Patù, Filanto all’asta: e la chiesetta di Sant’Elia?

di Francesco Greco. PATU’ (LE) – Negli anni Settanta arrivò ad avere ben 1500 operai. C’era il boom del calzaturiero, la Filanto delocalizzò una prima volta a Patù, sorse un edificio maestoso sulla via per il mare di San Gregorio (sul Mar Jonio fra Gallipoli e Santa Maria di Leuca). Si insediò la “Panfil Winnetou”.

   Poi il settore del Tac (tessile, abbigliamento, calzaturiero) che innervava il tessuto produttivo del Salento, entrò in crisi. La Filanto aveva già uno stabilimento-madre a Casarano, lo depotenziò e andò nell’Est europeo (Albania) dove il costo della manodopera è inferiore. E quello di Patù fu chiuso: restò un esempio di archeologia industriale nelle mani dei vandali.

   Oggi, Filanto sempre più in crisi, tra cassa integrazione da rinnovare di continuo e licenziamenti, finisce all’asta per mano del Tribunale di Lecce. Storie di ordinaria deindustrializzazione. Ma c’è un ostacolo: all’interno della ex fabbrica c’è una chiesetta di epoca bizantina, dedicata a Sant’Elia Profeta. Che, è opinione della Soprintendenza ai Beni Archeologici e Paesaggistici di Lecce, non può essere venduta insieme al capannone. Deve restare, com’è stato per secoli, con i suoi preziosi affreschi, alla collettività, alla memoria e alla devozione popolare.

   Tocca al Comune di Patù rivendicarne la proprietà. Sindaco e ufficio tecnico si stanno muovendo in tal senso. Anche gli ambientalisti hanno fatto sentire la loro voce. La chiesetta rupestre di Sant’Elia deve restare al popolo, com’è da secoli: non può finire nelle mani dei privati. La querelle è ancora agli inizi.    

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