'Volantìn Cortao', il Cile degli aquiloni perduti
dal nostro inviato Francesco Greco.
ROMA - I bambini del Cile fanno un gioco (ma anche quelli afghani): tagliano i fili che innalzano in cielo gli aquiloni. Partendo da questa bellissima metafora, i registi più giovani dell'ottava edizione del Festival del Cinema di Roma, i cileni Diego Ayala (24 anni) e Anìbal Jofrè (25) hanno emozionato il pubblico con il loro "Volantìn Cortao" (in concorso), un "graffiti" sul Cile di oggi uscito dalla tirannia che chiuse le Scuole di Cinema e causò l'aumento sconsiderato delle attrezzature per girare audiovisivi (ma adesso il nuovo corso ha riaperto le scuole e ha reso accessibili i costi di videocamere e pellicole) che vuole stare nel XXI secolo. "E' vero, il Cile oggi ha voglia di nuovo, di costruire una nuova società...", sorride la giovane produttrice Soledad Trejo Troncoso (Gallinazofilms).
Il film è nato in ambito universitario, i registi si sono avvalsi della collaborazione del mondo accademico in termini di consulenza (gli insegnanti dei due registi). E' girato nei quartieri di Santiago, attori professionisti e non sono stati mescolati dopo un casting travagliato ("non riuscivamo a trovare la chimica giusta con gli aspiranti attori...").
"Tutto parte dall'osservazione della vita quotidiana a Santiago, nei suoi quartieri - spiegano i cineasti latinoamericani - da noi c'è molta solitudine, ognuno prende l'auto, l'autobus, il treno e pensa al mutuo da pagare, a come mandare avanti la famiglia: volevamo guardare dentro questa realtà... Non dare risposte, ma fare domande... La società cilena è molto frammentata: ogni classe sociale non comunica con l'altra, ma ci sono alcuni che sono a disagio in quella dove sono nati: noi, per esempio, abbiamo un'estrazione sociale medio-alta ma non ci riconosciamo nei suoi valori". Lo smarrimento del Cile di oggi è dunque nello sguardo di Manuel (ragazzo che si apre al mondo) e Paolina (assistente sociale): entrambi cercano la loro identità, il loro posto nel mondo.
Domanda: Succede di rado che affrontando queste tematiche sociali lo la chiave di lettura non sia paternalistica...
Risposta: "E' vero, il film parla di differenze sociali e di difficile integrazione, ma senza populismo, né pietismo".
D. E' ovviamente la condizione economica che determina questa divisione in scompartimenti stagni della società cilena?
R. "Noi lo definiamo apartheid. Scuole, case, sanità, tutto è nelle mani dei privati. Non sul colore della pelle dunque ma sulla sua situazione economica si fonda questa frammentazione sociale. Questo Cile abbiamo voluto mostrare...".
D. Il girovagare di Paolina e Manuel è una metafora?
R. "Sono loro gli aquiloni alla deriva della vita. Non riescono a inserirsi nella società, cercano la loro strada".
D. Volendo riferirvi al cinema che vi ha ispirati, quale vi sentite di citare?
R. "Il Neorealismo italiano".
ROMA - I bambini del Cile fanno un gioco (ma anche quelli afghani): tagliano i fili che innalzano in cielo gli aquiloni. Partendo da questa bellissima metafora, i registi più giovani dell'ottava edizione del Festival del Cinema di Roma, i cileni Diego Ayala (24 anni) e Anìbal Jofrè (25) hanno emozionato il pubblico con il loro "Volantìn Cortao" (in concorso), un "graffiti" sul Cile di oggi uscito dalla tirannia che chiuse le Scuole di Cinema e causò l'aumento sconsiderato delle attrezzature per girare audiovisivi (ma adesso il nuovo corso ha riaperto le scuole e ha reso accessibili i costi di videocamere e pellicole) che vuole stare nel XXI secolo. "E' vero, il Cile oggi ha voglia di nuovo, di costruire una nuova società...", sorride la giovane produttrice Soledad Trejo Troncoso (Gallinazofilms).
Il film è nato in ambito universitario, i registi si sono avvalsi della collaborazione del mondo accademico in termini di consulenza (gli insegnanti dei due registi). E' girato nei quartieri di Santiago, attori professionisti e non sono stati mescolati dopo un casting travagliato ("non riuscivamo a trovare la chimica giusta con gli aspiranti attori...").
"Tutto parte dall'osservazione della vita quotidiana a Santiago, nei suoi quartieri - spiegano i cineasti latinoamericani - da noi c'è molta solitudine, ognuno prende l'auto, l'autobus, il treno e pensa al mutuo da pagare, a come mandare avanti la famiglia: volevamo guardare dentro questa realtà... Non dare risposte, ma fare domande... La società cilena è molto frammentata: ogni classe sociale non comunica con l'altra, ma ci sono alcuni che sono a disagio in quella dove sono nati: noi, per esempio, abbiamo un'estrazione sociale medio-alta ma non ci riconosciamo nei suoi valori". Lo smarrimento del Cile di oggi è dunque nello sguardo di Manuel (ragazzo che si apre al mondo) e Paolina (assistente sociale): entrambi cercano la loro identità, il loro posto nel mondo.
Domanda: Succede di rado che affrontando queste tematiche sociali lo la chiave di lettura non sia paternalistica...
Risposta: "E' vero, il film parla di differenze sociali e di difficile integrazione, ma senza populismo, né pietismo".
D. E' ovviamente la condizione economica che determina questa divisione in scompartimenti stagni della società cilena?
R. "Noi lo definiamo apartheid. Scuole, case, sanità, tutto è nelle mani dei privati. Non sul colore della pelle dunque ma sulla sua situazione economica si fonda questa frammentazione sociale. Questo Cile abbiamo voluto mostrare...".
D. Il girovagare di Paolina e Manuel è una metafora?
R. "Sono loro gli aquiloni alla deriva della vita. Non riescono a inserirsi nella società, cercano la loro strada".
D. Volendo riferirvi al cinema che vi ha ispirati, quale vi sentite di citare?
R. "Il Neorealismo italiano".