La recensione: Blue Jasmine

di Frédéric Pascali - Quando la vita ci mette davanti a un nostro fallimento il difficile è ammetterlo, prenderne coscienza e affrontarlo con il dovuto cinismo. Spesso, invece, ci si rifugia nell’oblio e ci si rifiuta di andare avanti, nella speranza che non sia stato altro che un brutto sogno. E’ quello che succede in “Blue Jasmine”, l’ultima fatica cinematografica di Woody Allen. Un’intensa e nevrotica rappresentazione del difficile gioco dell’esistenza, dove le regole sono implacabili e gli errori si scontano con l’astrazione impossibile dell’illusione.

La protagonista è un’avvenente tipica icona della upper class newyorkese, l’altera e aristocratica Jasmine, Cate Blanchett, che, all’apice della sua vita coniugale e sociale, si riscopre prigioniera di un bellissimo “falso d’autore”. Una bieca e imperturbabile finzione sovrintende i confini della sua esistenza. Il marito,Hal,Alec Baldwin, brillante uomo d’affari e coniuge irreprensibile, è in realtà un fragile castello di carta costruito su menzogne e continui tradimenti. Così, quando questo si sbriciola a Jasmine non resta altro che la fuga nella San Francisco spartana e irriverente della sorellastra Ginger, Sally Hawkins.

Abituarsi alla nuova realtà non è facile e l’unico rifugio diventa il “far finta che”,con la convinzione che questo da solo basti a riportare tutto come prima. Un gioco che travolge tutti e che alla fine dà il suo verdetto senza appello.
“Blue Jasmine” lambendo molto da vicino le atmosfere del dramedy, ricorda un po’ l’Allen londinese di qualche anno fa. I temi cupi e rarefatti di “Sogni e Delitti”(2008)laccano qua e là la sceneggiatura e danno forza ai punti di svolta della trama.
Un lavoro confezionato con la consueta cura, molto lontano dalle precedenti tematiche agiografiche parigine e romane, reso al meglio dai movimenti classici della macchina da presa. Molto indovinata la scelta dei flash back di “costruzione” del tempo presente. Sontuosa la prova di Cate Blanchett, potrebbe essere Oscar.