di Francesco Greco.
LECCE – “Ascoltarli è come intraprendere un lungo viaggio…”. La critica specializzata è incantata dalla loro musica, dalla password assolutamente originale che gli “Emian PaganFolk” (Emilio + Anna, foto), il gruppo nato due anni fa, ha trovato alla fine di una lunga e faticosa ricerca di natura polisemica. E si aspetta con curiosità il primo lavoro, “Acquaterra”: “Nell’attesa – dicono - stiamo lavorando al secondo videclip che richiama un brano dell’album”.
Per quel poco che è dato fellinianamente di immaginare, la loro è una musica colta, ricca di mille echi, risonanze, contaminazioni, di archetipi e sovrastrutture indie. Che nel Salento Porta dell’Occidente spalancata sull’Oriente sono nell’aria, sedimentano nella cultura, la coscienza, le radici, la memoria. I musicisti le colgono con istintiva naturalezza. Il risultato emoziona, commuove, conquista.
Anna Cefalo (Anna Egan: arpa irlandese, voce, bodhrà n), Emilio Antonio Cozza (Emain Druma: percussioni, voce, violino) e Danilo Lupi (Rohan: basso, bouzouki, thin whistle) hanno respirato i pollini luminosi e densi d’energia del Sud. Napletana di nascita, Anna ha studiato arpa al Conservatorio della città d’adozione, Avellino, “ma mio padre da piccola mi faceva ascoltare i concerti di musica classica in tv”. Poi due anni fa, in Salento, ha incontrato Emilio, stessa curiosità per la musica irlandese, celtica, le sonorità nordiche, il neofolk, la musica degli Indiani d’America: “Le etnie rimaste legate ai culti della terra”.
Nasce il progetto Emian, a cui si aggiunge, a marzo 2013, Danilo Lupi, salernitano (Cava dei Tirreni). Dalla Campania a Terra d’Otranto, tutti e tre hanno respirato con l’aria, anzi, succhiato col latte materno i topoi culturali e musicali. Il che non basta a corroborare una ricerca musicale seria, che tale voglia definirsi. Occorre uscire dal nido caldo, comodo e accogliente, mettersi in discussione, dialogare con altre terre, confrontarsi con infinite culture lontano dal Salento, arricchirsi di suoni e illuminazioni di meridiani e paralleli, urla, dolcezza, sensualità di latitudini e longitudini distanti, di tutti i nord e i sud del mondo.
Gli “Emian PaganFolk”, con curiosità e intelligenza, lo hanno fatto, si sono avventurati in mare aperto, hanno affrontato le onde minacciose, sono sopravvissuti e sono poi tornati ricchi di infinite contaminazioni, una tavolozza pregna di solarità , un crogiolo di dirompente forza dialettica. Visibile già nei nomi d’arte che si sono dati. Tutto questo materiale insonne, magmatico e cupo come mosto, fascinoso e filologicamente intrigante è finito nella loro musica.
Di una ricchezza sonora semantica che intimidisce e che spazia dalla cultura dell’Area Celtica e del Nord Europa alle Ballate Medievali e i Canti Sciamanici. Che solleva dalle umane miserie l’essere più volgare (il gusto musicale e visivo che con violenza e aggressività i media ci hanno deteriorato, tv spazzatura in primis, ma anche certo cinema-spam benché redditizio e certi libri feticisti non si rimuovono con una seduta dall’analista né con un po’ di meditazione yoga) e la scaglia in una dimensione onirica, fiabesca, dove sei solo con te stesso e la tua ansia, anzi il tuo diritto alla bellezza e alla poesia: le sole cose che ti riconciliano con te stesso, gli altri intorno, l’umanità , l’Universo.
La musica del gruppo pugliese è come balsamo sulle ferite della contemporaneità , rapisce come lo fu Ulisse col dolce canto delle sirene. Ti prende per mano e ti porta per paesaggi (anche interiori) incantati, miracolosamente intatti, selvaggi, per i fiordi nordeuropei, i prati scintillanti di rugiada al mattino, deserti abbacinanti, mari di smeraldo baciati dal sole. E quando rimetti piede a terra, appagato, ti rifugi felice e sereno nell’io più segreto, rimetti a nudo le tue radici antropologiche, il dna barocco, il sangue degli avi che inquieto pulsa in te e nei tuoi figli, e senti di appartenere a una comune che condivide i tuoi stessi valori e sogni, d’essere giunto in una dimensione lungamente e faticosamente bramata, di essere in sintonia col Cosmo dalla cui zuppa di particelle provieni (e tornerai, come sosteneva la grande Margherita Hack).
