"Take five", i soliti ignoti mezzo secolo dopo
dal nostro inviato Francesco Greco
ROMA - I soliti ignoti mezzo secolo dopo. Aggiornati ai tempi. Niente pasta e fagioli dopo il "buco" ma una bella mattanza in salsa napoletana in Galleria. Niente poesia, umanità, ma solo ferocia, al passo con i tempi infami che attraversiamo. Tutto qui. "Take five", noir di Guido Lombardi (prodotto da Raicinema, Eskimo e Minerva Pictures), in concorso all'ottava edizione del Festival del Cinema di Roma è tutto qui.
Affastellamento di luoghi comuni, citazioni dal genere (poteva mancare il femminiello?), pessimismo sul futuro di Napoli, prigioniera di se stessa, dei propri archetipi, da cui non vuole proprio uscire. Lo sguardo è rassegnato, cupo. Resterà vivo solo un bambino di 14 anni, Emanuele (Emanuele Abbate, esordiente), che non riesce a crescere in altezza, che arrafferà il bottino e si presume raccoglierà l'eredità dei criminali come se fosse una tara antropologia nel dna della "città di merda".
Il film è stato applaudito, purtroppo, perché la storia ha delle amnesie filologiche evidenti. Siamo bei "bassi" della città di Eduardo, Natale è in arrivo, la città è triste, a tratti spettrale. E dunque uscito di galera 'O Sciomén (un carismatico, svaccato Peppe Lanzetta), depresso e anche gay, è sollecitato da Gaetano, un ricettatore con una sua etica (ai ragazzini che gli chiedono pistole risponde di continuare con gli scippi) a fare il colpo della carriera: nel caveau di una banca ci sono un sacco di gioielli. Un fotografo malato di cuore, che ha bisogno di soldi ("ci vuole uno scienziato") per un trapianto, un idraulico pasticcione, un pugile che ha quasi ammazzato un arbitro fanno parte della banda.
Che urta la sensibilità di Ninnillo, il boss del quartiere che, in un perverso gioco di scatole cinesi, è controllato da un camorrista più potente, che vorrebbe mettere le mani sul bottino e che pare si sia cambiato i connotati facciali. Tutto avviene nelle fogne, tra vino troppo freddo e pizza, pistole nelle mani di chi non ha gli attributi per sparare e tentativi di mettersi in proprio. Anche il bambino, che all'inizio pare innocente, man mano si scopre già attaccato dal virus (gioca a poker e per comprare un negozio nuovo al padre che ha una bancarella di giocattoli punta alto e perde).
Tutto qui. Non manca la citazione del boss illanguidito dalla musica (come nel "Padrino"). Ma Lombardi non è Coppola né Lanzetta Marlon Brando. A Napoli serve altro...
ROMA - I soliti ignoti mezzo secolo dopo. Aggiornati ai tempi. Niente pasta e fagioli dopo il "buco" ma una bella mattanza in salsa napoletana in Galleria. Niente poesia, umanità, ma solo ferocia, al passo con i tempi infami che attraversiamo. Tutto qui. "Take five", noir di Guido Lombardi (prodotto da Raicinema, Eskimo e Minerva Pictures), in concorso all'ottava edizione del Festival del Cinema di Roma è tutto qui.
Affastellamento di luoghi comuni, citazioni dal genere (poteva mancare il femminiello?), pessimismo sul futuro di Napoli, prigioniera di se stessa, dei propri archetipi, da cui non vuole proprio uscire. Lo sguardo è rassegnato, cupo. Resterà vivo solo un bambino di 14 anni, Emanuele (Emanuele Abbate, esordiente), che non riesce a crescere in altezza, che arrafferà il bottino e si presume raccoglierà l'eredità dei criminali come se fosse una tara antropologia nel dna della "città di merda".
Il film è stato applaudito, purtroppo, perché la storia ha delle amnesie filologiche evidenti. Siamo bei "bassi" della città di Eduardo, Natale è in arrivo, la città è triste, a tratti spettrale. E dunque uscito di galera 'O Sciomén (un carismatico, svaccato Peppe Lanzetta), depresso e anche gay, è sollecitato da Gaetano, un ricettatore con una sua etica (ai ragazzini che gli chiedono pistole risponde di continuare con gli scippi) a fare il colpo della carriera: nel caveau di una banca ci sono un sacco di gioielli. Un fotografo malato di cuore, che ha bisogno di soldi ("ci vuole uno scienziato") per un trapianto, un idraulico pasticcione, un pugile che ha quasi ammazzato un arbitro fanno parte della banda.
Che urta la sensibilità di Ninnillo, il boss del quartiere che, in un perverso gioco di scatole cinesi, è controllato da un camorrista più potente, che vorrebbe mettere le mani sul bottino e che pare si sia cambiato i connotati facciali. Tutto avviene nelle fogne, tra vino troppo freddo e pizza, pistole nelle mani di chi non ha gli attributi per sparare e tentativi di mettersi in proprio. Anche il bambino, che all'inizio pare innocente, man mano si scopre già attaccato dal virus (gioca a poker e per comprare un negozio nuovo al padre che ha una bancarella di giocattoli punta alto e perde).
Tutto qui. Non manca la citazione del boss illanguidito dalla musica (come nel "Padrino"). Ma Lombardi non è Coppola né Lanzetta Marlon Brando. A Napoli serve altro...