di Francesco Greco.
LECCE – “Ho diritto a non sentirmi sporca… Annuso il marcio dell’abuso… Ero sola in mezzo a tanti sguardi… Ho diritto ai profumi dell’amore!” (Marina Marzano, poetessa leccese, in arte Momartè). 128 donne assassinate nel 2012, 83 nel 2013. Nell’80% dei casi il “mostro” vive fra le mura domestiche: mariti, fidanzati, amanti, conviventi, conoscenti, vicini. Per l’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) una donna su 5 ha subìto violenza. Ogni giorno, nell’Europa dei Lumi, si uccidono 7 donne. Una su 3 tace per paura. Ma è solo una faccia di una violenza ben più complessa e che non è solo fisica ma anche psicologica e morale. Il fenomeno ha costi sociali altissimi: 17 miliardi annui.
Le istituzioni corrono ai ripari: dopo la Convenzione di Lanzarote (2012), il 15 ottobre il governo Letta ha approvato la legge 119 contro la “violenza di genere” (“sovrastruttura ideologica di natura patriarcale per annientare l’identità delle donne”, Fiammetta Perrone, segretaria Fidapa Distretto Sud-Est) e che mette i paletti su alcuni aspetti: la durata dei processi (un anno), il risarcimento alle vittime, la cultura dell’ascolto, la mediazione famigliare, ecc. Nel Leccese ci sono 6 centri anti-violenza, da Lecce a Squinzano: sta per aprire il settimo a Galatina (ma operano anche quelli intitolati a Renata Fonte, assessore all’urbanistica uccisa a Nardò anni fa: contrastava la speculazione edilizia sulle coste).
Basterà a porre un argine a un fenomeno che ha profonde radici culturali e che secondo una scuola di pensiero risalirebbe, almeno per l’Europa, all’indomani della campagna di Napoleone in Africa? Oggettivamente favorito dalla tv-spazzatura che propone fino allo sfinimento un modello di donna provocante, disponibile hic et nunc? E dai socialnetwortk? Con i ragazzi che possono giocare al videogioco dello stupro? (nel frattempo pare che è stato ritirato). Mentre in Messico solo ora, dopo 4500 donne sparite e 400 stuprate si legittima la strage delle innocenti.
Lecce riflette sul fenomeno con un convegno a Palazzo dei Celestini (sede della Provincia) titolo: “Stop al femminicidio” con cui la Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari, Bpw Italy International Federation Of Business and Professional Woman), distretto Sud-Est (Abruzzo, Basilicata, Molise, Puglia), sezione di Lecce apre l’anno sociale 2013-2014, e dall’Assessorato alle Politiche Sociali e le Pari Opportunità (Filomena D’Antini Solero).
Introdotto da Giusy Ruggieri, presidente della Fidapa leccese, ha fatto il punto sullo status quo e tracciato percorsi possibili per combattere la “violenza di genere” che secondo la psicologa Maria Antonietta Amoroso, presidente del Distretto Sud-Est “è una categoria antropologica, sociologica, psicologica” e che chiama alla responsabilità la società civile attraverso l’educazione delle nuove generazioni, la scuola, i media e gli individui che dovrebbero rimodulare la forma mentis, il rapporto fra uomini e donne su nuove basi dettate dal rispetto, la dignità, la solidarietà (per Francesco Bruno, psichiatra, criminologo, personaggio tv, “una virtù femminile”), la condivisione. Nella coscienza che non basta una legge a cambiare una cultura cristallizzata: il cammino è ancora lungo.
Articolato, pregno di pathos l’intervento di Maria Cristina Rizzo, da 30 anni in Magistratura, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori (22 anni fa era pretore del lavoro a Taranto), in trincea sul fronte dell’abuso sui minori. Ha citato alcuni casi di cui s’è occupata riuscendo a far condannare i “mostri”: una bambina di 9 anni iniziata al sesso dal padre, altre deflorate a 11, sempre dal genitore: “Le violenze interfamigliari? Terribili. I femminicidi? Morti annunciate”. Ha poi smentito un luogo comune: reati così aberranti avvengono dove c’è degrado sociale? “La pedopornografia è un fenomeno dei professionisti, o comunque di laureati”. Ha insistito sul “risveglio delle coscienze, la prevenzione, la necessità di rompere il muro del silenzio. “Occorre – ha aggiunto - il coraggio della denuncia, indagini più incisive…”).
“L’uomo è un potenziale assassino: tutto viene dalla cultura patriarcale, la violenza di genere è espressa da un elemento culturale ma anche patologico: i 2/3 delle donne subiscono violenza in ogni momento della loro vita: morale, sociale, fisica. La donna pensa che un uomo geloso è un uomo innamorato: non è così, è un uomo malato”, aggiunge Bruno, guest star della serata (le sue teorie però sono state in parte confutate dal prefetto di Lecce Guliana Perrotta: “Da 20 anni diciamo sempre le stesse cose… Permane la concezione proprietaria dell’uomo sulla donna. In tv passa il clichè della donna-oggetto. Abbiamo sbagliato tutti…”).
Domanda: Prof. Bruno, cos’è il femminicidio?
Risposta: “L’uccisione di una donna solo perchè è donna. Basandosi sulla forza fisica, il maschio ha costruito una cultura che riflette i suoi bisogni”.
D. Quali sono le donne a rischio?
R. “Quelle che parlano troppo, che esprimono la loro formazione. Per l’uomo la donna deve fare solo ciò che è scritto nella nostra cultura: i figli, e poi crescerli…”.