Pur avendo solo due anni di vita, gli “Emian PaganFolk” viaggiano – oggi che molte star a secco di creatività si rifugiano nelle cover rimasticandole - al ritmo invidiabile di 60 concerti l’anno, in Italia e nel mondo, in rassegne e club privati; a ottobre hanno vinto il “Ferrara Buskers Festival”. Ora è in stand-bye “Acquaterra”, il loro primo full-langht. Ma l’attesa dei numerosissimi fans è agli sgoccioli…
LECCE – “Ascoltarli è come intraprendere un lungo viaggio…”. La critica specializzata è incantata dalla loro musica, dalla password assolutamente originale che gli “Emian PaganFolk” (Emilio + Anna, foto), il gruppo nato due anni fa, ha trovato alla fine di una lunga e faticosa ricerca di natura polisemica. E si aspetta con curiosità il primo lavoro, “Acquaterra”: “Nell’attesa – dicono - stiamo lavorando al secondo videclip che richiama un brano dell’album”.
Per quel poco che è dato fellinianamente di immaginare, la loro è una musica colta, ricca di mille echi, risonanze, contaminazioni, di archetipi e sovrastrutture indie. Che nel Salento Porta dell’Occidente spalancata sull’Oriente sono nell’aria, sedimentano nella cultura, la coscienza, le radici, la memoria. I musicisti le colgono con istintiva naturalezza. Il risultato emoziona, commuove, conquista.
Anna Cefalo (Anna Egan: arpa irlandese, voce, bodhrà n), Emilio Antonio Cozza (Emain Druma: percussioni, voce, violino) e Danilo Lupi (Rohan: basso, bouzouki, thin whistle) hanno respirato i pollini luminosi e densi d’energia del Sud. Napletana di nascita, Anna ha studiato arpa al Conservatorio della città d’adozione, Avellino, “ma mio padre da piccola mi faceva ascoltare i concerti di musica classica in tv”. Poi due anni fa, in Salento, ha incontrato Emilio, stessa curiosità per la musica irlandese, celtica, le sonorità nordiche, il neofolk, la musica degli Indiani d’America: “Le etnie rimaste legate ai culti della terra”.
Nasce il progetto Emian, a cui si aggiunge, a marzo 2013, Danilo Lupi, salernitano (Cava dei Tirreni). Dalla Campania a Terra d’Otranto, tutti e tre hanno respirato con l’aria, anzi, succhiato col latte materno i topoi culturali e musicali. Il che non basta a corroborare una ricerca musicale seria, che tale voglia definirsi. Occorre uscire dal nido caldo, comodo e accogliente, mettersi in discussione, dialogare con altre terre, confrontarsi con infinite culture lontano dal Salento, arricchirsi di suoni e illuminazioni di meridiani e paralleli, urla, dolcezza, sensualità di latitudini e longitudini distanti, di tutti i nord e i sud del mondo.
Gli “Emian PaganFolk”, con curiosità e intelligenza, lo hanno fatto, si sono avventurati in mare aperto, hanno affrontato le onde minacciose, sono sopravvissuti e sono poi tornati ricchi di infinite contaminazioni, una tavolozza pregna di solarità , un crogiolo di dirompente forza dialettica. Visibile già nei nomi d’arte che si sono dati. Tutto questo materiale insonne, magmatico e cupo come mosto, fascinoso e filologicamente intrigante è finito nella loro musica.
Di una ricchezza sonora semantica che intimidisce e che spazia dalla cultura dell’Area Celtica e del Nord Europa alle Ballate Medievali e i Canti Sciamanici. Che solleva dalle umane miserie l’essere più volgare (il gusto musicale e visivo che con violenza e aggressività i media ci hanno deteriorato, tv spazzatura in primis, ma anche certo cinema-spam benché redditizio e certi libri feticisti non si rimuovono con una seduta dall’analista né con un po’ di meditazione yoga) e la scaglia in una dimensione onirica, fiabesca, dove sei solo con te stesso e la tua ansia, anzi il tuo diritto alla bellezza e alla poesia: le sole cose che ti riconciliano con te stesso, gli altri intorno, l’umanità , l’Universo.
La musica del gruppo pugliese è come balsamo sulle ferite della contemporaneità , rapisce come lo fu Ulisse col dolce canto delle sirene. Ti prende per mano e ti porta per paesaggi (anche interiori) incantati, miracolosamente intatti, selvaggi, per i fiordi nordeuropei, i prati scintillanti di rugiada al mattino, deserti abbacinanti, mari di smeraldo baciati dal sole. E quando rimetti piede a terra, appagato, ti rifugi felice e sereno nell’io più segreto, rimetti a nudo le tue radici antropologiche, il dna barocco, il sangue degli avi che inquieto pulsa in te e nei tuoi figli, e senti di appartenere a una comune che condivide i tuoi stessi valori e sogni, d’essere giunto in una dimensione lungamente e faticosamente bramata, di essere in sintonia col Cosmo dalla cui zuppa di particelle provieni (e tornerai, come sosteneva la grande Margherita Hack).
Pur avendo solo due anni di vita, gli “Emian PaganFolk” viaggiano – oggi che molte star a secco di creatività si rifugiano nelle cover rimasticandole - al ritmo invidiabile di 60 concerti l’anno, in Italia e nel mondo, in rassegne e club privati; a ottobre hanno vinto il “Ferrara Buskers Festival”. Ora è in stand-bye “Acquaterra”, il loro primo full-langht. Ma l’attesa dei numerosissimi fans è agli sgoccioli…