Dal nostro inviato Francesco Greco.
ROMA – “Vade retro, Tortora!”. L’ottava edizione del Festival internazionale del film di Roma, in programma dall’8 (apertura con la cerimonia ufficiale, madrina Sabrina Ferilli) al 17 novembre, parte con una polemica italian style, un sacco provinciale, che mai si sarebbe vista a Cannes o a Berlino: il docu-film di Ambrogio Crespi, “Tortora, una ferita italiana”, non ha superato la preselezione, e non sarà in concorso e nemmeno nelle sezioni collaterali. Insomma, il Festival non lo vuole.
Agli occhi di molti pare un ostracismo non tanto, o non solo al presentatore e giornalista che incappò in una vicenda giudiziaria e umana (arrestato in diretta tg, zoom sulle manette ai polsi) che lo fece ammalare di una malattia psicosomatica e lo portò alla tomba, ma anche un “niet” a discutere dei temi delicati della giustizia: un nervo scoperto del dibattito politico, e non da oggi. E proprio mentre il Presidente Napolitano ha proposto l’indulto o l’amnistia ricevendo un interesse tiepido, Berlusconi si proclama da anni “vittima” delle toghe rosse mentre il Senato si appresta a scacciarlo e il ministro Guardasigilli è finita nella bufera: avrebbe aiutato l’amica Giulia Ligresti che, finita in carcere, non gradiva il menù della casa (niente ostriche e champagne, manco à la carte e chef talentuosi).
Sulla vicenda le opinioni sono diverse e sfaccettate. La politica si intreccia con l’estetica dell’opera e si ha l’impressione che si sia stati più lealisti del Re. “In questo film ci ho messo il cuore e l’anima” afferma il regista. Strano a dirsi, ma una volta tanto la politica che si accapiglia su tutto, dalla legge di stabilità all’Imu alla riforma elettorale, trova un punto di incontro nella difesa del film. 25 parlamentari del Pd, più il radicale Pannella e Daniele Capezzone (Pdl) hanno sottoscritto un documento in cui chiedono alla Presidente della Camera Laura Boldrini che il documentario abbia una proiezione “riparatrice” a Montecitorio e inoltre vogliono vedere gli atti ufficiali con la motivazione dell’esclusione dalla prestigiosa rassegna che richiama cineasti, produttori, attori, critici, buyers e cinefili da tutto il mondo. Uno schieramento trasversale in difesa dell’opera. Addirittura i presidenti delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, Galan (Pdl) e Marcucci (Pd) e l’ex sindaco della città Gianni Alemanno chiedono al direttore della rassegna Marco Muller che sia ospitata ugualmente all’Auditorium Parco della Musica dove ha luogo il Festival nato per competere con la Mostra del Cinema di Venezia.
Ma siamo solo alle prime schermaglie, perché il clima nei prossimi giorni, se non si abbassano un pò i toni, c’è da scommettere, si farà ancora più caldo. La vedova di Tortora, l’ex senatrice Francesca Scopelliti, alza il dito verso la Rai: “E’ triste e desolante osservare – detta alle agenzie – che Tortora spaventa la Rai tanto da scacciarlo pure da morto”. La replica del servizio pubblico è immediata: “Non abbiamo mai ricevuto proposte d’acquisto dei diritti del documentario”.
La polemica è alimentata dai rumors all’interno dell’Auditorium che lo bolla come “inguardabile” e dallo stesso Crespi, che indirettamente lo ammette: “Il mio doc non sarà perfetto tecnicamente, ma a me interessa trasmettere la memoria di un uomo ucciso dalla malagiustizia 25 anni fa alle nuove generazioni”. Più che estetica quindi la chiave dell’opera è pedagogica. Si sa, gli shooting (incluso “Sacro Gra” che due mesi ha vinto la Palma d’oro a Venezia ‘70) non ambiscono certo a essere accostati alla finezza maniacale di Visconti o al parossismo narrativo di Ingmar Bergman: si nutrono del soggetto che li ha ispirati e dello sviluppo fresco e immediato. Ma ci sono altri elementi che ne fanno un “caso politico”. Nel film si attaccano i magistrati che sbagliano (parla perfino Corrado Carnevale “l’ammazzasentenze”). Crespi è inoltre fratello di Luigi, sondaggista (Datamedia) dell’home berlusconiana e fondatore di un settimanale culturale parafascista, “Il Domenicale” (tra Evola e Pound, ora defunto). Con un transfert si è rivisto in Tortora: anche lui in galera, 200 giorni, arresto all’alba, bambino di pochi mesi che strilla e accusa di associazione esterna di stampo mafioso e voto di scambio.
Un fatto è certo: pare una “bolla mediatica” creata ad arte dall’ufficio-stampa del Festival per tenere avvinte le testate e costringerle a “sparare” titoli su 9 colonne. Finirà all’italiana, con un compromesso: lo daranno fuori concorso in una saletta appartata dell’Auditorium, a un’ora impossibile, come i film-cult selezionati da Enrico Ghezzi nelle notti dei cinefili di Rai3. Crespi avrà il suo quarto d’ora di celebrità citando Andy Warhol e noi l’indomani andremo in giro con occhiaie profonde e la bocca impastata in cerca disperatamente di un caffè ristretto/corretto.
