Se illegittimo è il sistema-Paese...
di Antonio Negro - La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la legge elettorale con la quale abbiamo non da molto eletto il Parlamento: in pratica non sarebbero validi né il premio di maggioranza né le liste bloccate. Lo stesso Parlamento, il massimo organo istituzionale del Paese, essendo il risultato di una norma non lecita, sarebbe, quindi, illegittimo. Esso può, tuttavia, continuare a esistere e legiferare, almeno fino al momento in cui verranno rese note le motivazioni della Corte, verso la fine del mese di gennaio.
Non entriamo nel merito su quale forza politica o partito o leader possa avvantaggiarsi da questa inattesa decisione, ma ci vogliamo soffermare un attimo sulle condizioni politiche e istituzionali in cui si trova l'Italia, senza tuttavia dimenticare la disastrosa e contemporanea situazione economica e occupazionale. Se tiriamo le somme di come si sta oggi, possiamo tranquillamente affermare che il Paese non è mai stato così sgangherato come nel momento attuale, e in tutti i campi, in tutti i settori. Non si vede un barlume di luce in prospettiva e il buio è tale che il Presidente Napolitano si è affrettato a dire che il Parlamento è legittimo e può continuare il suo lavoro.
Le assurdità in Italia sono tante e tali che nessuno si meraviglia più di tanto: una legge elettorale illegittima per il premio di maggioranza non può che far decadere immediatamente tutti quei parlamentari che ne hanno beneficiato. Decadendo questi, si stravolgerebbe tutta la composizione del Parlamento e le conseguenze sono chiare: il governo non sarebbe più questo, essendo stato eletto da parlamentari non legittimati, e dovrebbe dimettersi; il Presidente della Repubblica dovrebbe decadere perché eletto da un Parlamento non legittimo; la Corte Costituzionale medesima viene delegittimata essendo i suoi componenti nominati in parte dal Parlamento e in parte dal Capo dello Stato, a loro volta delegittimati.
In questa confusione abbiamo le due Camere che litigano per rubarsi le competenze sulla riforma elettorale che nessun partito vuole per paura di dare qualche punto di vantaggio in più all'avversario. Tutto ciò avviene nel momento in cui l'Eurostat avvisa che l'Italia è a rischio povertà perché nei prossimi mesi 18 milioni di italiani potrebbero trovarsi al di sotto della soglia di sostentamento.
Si sta andando lentamente alla deriva con una classe politica e amministrativa che brancola nel buio e non sa prendere decisioni: ci stiamo trascinando in un regime governato dai giudici, dai prefetti e dalle forze dell'ordine. La Magistratura riempie il vuoto lasciato dalle classi dirigenti in tutti i settori: la Corte Costituzionale decide sulla legge elettorale, la Procura di Taranto sull'Ilva, il Tar del Lazio sulla sperimentazione staminale. I Prefetti organizzano tavoli di concertazione, di protocolli, di trattative su vertenze in corso dando punti ai politici e alle amministrazioni interessate.
Le forze di polizia si muovono in ordine sparso senza un coordinamento serio ed efficace per il quale occorre una riforma profonda e strutturale, facendo un solo corpo di polizia con un solo numero di chiamata, come in tutti i Paesi Europei. In Europa definiscono l'Italia il paese delle cento polizie.
Viene da chiedersi come si possa continuare in una condizione così confusa e sgangherata e dove bisognerebbe mettere mano per prima cosa, affinché si esca da questo stato di lassismo e di sciatteria sociale e politica. Come si può pensare, e tollerare, che la Magistratura possa mettere a posto un sistema così disordinato e privo di ogni senso civico, anche minimo?
Ma la domanda più importante da farsi è: in una società sgangherata come quella italiana, può la Magistratura, a sua volta, non essere sgangherata? Può mai la giustizia umana essere perfetta e uguale per tutti? Non c'è da chiedersi se la prima, grande riforma da fare debba essere proprio quella della giustizia?
Tribunali intasati, orari non rispettati, carceri piene di cittadini in attesa di giudizio, fughe di notizie e di intercettazioni, tempi biblici per decisioni, anche minime, sono una palla al piede che una società moderna non può più permettere. Per non parlare della giustizia civile dove occorrono 30 anni per decidere se abbattere una albero sul confine tra due proprietà.
In Italia uno che fa un torto spera ardentemente che chi ha subìto il danno si rivolga al tribunale civile: è la sua salvezza, una pacchia, un salvacondotto per sottrarsi alle responsabilità e ai doveri. Aule piene, confusione, vociare ovunque, mancanza di spazi e di privacy, rinvii, appelli, contro appelli, perizie, contro perizie, in un palleggio infinito tra avvocati e giudici col malcapitato che, frastornato, non riesce a capire il perché di tanta confusione per venirgli riconosciuto un diritto a volte semplicissimo: un codice e un sistema fatti per i furbi perché possano sguazzare come meglio vogliono. In confronto, il mercato del pesce è un luogo dove c'è più decoro, più dignità e, soprattutto, più rispetto.
