Napolitano e il colloquio con i due marò: la lettera di un ufficiale

Classe 1940, carrista e lagu­nare, il generale Alberto Fi­cuciello è sempre stato un uf­ficiale con la «U» maiusco­la. Nato nella Venezia Giulia che non c’è più,è stato addet­to militare a Londra e ha co­ordinato le missioni italia­ne in Albania, nell’ex Jugo­slavia e in Afghanistan. Amante della scherma ha ri­coperto il ruolo di coman­dante Nato per il Sud Euro­pa. Il 12 novembre 2003 ha perso il figlio Massimo nella strage di Nassiriya reagen­do con grande dignità. Non è più in servizio, ma sui marò ha scritto quello che molti al­ti ufficiali sotto le armi pen­sano e non possono dire.

Illustre direttore, mi riferisco all'articolo di Fausto Biloslavo su il Giornale di sabato 21 dicembre. Non credo che siamo pochi pazzi sognatori a voler credere nell'Italia in maiuscolo, quindi la vergogna per la vicenda dei marò dovrebbe essere una triste condizione diffusa, sulla quale doveva (e dovrà) ben riflettere chi ha consigliato quel collegamento certamente imbarazzante per il presidente della Repubblica (quello di Napolitano in teleconferenza con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone per gli auguri di Natale, ndr), per la manifesta umiliante ammissione di impotenza nazionale. Sarebbe stato un rigurgito di orgoglio troppo ardito suggerire, invece, di apostrofare l'ambasciatore indiano magari durante l'incontro con il corpo diplomatico? Senza infrangere troppo pesantemente l'etichetta si sarebbe potuto dire, per esempio, che se si riesce a trattare con i peggiori terroristi il rilascio di connazionali rapiti, non dovrebbe risultare tanto difficile convincere una nazione dalla civiltà millenaria paladina della non violenza ad applicare il diritto internazionale... Ma forse i valorosi fucilieri del San Marco sentiranno invece propria la colpa principale, nel fatto di non essere temerari giornalisti o turisti irrispettosi degli avvisi di sicurezza, bensì soldati disciplinati e leali, difensori ammirevoli dell'onore residuo di uno Stato imbelle.

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