ROMA – “Vade retro, Tortora!”. L’ottava edizione del Festival internazionale del film di Roma, in programma dall’8 (apertura con la cerimonia ufficiale, madrina Sabrina Ferilli) al 17 novembre, parte con una polemica italian style, un sacco provinciale, che mai si sarebbe vista a Cannes o a Berlino: il docu-film di Ambrogio Crespi, “Tortora, una ferita italiana”, non ha superato la preselezione, e non sarà in concorso e nemmeno nelle sezioni collaterali. Insomma, il Festival non lo vuole.
Agli occhi di molti pare un ostracismo non tanto, o non solo al presentatore e giornalista che incappò in una vicenda giudiziaria e umana (arrestato in diretta tg, zoom sulle manette ai polsi) che lo fece ammalare di una malattia psicosomatica e lo portò alla tomba, ma anche un “niet” a discutere dei temi delicati della giustizia: un nervo scoperto del dibattito politico, e non da oggi. E proprio mentre il Presidente Napolitano ha proposto l’indulto o l’amnistia ricevendo un interesse tiepido, Berlusconi si proclama da anni “vittima” delle toghe rosse mentre il Senato si appresta a scacciarlo e il ministro Guardasigilli è finita nella bufera: avrebbe aiutato l’amica Giulia Ligresti che, finita in carcere, non gradiva il menù della casa (niente ostriche e champagne, manco à la carte e chef talentuosi).
Sulla vicenda le opinioni sono diverse e sfaccettate. La politica si intreccia con l’estetica dell’opera e si ha l’impressione che si sia stati più lealisti del Re. “In questo film ci ho messo il cuore e l’anima” afferma il regista. Strano a dirsi, ma una volta tanto la politica che si accapiglia su tutto, dalla legge di stabilità all’Imu alla riforma elettorale, trova un punto di incontro nella difesa del film. 25 parlamentari del Pd, più il radicale Pannella e Daniele Capezzone (Pdl) hanno sottoscritto un documento in cui chiedono alla Presidente della Camera Laura Boldrini che il documentario abbia una proiezione “riparatrice” a Montecitorio e inoltre vogliono vedere gli atti ufficiali con la motivazione dell’esclusione dalla prestigiosa rassegna che richiama cineasti, produttori, attori, critici, buyers e cinefili da tutto il mondo. Uno schieramento trasversale in difesa dell’opera. Addirittura i presidenti delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, Galan (Pdl) e Marcucci (Pd) e l’ex sindaco della città Gianni Alemanno chiedono al direttore della rassegna Marco Muller che sia ospitata ugualmente all’Auditorium Parco della Musica dove ha luogo il Festival nato per competere con la Mostra del Cinema di Venezia.
Ma siamo solo alle prime schermaglie, perché il clima nei prossimi giorni, se non si abbassano un pò i toni, c’è da scommettere, si farà ancora più caldo. La vedova di Tortora, l’ex senatrice Francesca Scopelliti, alza il dito verso la Rai: “E’ triste e desolante osservare – detta alle agenzie – che Tortora spaventa la Rai tanto da scacciarlo pure da morto”. La replica del servizio pubblico è immediata: “Non abbiamo mai ricevuto proposte d’acquisto dei diritti del documentario”.
La polemica è alimentata dai rumors all’interno dell’Auditorium che lo bolla come “inguardabile” e dallo stesso Crespi, che indirettamente lo ammette: “Il mio doc non sarà perfetto tecnicamente, ma a me interessa trasmettere la memoria di un uomo ucciso dalla malagiustizia 25 anni fa alle nuove generazioni”. Più che estetica quindi la chiave dell’opera è pedagogica. Si sa, gli shooting (incluso “Sacro Gra” che due mesi ha vinto la Palma d’oro a Venezia ‘70) non ambiscono certo a essere accostati alla finezza maniacale di Visconti o al parossismo narrativo di Ingmar Bergman: si nutrono del soggetto che li ha ispirati e dello sviluppo fresco e immediato. Ma ci sono altri elementi che ne fanno un “caso politico”. Nel film si attaccano i magistrati che sbagliano (parla perfino Corrado Carnevale “l’ammazzasentenze”). Crespi è inoltre fratello di Luigi, sondaggista (Datamedia) dell’home berlusconiana e fondatore di un settimanale culturale parafascista, “Il Domenicale” (tra Evola e Pound, ora defunto). Con un transfert si è rivisto in Tortora: anche lui in galera, 200 giorni, arresto all’alba, bambino di pochi mesi che strilla e accusa di associazione esterna di stampo mafioso e voto di scambio.
Un fatto è certo: pare una “bolla mediatica” creata ad arte dall’ufficio-stampa del Festival per tenere avvinte le testate e costringerle a “sparare” titoli su 9 colonne. Finirà all’italiana, con un compromesso: lo daranno fuori concorso in una saletta appartata dell’Auditorium, a un’ora impossibile, come i film-cult selezionati da Enrico Ghezzi nelle notti dei cinefili di Rai3. Crespi avrà il suo quarto d’ora di celebrità citando Andy Warhol e noi l’indomani andremo in giro con occhiaie profonde e la bocca impastata in cerca disperatamente di un caffè ristretto/corretto.