D. Come opporsi a questa tragedia?
R. “Costruendo una cultura condivisa. Né patriarcale né matriarcale. E riscoprendo la sacralità della donna”.
LECCE – “Ho diritto a non sentirmi sporca… Annuso il marcio dell’abuso… Ero sola in mezzo a tanti sguardi… Ho diritto ai profumi dell’amore!” (Marina Marzano, poetessa leccese, in arte Momartè). 128 donne assassinate nel 2012, 83 nel 2013. Nell’80% dei casi il “mostro” vive fra le mura domestiche: mariti, fidanzati, amanti, conviventi, conoscenti, vicini. Per l’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) una donna su 5 ha subìto violenza. Ogni giorno, nell’Europa dei Lumi, si uccidono 7 donne. Una su 3 tace per paura. Ma è solo una faccia di una violenza ben più complessa e che non è solo fisica ma anche psicologica e morale. Il fenomeno ha costi sociali altissimi: 17 miliardi annui.
Le istituzioni corrono ai ripari: dopo la Convenzione di Lanzarote (2012), il 15 ottobre il governo Letta ha approvato la legge 119 contro la “violenza di genere” (“sovrastruttura ideologica di natura patriarcale per annientare l’identità delle donne”, Fiammetta Perrone, segretaria Fidapa Distretto Sud-Est) e che mette i paletti su alcuni aspetti: la durata dei processi (un anno), il risarcimento alle vittime, la cultura dell’ascolto, la mediazione famigliare, ecc. Nel Leccese ci sono 6 centri anti-violenza, da Lecce a Squinzano: sta per aprire il settimo a Galatina (ma operano anche quelli intitolati a Renata Fonte, assessore all’urbanistica uccisa a Nardò anni fa: contrastava la speculazione edilizia sulle coste).
Basterà a porre un argine a un fenomeno che ha profonde radici culturali e che secondo una scuola di pensiero risalirebbe, almeno per l’Europa, all’indomani della campagna di Napoleone in Africa? Oggettivamente favorito dalla tv-spazzatura che propone fino allo sfinimento un modello di donna provocante, disponibile hic et nunc? E dai socialnetwortk? Con i ragazzi che possono giocare al videogioco dello stupro? (nel frattempo pare che è stato ritirato). Mentre in Messico solo ora, dopo 4500 donne sparite e 400 stuprate si legittima la strage delle innocenti.
Lecce riflette sul fenomeno con un convegno a Palazzo dei Celestini (sede della Provincia) titolo: “Stop al femminicidio” con cui la Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari, Bpw Italy International Federation Of Business and Professional Woman), distretto Sud-Est (Abruzzo, Basilicata, Molise, Puglia), sezione di Lecce apre l’anno sociale 2013-2014, e dall’Assessorato alle Politiche Sociali e le Pari Opportunità (Filomena D’Antini Solero).
Introdotto da Giusy Ruggieri, presidente della Fidapa leccese, ha fatto il punto sullo status quo e tracciato percorsi possibili per combattere la “violenza di genere” che secondo la psicologa Maria Antonietta Amoroso, presidente del Distretto Sud-Est “è una categoria antropologica, sociologica, psicologica” e che chiama alla responsabilità la società civile attraverso l’educazione delle nuove generazioni, la scuola, i media e gli individui che dovrebbero rimodulare la forma mentis, il rapporto fra uomini e donne su nuove basi dettate dal rispetto, la dignità, la solidarietà (per Francesco Bruno, psichiatra, criminologo, personaggio tv, “una virtù femminile”), la condivisione. Nella coscienza che non basta una legge a cambiare una cultura cristallizzata: il cammino è ancora lungo.
Articolato, pregno di pathos l’intervento di Maria Cristina Rizzo, da 30 anni in Magistratura, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori (22 anni fa era pretore del lavoro a Taranto), in trincea sul fronte dell’abuso sui minori. Ha citato alcuni casi di cui s’è occupata riuscendo a far condannare i “mostri”: una bambina di 9 anni iniziata al sesso dal padre, altre deflorate a 11, sempre dal genitore: “Le violenze interfamigliari? Terribili. I femminicidi? Morti annunciate”. Ha poi smentito un luogo comune: reati così aberranti avvengono dove c’è degrado sociale? “La pedopornografia è un fenomeno dei professionisti, o comunque di laureati”. Ha insistito sul “risveglio delle coscienze, la prevenzione, la necessità di rompere il muro del silenzio. “Occorre – ha aggiunto - il coraggio della denuncia, indagini più incisive…”).
“L’uomo è un potenziale assassino: tutto viene dalla cultura patriarcale, la violenza di genere è espressa da un elemento culturale ma anche patologico: i 2/3 delle donne subiscono violenza in ogni momento della loro vita: morale, sociale, fisica. La donna pensa che un uomo geloso è un uomo innamorato: non è così, è un uomo malato”, aggiunge Bruno, guest star della serata (le sue teorie però sono state in parte confutate dal prefetto di Lecce Guliana Perrotta: “Da 20 anni diciamo sempre le stesse cose… Permane la concezione proprietaria dell’uomo sulla donna. In tv passa il clichè della donna-oggetto. Abbiamo sbagliato tutti…”).
Domanda: Prof. Bruno, cos’è il femminicidio?
Risposta: “L’uccisione di una donna solo perchè è donna. Basandosi sulla forza fisica, il maschio ha costruito una cultura che riflette i suoi bisogni”.
D. Quali sono le donne a rischio?
R. “Quelle che parlano troppo, che esprimono la loro formazione. Per l’uomo la donna deve fare solo ciò che è scritto nella nostra cultura: i figli, e poi crescerli…”.
D. Come opporsi a questa tragedia?
R. “Costruendo una cultura condivisa. Né patriarcale né matriarcale. E riscoprendo la sacralità della donna”.