Senza dialogo siamo tutti "corpi estranei"

dal nostro inviato Francesco Greco.
ROMA - Pietro è un bambino di pochi mesi, è malato, ha un tumore al cervello. Il padre Antonio lo porta nottetempo da Roma a Milano per curarlo. Si chiamano viaggi della speranza. E il giovane padre (ha lasciato la moglie e due altri bambini, Davide 3 anni e Francesco di 9 che sta per fare la Prima Comunione) la alimenta pregando e accendendo lumini in chiesa. L'ospedale è in una zona dove sono presenti molti extracomunitari, specie arabi. In quel girone dantesco di dolore e attesa lacerata che è il reparto sono lì per lo stesso motivo: la malattia. Inevitabile il confronto fra due mondi, culture, percezioni, sensibilità.

   "I corpi estranei", di Mirko Locatelli (commedia, prodotto da "Strani Film", durata 102 minuti) non è piaciuto al pubblico: qualche applauso di circostanza. Peccato. Perché è una bella storia, delicata, intimista, minimal, ben interpretata da Filippo Timi (Antonio) e Jaouher Brahim (Jaber). Il tema è la malattia, che dovrebbe unire gli uomini nella lotta per vincerla. E invece, a causa di distanze culturali sempre molto presenti, viziate da luoghi comuni quasi archetipizzati, lo scontro è sempre sottinteso.

   Fra Antonio e Jaber la disponibilità iniziale cede il posto alla diffidenza, al sospetto. Nella zona dell'ospedale girano molti arabi, padroni di ogni genere di "traffico". Anche delle braccia prestate ai magazzini generali per qualche soldo. Antonio è costretto a lavorarci perché sta sulle spese e la degenza si prolunga, l'operazione è andata bene, ma Pietro ha la febbre ha bisogno di nuove analisi. Il film pare impaludato, avvolto su se stesso, quando accade quella che può essere letta come un'interruzione filologica. Furtivamente Jaber spalma il bambino di Antonio con una strana sostanza. Il padre se ne accorge e spiaccica al muro l'arabo perché ora il figlioletto "puzza come voi". Qui Locatelli avrebbe potuto essere più dialettico e dirci che roba è: altrimenti siamo portati a pensare che vuol farci credere che gli arabi trafficano con la stregoneria. Nel frattempo Jaber ha aiutato Antonio a riparare l'auto.

   Intanto inspiegabilmente il bambino mostra segni di miglioramento, mentre invece l'amico dell'arabo peggiora e muore. Padre e figlio contenti lasciano l'ospedale, si salutano con l'arabo, che piange. Senza dialogo non può essere che così: corpi estranei, distanti, ostili. Costretti quasi a vergognarci di mostrarci umani, disponibili, aperti al confronto. E' il "messaggio" di un film bello e terribile.

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