Bombardamento su Bari del '43: iprite, incubo e mistero della Pearl Harbour italiana

di Nicola Zuccaro - Bari 3 dicembre 1943. In una mite mattinata invernale - come documentano le cronache di quel giorno - il Porto di Bari è una fornace.

Grandi nubi nere si elevano dalle 17 navi colpite nella tarda serata del 2 dicembre dai 105 bombardieri Junker Ju 88 della Luftwaffe, l'aviazione militare tedesca. Dal primo bollettino stilato a poche ore da una tragedia che colpi anche altri punti della città, le vittime stimate furono 186.

Una cifra che sino all'8 dicembre fu destinata a crescere superando i 1000 morti e raggiungendo gli 800 feriti. Fra questi 628 subirono danni da iprite (un gas nervino messo già al bando dalla comunità internazionale) conservato sulla nave americana John Harvey.

Il segreto militare che, a distanza di 70 anni, copre ancora molti dei documenti risulta vano perchè quello di Bari è stato classificato quale episodio di guerra chimica del secondo conflitto mondiale tanto da essere ritenuto superiore per le sue dimensioni al bombardamento di 2 anni prima a Pearl Harbour, il 7 dicembre 1941.

Bruciori e macchie lungo la pelle, patologie tumorali con danneggiamento dell'apparato broncopolmonare. Essi sono stati i danni arrecati alla salute di pescatori e portuali non solo di Bari ma anche dei Comuni della costiera barese pur attraversati dai bombardamenti su quel basso Adriatico.

Nei suoi fondali si nasconde oltre che uno dei tanti misteri della seconda guerra mondiale anche e sopratutto un incubo che, a distanza di 70 anni turba, non poco, la gente di mare.