di Francesco Greco. Un folletto visionario e barocco s’aggira per le screpolate lande di Terra d’Otranto. Vive in un tempo ancora non scritto, che forse verrà, o forse resterà in un embrione indefinito. In una dimensione sconosciuta, sospesa ai confini del bosco in fiamme, sulla riva del mare incantato di Omero, dove la fiaba sconfina nel sogno e il mondo è fatto di occhi e di bolle (“Soffro della paura del vuoto, che i latini chiamavano horror vacui: riempio così tutti gli spazi possibili di una superficie, tela, murales”: ecco un’interfaccia del suo “manifesto artistico-estetico”).
Lo sguardo innocente, il cuore sgombro del più esile cirro, i suoi “occhi” svelano ciò che non appare, riscrivono la realtà, disarticolano lo status quo e ci restituisce il mondo che vorremmo, gli uomini che non sappiamo essere, la vita che non osiamo, l’universo work in progress. “La Pupazza non è pazza” (“La frase che tutti devono urlare quando gli faccio una foto con l’occhio!”).
Eleonora De Giuseppe (in foto è dentro la sua opera “Palazzi dell’occhio, delle bolle e del cuore”) è nata, e non per caso, nella terra dei briganti e delle malie d’amore: di Carmelo Bene e di ser Matteo Tafuri, del bucolico Ennio e di Bodini “lucertole dalla faccia di dado”, delle sirene di Leuca e delle ninfe dei Fani, di Athena e il dio Bacco. Una terra spalancata sull’Oriente profumato delle mille e una notte, con i piedi nell’Occidente dei Lumi e delle utopie possibili.
E’ lei la Pupazza (www.elelapupazza.com), logo che gli hanno incollato addosso e che ormai ha valenza planetaria, perché ha avuto l’intelligenza di rompere i confini del Sud e portare la sua arte onirica, fiabesca in ogni angolo del mondo (si è proposta più volte a Londra, Parigi, Amsterdam, in Germania: Aachen, Berlino, Dusseldorf, a Roma, Chianciano Terme, Pisa, Reggio Emilia; è a Lecce (dov’era era già stata), galleria Art&Deco, dopo la mostra sui cimeli di Marilyn e Andy Warhol, per dire…), cosciente che occorre sortire dal grembo rassicurante della propria terra materna, uscire in mare aperto, confrontarsi, contaminarsi col mondo per corroborare i propri archetipi estetici, la semantica della formazione culturale avuta in dono.
“Il nome (Youtube: la Pupazza non è pazza) è nato 4 anni fa quando ho disegnato un fumetto che ricordava me: capelli neri, occhiali da sole, stivali, e l’occhio sempre ironico. Il nome me l’hanno dato i ragazzini di Tricase (l’atelier è a largo Sant’Angelo, l’ha aperto a giugno 2009, ndr), che han cominciato a scriverlo su Facebook. M’è piaciuto, l’ho sentito subito mio, è ironico: anche per non prendermi troppo sul serio…”. “La Pupazza ti strapazza”.
Ele (info@elelapupazza.com
e il sito www.elelapupazza.com) è passata dal Dams Arte di Bologna: “Lì si studia un po’ di tutto, arte medievale e architettura contemporanea, estetica, fotografia…”. Solo così ci si può impadronire della propria parabola esistenziale, trovare la dimensione globale del viaggiatore, un pò Calvino un pò Borges, sperduto nel III Millennio dove la realtà ha più di tre dimensioni e il tempo una modulazione sensuale circolare e insonne e l’idea di arte è in via di ridefinizione, tra Lady Gaga e le Femen, Papa Francesco e le Pussy Riot: provocazione e nuovi hashtag all’orizzonte. Tutto è fluido, ibridato: il meltin pot è il nuovo linguaggio. La rete ha formattato le nostre sovrastrutture mentali. “La Pupazza non scopiazza!” (“Così rispondo a chi mi chiede: a chi ti ispiri?”).
Ha capito che nuovi universi galleggiano nella Via Lattea, mondi paralleli pulsano in noi e fuori di noi, altri big-bang ci inseguono e s’è arrampicata dentro nuovi cunicoli temporali, dove è facile incontrare una supernova ignota e padrona di nuovi stilemi espressivi, rilegge il mondo e c’imbratta dell’energia universale che resta nel suo sguardo: i famosi “occhi” e vaga nell’aria, nelle bolle e nelle stelle.
“Ammazza che Pupazza!”. Personaggio, artista, donna di difficile accesso, decodificazione (FB. Eleonora De Giuseppe), offre lei stessa la password: “Quand’ero piccola, avrò avuto 6 anni, la sera nel letto prima di addormentarmi muovevo il dito a mezzaria e disegnavo per ore. Papà mi guardava e diceva: Che stai facendo? E io, convinta: Sto disegnando, non vedi? E’ stato il primo a incoraggiarmi, diceva: E’ una piccola, grande artista. Mi portava a disegnare le ceramiche alla bottega di Agostino Branca qui a Tricase. A 12 anni avevo già colorato le piastrelle del bagno e la cucina, una diversa dall’altra. La mia casa era un crocevia di pittori, musicisti, scenografi… Da allora mi nutro solo di pane e bolle…”. Il “manifesto” dell’arte del Terzo Millennio?
