium).
Due anni di riprese, uno per il montaggio, musiche di Giacomo Puccini reinterpretate da Mauro Palmas, ben 390 ore di materiale girato, circa due quelle finite in "Capo e croce" (Le ragioni dei pastori sardi), documentario in bianco e nero di Paolo Carboni e Marco Antonio Pani proposto con successo nella sezione "Prospettive doc Italia" al Festival Internazionale del Cinema di Roma.
Il lavoro parte dalla rivendicazione di una categoria per dilatarsi poi su una dimensione antropologica, di appartenenza, di rivendicazione identitaria e culturale, di dignità senza la quale un essere umano non è tale. E' la sua dirompente forza semantica. Sconvolge, e non poco, la sordità, anzi, la fuga dalle responsabilità delle istituzioni (dai politici sardi a quelli nazionali): sconvolgente. Come se quei pastori trattati come delinquenti (forse i registi hanno premuto troppo sul fatto che molti sardi per sfuggire alla fame si arruolano nelle forze dell'ordine), avessero delle colpe quasi genetiche, e al contrario non fossero italiani, anzi, buoni italiani attaccati alla terra che ha dato da mangiare da millenni e oggi non più, stretti alle radici, fedeli alla memoria degli avi. E' la forza del lavoro, a cui il b/n dà maggiore incisività.
"Più si aspetta, più si muore...". "Con un'azienda di 300 ettari non campo la famiglia". Il latte, il formaggio, la lana, la carne hanno prezzi stracciati, le aziende agricole chiudono. Chi resta lavora 12 ore al giorno, Equitalia li perseguita, le banche non fanno prestiti, perfino minacciati di sfratto per due soldi. Nell'Italia della corruzione politica diffusa. Il doc propone le lotte del Movimento Pastori Sardi partite nel giugno 2010 e continuate con successive manifestazioni, sempre con la stessa tensione ideale, incertezze, confronto. E' stato girato fra Roma, Civitavecchia, Olbia, Porto Torres e nelle campagne di Ollolai, Siliqua, Ruinas, ecc. Azzera tutta la visione oleografica e da acquerello a favore di un'asprezza che carica il film di ulteriore forza filologica e comunicativa. E' stato prodotto da Cineteca Sarda, Torrefilm e Istituto Etnografico della Sardegna.
"Capo o croce" è un gioco d'azzardo: ogni giorno questi uomini decidono della loro vita e delle loro famiglie. I pastori sardi sembrano gli "invisibili" di Manuel Scorza, Perù, ma 50 anni dopo. La lotta per la dignità, a ogni latitudine, è ancora lunga...
ROMA - "... perché prima c'è stata la pecora. Poi è venuto il pane" (Tore Concas, pastore). E dunque, le rivendicazioni dei soggetti sociali più deboli hanno avuto eco in questa ottava edizione del Festival del Cinema. I minatori del Sulcis, gli autisti dei Tir, i pastori sardi (c'è stata anche, giovedì scorso, la presenza del Comitato per il diritto alla casa che ha premuto ai cancelli dell'Auditorium).
Due anni di riprese, uno per il montaggio, musiche di Giacomo Puccini reinterpretate da Mauro Palmas, ben 390 ore di materiale girato, circa due quelle finite in "Capo e croce" (Le ragioni dei pastori sardi), documentario in bianco e nero di Paolo Carboni e Marco Antonio Pani proposto con successo nella sezione "Prospettive doc Italia" al Festival Internazionale del Cinema di Roma.
Il lavoro parte dalla rivendicazione di una categoria per dilatarsi poi su una dimensione antropologica, di appartenenza, di rivendicazione identitaria e culturale, di dignità senza la quale un essere umano non è tale. E' la sua dirompente forza semantica. Sconvolge, e non poco, la sordità, anzi, la fuga dalle responsabilità delle istituzioni (dai politici sardi a quelli nazionali): sconvolgente. Come se quei pastori trattati come delinquenti (forse i registi hanno premuto troppo sul fatto che molti sardi per sfuggire alla fame si arruolano nelle forze dell'ordine), avessero delle colpe quasi genetiche, e al contrario non fossero italiani, anzi, buoni italiani attaccati alla terra che ha dato da mangiare da millenni e oggi non più, stretti alle radici, fedeli alla memoria degli avi. E' la forza del lavoro, a cui il b/n dà maggiore incisività.
"Più si aspetta, più si muore...". "Con un'azienda di 300 ettari non campo la famiglia". Il latte, il formaggio, la lana, la carne hanno prezzi stracciati, le aziende agricole chiudono. Chi resta lavora 12 ore al giorno, Equitalia li perseguita, le banche non fanno prestiti, perfino minacciati di sfratto per due soldi. Nell'Italia della corruzione politica diffusa. Il doc propone le lotte del Movimento Pastori Sardi partite nel giugno 2010 e continuate con successive manifestazioni, sempre con la stessa tensione ideale, incertezze, confronto. E' stato girato fra Roma, Civitavecchia, Olbia, Porto Torres e nelle campagne di Ollolai, Siliqua, Ruinas, ecc. Azzera tutta la visione oleografica e da acquerello a favore di un'asprezza che carica il film di ulteriore forza filologica e comunicativa. E' stato prodotto da Cineteca Sarda, Torrefilm e Istituto Etnografico della Sardegna.
"Capo o croce" è un gioco d'azzardo: ogni giorno questi uomini decidono della loro vita e delle loro famiglie. I pastori sardi sembrano gli "invisibili" di Manuel Scorza, Perù, ma 50 anni dopo. La lotta per la dignità, a ogni latitudine, è ancora lunga...