di Vittorio Polito - Il Concilio Vaticano II ha incoraggiato l’uso delle varie lingue sia per la Sacra Scrittura che per la Liturgia. La stessa Chiesa si legge nella ‘Gaudium et Spes’ – «fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli». Pertanto gli operatori pastorali si trovano di fronte ad una molteplicità di lingue e di dialetti che li pone di fronte ad una scelta difficile: in quale lingua tradurre? L’essenziale è tradurre preghiere e Sacra Scrittura in una lingua il più largamente comprensibile. E a Bari non possiamo che utilizzare, dopo l’italiano, il dialetto barese.
Tra le regole per imparare a pregare vi è quella che recita «Anche il corpo deve imparare a pregare» (Gesù si gettò a terra e pregava... (Mc. XIV, 35). Pertanto non si può escludere il corpo quando preghiamo. Il corpo influenza sempre la preghiera, perché influenza ogni atto umano, anche il più intimo. Il corpo diventa così strumento di preghiera.
La conferma viene da Papa Francesco che, alcuni lustri fa, prima di essere elevato alla guida della Chiesa Cattolica, quando era Vescovo di Buenos Aires, scrisse «La preghiera sulla punta delle dita» coinvolgendo nelle orazioni il corpo e in special modo le dita della mano, suggerendo un piccolo ausilio, utile a tutti, per facilitare ed aiutare a pregare.
Allo scopo di dare maggior forza e comprensione al suggerimento di Sua Santità e nello spirito del Concilio Vaticano II, abbiamo tradotto, liberamente in dialetto barese, «La preghiera sulla punta delle dita», auspicando che in dialetto si possa raggiungere più facilmente Dio.
Tra le regole per imparare a pregare vi è quella che recita «Anche il corpo deve imparare a pregare» (Gesù si gettò a terra e pregava... (Mc. XIV, 35). Pertanto non si può escludere il corpo quando preghiamo. Il corpo influenza sempre la preghiera, perché influenza ogni atto umano, anche il più intimo. Il corpo diventa così strumento di preghiera.
La conferma viene da Papa Francesco che, alcuni lustri fa, prima di essere elevato alla guida della Chiesa Cattolica, quando era Vescovo di Buenos Aires, scrisse «La preghiera sulla punta delle dita» coinvolgendo nelle orazioni il corpo e in special modo le dita della mano, suggerendo un piccolo ausilio, utile a tutti, per facilitare ed aiutare a pregare.
Allo scopo di dare maggior forza e comprensione al suggerimento di Sua Santità e nello spirito del Concilio Vaticano II, abbiamo tradotto, liberamente in dialetto barese, «La preghiera sulla punta delle dita», auspicando che in dialetto si possa raggiungere più facilmente Dio.
La preghiera sulla punta delle dita
di Papa Francesco
Papa Francesco
consiglia di recitare una preghiera sulla punta di ciascun dito della mano.
1. Il
pollice è il dito più vicino a te. Comincia quindi a pregare per coloro che ti sono più vicini.
Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per le persone a
noi care è “un dolce obbligo”.
2. Il
secondo dito è l'indice. Prega per quelli che insegnano, educano e curano: gli
insegnanti, le guide, i medici, i sacerdoti... Hanno bisogno di sostegno e
saggezza per indicare la via giusta agli altri. Ricordali nelle tue
preghiere, sempre.
3. Il medio
è il dito più alto.
Ci ricorda i nostri governanti. Prega
per il presidente, per i parlamentari, per gli imprenditori e gli
amministratori. Sono le persone che dirigono il destino del nostro Paese e guidano
l’opinione pubblica. Hanno bisogno della guida di Dio.
4. Il quarto dito è l’anulare. Molti saranno sorpresi, ma questo è il
nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di
pianoforte. E’ li a ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha
problemi da affrontare, per i malati. Le preghiere per loro non saranno mai
troppe.
L’anulare
ci invita a pregare anche per le
coppie sposate.
5. E per
ultimo c'è il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci di
fronte a Dio e al prossimo. «Gli ultimi saranno i primi», dice
Il modo di
pregare è ripreso dal tascabile “La preghiera sulla punta delle dita” della
collana “Un pensiero per te”, a cura di Renzo Sala, (Edizioni San Paolo
2013).
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La preghiera sulla punta delle dita di Papa Francesco
Libera traduzione in dialetto barese di Vittorio Polito e Rosa Lettini Triggiani
Pape
Frangìsche consìglie de dísce na preghíre sópe a la pònde de iògn’e dìscete
de la máne.
1.
U dìscete grèsse iè cùdde chiú vecìne a
tè. Acchemìnze quinde a pregá pe chìdde ca te stònne chiú vecìne e te vènene
a mènde chiú spìsse. Pregá pe lóre iè dòlge assá.
2.
U seconde dìscete iè l’ìndece. Príghe pe chìdde ca nzègnene, aduchèscene e
cùrene: maièste, guìte, mídece e saciardóte... Iàvene abbesègne de sestègne e
sapiènze pe petè indicá a l’àlde la strata giùste.
3. U dìscete
de mènze iè u chiú iàlde. Nge fásce penzá a le ghevernànde nèste. Prìghe pu
presedènde, pe le polìdece, pe l’industriàle e pe chìdde ca cùrene la cósa
pùbbleche. Sò lóre ca decìdene u destìne de la pàdrie e du pòbble. Dì l’àva
guìdá e lumená.
4. U quarte dìscete iè l’anulàre. Non tutte u sàpene, ma
iè cùsse u dìscete chiú dèbbue, cóme póte combermá qualùngue maièste de
piáne. Sta dá a recherdànge de pregá pe le chiú dèbbue, pe ci téne probblème,
pe le malàte. Le preghíre pe lóre non sò má abbastànze.
L’anulàre nge mbìte a pregá pure pe le còppie spesàte.
5. U l’ùldeme iè u mìgnue, u discete chiú peccenùnne de
tutte, cóme peccenùnne nge avìma sendì
nú nanze a Dì e o pròsseme. «L’ùldeme hanna ièsse le prime», dísce la Bibbie.
U mìgnue t’arrecòrde de pregá pe tè stèsse. Soldànde quànne si pregàte pe le
besègne de l’alde, àda petè capì mègghie de ceccóse tu ià adavére besègne.
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