Lo sguardo innocente, il cuore sgombro del più esile cirro, i suoi “occhi” svelano ciò che non appare, riscrivono la realtà, disarticolano lo status quo e ci restituisce il mondo che vorremmo, gli uomini che non sappiamo essere, la vita che non osiamo, l’universo work in progress. “La Pupazza non è pazza” (“La frase che tutti devono urlare quando gli faccio una foto con l’occhio!”).
Eleonora De Giuseppe (in foto è dentro la sua opera “Palazzi dell’occhio, delle bolle e del cuore”) è nata, e non per caso, nella terra dei briganti e delle malie d’amore: di Carmelo Bene e di ser Matteo Tafuri, del bucolico Ennio e di Bodini “lucertole dalla faccia di dado”, delle sirene di Leuca e delle ninfe dei Fani, di Athena e il dio Bacco. Una terra spalancata sull’Oriente profumato delle mille e una notte, con i piedi nell’Occidente dei Lumi e delle utopie possibili.
E’ lei la Pupazza (www.elelapupazza.com), logo che gli hanno incollato addosso e che ormai ha valenza planetaria, perché ha avuto l’intelligenza di rompere i confini del Sud e portare la sua arte onirica, fiabesca in ogni angolo del mondo (si è proposta più volte a Londra, Parigi, Amsterdam, in Germania: Aachen, Berlino, Dusseldorf, a Roma, Chianciano Terme, Pisa, Reggio Emilia; è a Lecce (dov’era era già stata), galleria Art&Deco, dopo la mostra sui cimeli di Marilyn e Andy Warhol, per dire…), cosciente che occorre sortire dal grembo rassicurante della propria terra materna, uscire in mare aperto, confrontarsi, contaminarsi col mondo per corroborare i propri archetipi estetici, la semantica della formazione culturale avuta in dono.
“Il nome (Youtube: la Pupazza non è pazza) è nato 4 anni fa quando ho disegnato un fumetto che ricordava me: capelli neri, occhiali da sole, stivali, e l’occhio sempre ironico. Il nome me l’hanno dato i ragazzini di Tricase (l’atelier è a largo Sant’Angelo, l’ha aperto a giugno 2009, ndr), che han cominciato a scriverlo su Facebook. M’è piaciuto, l’ho sentito subito mio, è ironico: anche per non prendermi troppo sul serio…”. “La Pupazza ti strapazza”.
Ele (info@elelapupazza.com
e il sito www.elelapupazza.com) è passata dal Dams Arte di Bologna: “Lì si studia un po’ di tutto, arte medievale e architettura contemporanea, estetica, fotografia…”. Solo così ci si può impadronire della propria parabola esistenziale, trovare la dimensione globale del viaggiatore, un pò Calvino un pò Borges, sperduto nel III Millennio dove la realtà ha più di tre dimensioni e il tempo una modulazione sensuale circolare e insonne e l’idea di arte è in via di ridefinizione, tra Lady Gaga e le Femen, Papa Francesco e le Pussy Riot: provocazione e nuovi hashtag all’orizzonte. Tutto è fluido, ibridato: il meltin pot è il nuovo linguaggio. La rete ha formattato le nostre sovrastrutture mentali. “La Pupazza non scopiazza!” (“Così rispondo a chi mi chiede: a chi ti ispiri?”).
Ha capito che nuovi universi galleggiano nella Via Lattea, mondi paralleli pulsano in noi e fuori di noi, altri big-bang ci inseguono e s’è arrampicata dentro nuovi cunicoli temporali, dove è facile incontrare una supernova ignota e padrona di nuovi stilemi espressivi, rilegge il mondo e c’imbratta dell’energia universale che resta nel suo sguardo: i famosi “occhi” e vaga nell’aria, nelle bolle e nelle stelle.
“Ammazza che Pupazza!”. Personaggio, artista, donna di difficile accesso, decodificazione (FB. Eleonora De Giuseppe), offre lei stessa la password: “Quand’ero piccola, avrò avuto 6 anni, la sera nel letto prima di addormentarmi muovevo il dito a mezzaria e disegnavo per ore. Papà mi guardava e diceva: Che stai facendo? E io, convinta: Sto disegnando, non vedi? E’ stato il primo a incoraggiarmi, diceva: E’ una piccola, grande artista. Mi portava a disegnare le ceramiche alla bottega di Agostino Branca qui a Tricase. A 12 anni avevo già colorato le piastrelle del bagno e la cucina, una diversa dall’altra. La mia casa era un crocevia di pittori, musicisti, scenografi… Da allora mi nutro solo di pane e bolle…”. Il “manifesto” dell’arte del Terzo Millennio?
semplicemente una grande artista
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