Il Parlamento non riesce a fare queste riforme perché i rappresentanti sono lo specchio di un Paese che va a rotoli. Né può essere la Corte Costituzionale a mettere una pezza su tutto questo. La politica, i partiti, i parlamentari, abbiano il coraggio di fare le riforme e di assumersi le proprie responsabilità, con la schiena dritta, davanti al popolo.
Non entriamo nel merito su quale forza politica o partito o leader possa avvantaggiarsi da questa inattesa decisione, ma ci vogliamo soffermare un attimo sulle condizioni politiche e istituzionali in cui si trova l'Italia, senza tuttavia dimenticare la disastrosa e contemporanea situazione economica e occupazionale. Se tiriamo le somme di come si sta oggi, possiamo tranquillamente affermare che il Paese non è mai stato così sgangherato come nel momento attuale, e in tutti i campi, in tutti i settori. Non si vede un barlume di luce in prospettiva e il buio è tale che il Presidente Napolitano si è affrettato a dire che il Parlamento è legittimo e può continuare il suo lavoro.
Le assurdità in Italia sono tante e tali che nessuno si meraviglia più di tanto: una legge elettorale illegittima per il premio di maggioranza non può che far decadere immediatamente tutti quei parlamentari che ne hanno beneficiato. Decadendo questi, si stravolgerebbe tutta la composizione del Parlamento e le conseguenze sono chiare: il governo non sarebbe più questo, essendo stato eletto da parlamentari non legittimati, e dovrebbe dimettersi; il Presidente della Repubblica dovrebbe decadere perché eletto da un Parlamento non legittimo; la Corte Costituzionale medesima viene delegittimata essendo i suoi componenti nominati in parte dal Parlamento e in parte dal Capo dello Stato, a loro volta delegittimati.
In questa confusione abbiamo le due Camere che litigano per rubarsi le competenze sulla riforma elettorale che nessun partito vuole per paura di dare qualche punto di vantaggio in più all'avversario. Tutto ciò avviene nel momento in cui l'Eurostat avvisa che l'Italia è a rischio povertà perché nei prossimi mesi 18 milioni di italiani potrebbero trovarsi al di sotto della soglia di sostentamento.
Si sta andando lentamente alla deriva con una classe politica e amministrativa che brancola nel buio e non sa prendere decisioni: ci stiamo trascinando in un regime governato dai giudici, dai prefetti e dalle forze dell'ordine. La Magistratura riempie il vuoto lasciato dalle classi dirigenti in tutti i settori: la Corte Costituzionale decide sulla legge elettorale, la Procura di Taranto sull'Ilva, il Tar del Lazio sulla sperimentazione staminale. I Prefetti organizzano tavoli di concertazione, di protocolli, di trattative su vertenze in corso dando punti ai politici e alle amministrazioni interessate.
Le forze di polizia si muovono in ordine sparso senza un coordinamento serio ed efficace per il quale occorre una riforma profonda e strutturale, facendo un solo corpo di polizia con un solo numero di chiamata, come in tutti i Paesi Europei. In Europa definiscono l'Italia il paese delle cento polizie.
Viene da chiedersi come si possa continuare in una condizione così confusa e sgangherata e dove bisognerebbe mettere mano per prima cosa, affinché si esca da questo stato di lassismo e di sciatteria sociale e politica. Come si può pensare, e tollerare, che la Magistratura possa mettere a posto un sistema così disordinato e privo di ogni senso civico, anche minimo?
Ma la domanda più importante da farsi è: in una società sgangherata come quella italiana, può la Magistratura, a sua volta, non essere sgangherata? Può mai la giustizia umana essere perfetta e uguale per tutti? Non c'è da chiedersi se la prima, grande riforma da fare debba essere proprio quella della giustizia?
Tribunali intasati, orari non rispettati, carceri piene di cittadini in attesa di giudizio, fughe di notizie e di intercettazioni, tempi biblici per decisioni, anche minime, sono una palla al piede che una società moderna non può più permettere. Per non parlare della giustizia civile dove occorrono 30 anni per decidere se abbattere una albero sul confine tra due proprietà.
In Italia uno che fa un torto spera ardentemente che chi ha subìto il danno si rivolga al tribunale civile: è la sua salvezza, una pacchia, un salvacondotto per sottrarsi alle responsabilità e ai doveri. Aule piene, confusione, vociare ovunque, mancanza di spazi e di privacy, rinvii, appelli, contro appelli, perizie, contro perizie, in un palleggio infinito tra avvocati e giudici col malcapitato che, frastornato, non riesce a capire il perché di tanta confusione per venirgli riconosciuto un diritto a volte semplicissimo: un codice e un sistema fatti per i furbi perché possano sguazzare come meglio vogliono. In confronto, il mercato del pesce è un luogo dove c'è più decoro, più dignità e, soprattutto, più rispetto.
Il Parlamento non riesce a fare queste riforme perché i rappresentanti sono lo specchio di un Paese che va a rotoli. Né può essere la Corte Costituzionale a mettere una pezza su tutto questo. La politica, i partiti, i parlamentari, abbiano il coraggio di fare le riforme e di assumersi le proprie responsabilità, con la schiena dritta, davanti al popolo.